Image Cross Fader Redux
Ciascuno di noi è un messaggio che Dio manda al mondo (P. G. Vannucci OSM)

Una passo del Vangelo per te

UN PASSO DEL VANGELO PER TE

“Lo Spirito come il vento, soffia dove vuole” ( Gv. 3,8)

“Lo spirito di verità vi guiderà verso tutta la verità. Non vi dirà cose sue…riprenderà quello che io ho insegnato, e ve lo farà capire meglio” (Gv 16, 13-15).
Nella Sacra Scrittura lo Spirito Santo è chiamato Spirito di Yahvé, Spirito di Dio, Spirito di Gesù Cristo, Spirito Santo. E’ stato scritto che lo Spirito Santo è la persona più misteriosa della Santissima Trinità, poiché come nell’uomo il suo spirito indica la sua intimità, così lo Spirito Santo esprime l’invisibilità di Dio, il suo profondo segreto e la sua incomprensibilità. Egli è ineffabile cioè il non-detto, l’indicibile per natura [1]. Nello Spirito Santo ci troviamo di fronte al mistero più profondo della vita trinitaria, allo stesso modo in cui scopriamo ciò che è più segreto nell’uomo quando conosciamo il suo spirito e la sua anima [2].

Lo “Sconosciuto”
E sicuramente questa è una delle ragioni per cui Hans Urs von Balthasar può dire che lo Spirito santo è “lo Sconosciuto che viene oltre al Verbo” ed i teologi orientali suggeriscono che piuttosto che parlare di lui è meglio invocarlo. Per avere una coerente intelligenza di questo mistero cioè è determinante acquisire l’atteggiamento dello stupore e della ricezione silenziosa [3].
Un’altra ragione per cui si parla dello Spirito Santo come di uno “sconosciuto”è legata al fatto che per molto tempo la teologia ma anche la chiesa docente lo hanno come dimenticato.
Sicuramente la ragione più vera fu che già nel cristianesimo primitivo, “entusiasti” e “fanatici”, convinti di possedere lo Spirito, si richiamarono a esperienze carismatiche e a illuminazioni personali per potere sminuire l’importanza e ignorare la tradizione storica e autentica di Gesù fissata nei vangeli canonici, e proclamata dall’istituzione ecclesiale. Così essendo continuamente costretti a richiamarsi alle strutture ufficiali e alle tradizioni tangibili e visibili contro le esagerazioni e gli eccessi fanatici ne è risultato che la struttura carismatica permanente della chiesa, il fatto fondamentale che la cristianità vive della forza dello Spirito sovrano del suo Signore glorificato, diviene facilmente sospetta e screditata [4]. Tutto questo col risultato che nel pensiero della chiesa si è appannato fino quasi a scomparire la riflessione relativa allo Spirito ed ai carismi a tutto vantaggio di una concezione centrata sull’incarnazione e sull’istituzione e quindi una realtà troppo chiusa nell’ambito terreno sensibile alle categorie del potere proprie del pensiero profano. Uno dei risultati di questa deriva è stato il ritardo nella elaborazione di una coerente teologia dei ministeri e del laicato.
E’ interessante notare come questa “dimenticanza” dello Spirito nella Chiesa si colloca in un contesto più vasto e cioè “in una rimozione dello Spirito in grande stile dal pensiero e dal comportamento ad opera del materialismo teoretico e pratico del nostro tempo” [5].

Presenza dello Spirito nelle Scritture
Eppure è difficile dimenticare lo Spirito Santo se si leggono le Scritture perché esso si trova costantemente presente nell’Antico come nel Nuovo Testamento. Nell’Antico Testamento ci si imbatte della sua presenza di libro in libro a cominciare dal Genesi dove “lo Spirito di Yahvé”è come un dono molto personale di sé con cui Dio si lega all’uomo: “Allora Dio, il Signore, prese dal suolo un po’ di terra, e con quella plasmò l’uomo. Gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo diventò una creatura vivente”( (2,7). In Isaia (59,21) poi e nel libro della Sapienza( 1,4; 19.17) lo Spirito di Yahvé santifica gli uomini, dona loro sapienza e conoscenza. Quanto al Nuovo Testamento l’insegnamento su Dio è , nel contempo, cristocentrico e trinitario. E’ nel mistero di Cristo che si è rivelato il Padre in quanto Padre, ed è anche Cristo che ci rivela lo Spirito Santo; al tempo stesso è lo Spirito Santo che ci fa conoscere il mistero di Cristo e, di conseguenza, il mistero di Dio ( Gv 14, 26).
L’azione del Cristo e quella dello Spirito sono nel Nuovo Testamento strettamente connesse. Lo Spirito accompagna ed assiste Gesù lungo tutta la sua missione terrena a cominciare dall’annunzio a Maria fino alla Resurrezione. Una assistenza particolare fu quella con cui accompagnò Gesù, che si era spogliato della sua divinità “divenendo simile agli uomini”( Fil. 2,6), verso la sua consapevolezza di essere il Figlio di Dio. Di questo cammino noi non conosciamo nulla se non alcuni sprazzi riferiti dagli evangelisti come al battesimo sul Giordano, l’esperienza del deserto, e via via fin quando, sulla croce, lo riconsegna al Padre: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46).

Il piano di Dio
Yves Congar sottolinea come il “piano” di Dio che si manifesta a noi segue l’ordine di processione delle persone divine e dell’opera di Dio di cui i tre grandi momenti decisivi sono la creazione, la redenzione e la santificazione o comunicazione della vita divina.
“La rivelazione ci mostra Dio che si inserisce sempre più intimamente nella sua creazione e che dona sempre più profondamente se stesso, per far partecipare l’uomo alla sua vita [6]”. Il Padre crea. E lo fa naturalmente con la partecipazione del Verbo e dello Spirito che non possono essere separati nell’opera creativa. Ma quando si tratta di portare agli uomini la salvezza della nuova alleanza è il Figlio che è impegnato personalmente. Poi quando si tratta di appropriare e rendere interiori negli uomini la rivelazione e la salvezza ( o la grazia) del Figlio, interviene lo Spirito Santo. E qui è lui ad essere impegnato personalmente nell’opera di Dio.
C’è come una divisione di compiti fra il Cristo e lo Spirito. Il Cristo rivela ed istituisce, lo Spirito vivifica ed attualizza. Il Cristo ha rivelato il mistero di Dio, annunciato il Vangelo e lo Spirito Santo attualizza questa parola, la conserva vivente. Il Cristo ha istituito la missione apostolica, lo Spirito la realizza veramente come missione e coopera con l’apostolato perché porti i suoi frutti. Il Cristo ha istituito i sacramenti, lo Spirito dà ad essi la forza santificante quando vengono applicati. Lo Spirito – osserva Congar – non fa che terminare il programma istituito da Cristo.
“Sembra che ci sia un’unica opera, ma in due tempi, di cui il primo è appropriato al Verbo incarnato, il secondo allo Spirito Santo. Dal primo è stabilita e realizzata la ‘forma’ della salvezza; dal secondo vi è infusa la vita, la ‘forma’ riceve il suo movimento ed il suo frutto vivente…L’opera dello Spirito Santo è quella di effettuare, attualizzare, e interiorizzare in noi lungo il tempo, ciò che il Cristo ha fatto ed istituito per noi una sola volta, al momento della sua incarnazione” [7].
Questo, ci ricorda ancora Congar, è avvenuto anche per la Chiesa di cui parleremo in un incontro apposito. Cristo la ha istituita lungo gli anni che ha passato nella sua carne promuovendo l’apostolato, i sacramenti, la primizialità di Pietro; con l’invio dello Spirito Santo alla Pentecoste, dona ad essa il soffio della vita.

Come lo Spirito attualizza il Verbo
Sull’attualizzazione dello Spirito ha riflettuto specialmente von Balthasar: “Questa attualizzazione – scrive il teologo gesuita – non pone però il contemplante semplicemente di fronte a un testo che forse possiede «significato per tutti i tempi», ma di fronte all’evento stesso in esso racchiuso, che nella sua attualizzazione perde tutto ciò che a motivo dei millenni alle sue spalle può farlo sembrare invecchiato e consumato. No davvero, l’evento è ora presente per me, totalmente nuovo e intatto, in una divina giovinezza. Come se fosse destinato a me, originariamente per me. E mi è presentato totalmente dischiuso in tutte le sue ampiezze. L’attualizzazione dello scenario sul lago di Genesaret avrebbe ben poca importanza se contemporaneamente non mi si rivelasse la sopratemporale, anzi eterna significatività di ciò che avviene in esso: cosa significa che l’uomo-Dio dà la vista a un cieco, rialza una donna piegata a terra, ne guarisce un’altra dal suo letto di febbre così che può rialzarsi e può servirlo… Ognuno di questi. quasi innumerevoli eventi ha uno stabile appiglio sulla terra, ma la sua portata si perde nelle infinite altezze della divina vita trinitaria. Lo Spirito non «spiritualizza» il terreno ma indica l’illimitata autorivelazione di Dio soggiacente nell’evento dell’incarnazione. E questo – come abbiamo detto – non nella atemporalità di una generale verità filosofica ma nel suo rivolgere proprio a me la sua attualità storicamente irripetibile, e perciò non superabile, nella misura in cui mi espongo ad esserne colpito.
Tutto questo naturalmente non vuol dire che il contemplante non debba più sforzarsi personalmente, e che può lasciarsi offrire ciò che lo Spirito gli dischiude, quasi come in un film. Ttutto ciò significa piuttosto che egli deve restare consapevole che senza lo Spirito, che «scruta le profondità di Dio», non può certo penetrare in queste profondità. Lo Spirito è il vero esperto per la rivelazione di questi misteri, velati allo sguardo puramente umano, ma già offerti nell’incarnazione sensibile. Ed egli lo è tanto più in quanto è presente contemporaneamente nel mistero oggettivo che stiamo contemplando e nella soggettiva profondità di noi stessi, come il ponte dunque che ci conduce al mistero. Egli lo è inoltre nella misura in cui è «uno che guida» (Rm 8), anzi proprio uno spirito che «sospinge fuori» (Mc 1,12) dal passato, che non permette un soffermarsi su qualcosa di superficiale, ma che ci ispira la coscienza del Dio sempre maggiore. Egli non vuole irrequietezza, ma non sopporta neppure una quiete oziosa, spira al di là del cercare e del trovare, del muoversi e del riposare. Possiamo trovare ristoro in Dio, ma non in noi stessi [8]”.
L’opera attualizzante dello Spirito Santo non è una novità del Nuovo Testamento ma permeava anche l’Antico. Abbiamo già letto il passo del Genesi in cui Dio crea l’uomo. Anche qui, a ben vedere, vi sono due momenti: prima Dio forma Adamo, poi è il momento dello Spirito e vi infonde il soffio animatore di vita. Ma forse l’esempio più suggestivo è nella grande visione di Ezechiele (cap. 37). Ezechiele è portato in una grande valle tutta coperta di ossa e su comando del Signore le ossa si avvicinano tra loro e si uniscono l’uno all’altro ricomponendo lo scheletro, quindi si ricoprono di nervi, di carne, di pelle. Poi, il Signore chiede al “soffio della vita” di soffiare su quei cadaveri perché rivivano. E il soffio della vita entra in quei corpi ed essi riprendono vita e si alzano in piedi (37, 1-10).

Lo Spirito è persona
Lo Spirito è persona, ed è una persona divina. Essere pervenuti ad affermare – nella storia della Chiesa – che Dio è “una essenza e tre persone” è stato un cammino faticoso che lascia
però molti perplessi. Un teologo della statura di Karl Rahner ammonisce che quando noi oggi usiamo il termine di persona al plurale “pensiamo a più centri spirituali di atti, a più soggettività e libertà spirituali. Ma tre persone del genere non esistono in Dio…” [9]. E Theodor Schneider ricorda che non bisogna mai dimenticare che noi, quando parliamo di Dio, ragioniamo con “analogie” e così “ogni concetto umano applicato a Dio, anche il concetto di ‘persona’, ha in sé più cose che non si addicono a Dio di quante si addicano” [10]. Purtroppo è un limite con cui bisogna fare i conti ma che non può essere superato perché, osserva Walter Kasper, privarsi nella dottrina trinitaria del concetto di persona vorrebbe dire privare questa dottrina della sua “fecondità” [11] che sta proprio nel fatto di affermare che la natura del Dio trinitario è strutturata in modo profondamente personale.
D’altronde difficoltà a considerare lo Spirito persona non sono solo di natura teologica ma anche psicologica. Non si fa fatica a considerare persone il Padre ed il Verbo. Il Verbo perché si è incarnato in Gesù Cristo ed il Padre perché ci rifacciamo, per analogia, al rapporto padre-figlio dell’esperienza umana. Più difficile è invece considerare persona lo Spirito. Si sarebbe tentati di considerarlo come l’energia con cui il Padre anima il creato o con la quale il Cristo glorificato opera in noi. Invece egli è pienamente persona come il Padre e il Figlio. Ce lo rivela la Scrittura ed in particolare il Nuovo Testamento. Ci basti ricordare il vangelo di Giovanni dove Gesù ( 14, 16-17) ne parla come di un altro “Paraclito”, personale come lui, e le lettere di Paolo. Nella lettera ai Galati(4, 4-6) l’Apostolo dei gentili parla di due invii da parte di Dio: prima il Figlio e poi “lo Spirito di suo Figlio”. Due invii del medesimo genere. Ed ancora Paolo nella lettera ai Romani parla dello Spirito come una persona che ci viene in aiuto, prega, intercede, in particolare dove dice: “anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza … mentre lo Spirito stesso prega Dio per noi. E Dio… conosce anche le intenzioni dello Spirito…” (Rm. 8,26-27).
Ma se consideriamo attentamente anche nel passo di Ezechiele che abbiamo richiamato, “il soffio della vita” che trasforma i cadaveri in essere viventi è fortemente personalizzato infatti Dio gli si rivolge ordinando di soffiare sui corpi. E prima, quando promette di trasformare i cuori di pietra in cuori di carne afferma: “Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi”(36,28).

Lo Spirito è Persona divina
Un altro problema che ha molto travagliato la Chiesa lungo la storia è stato quello della natura del Figlio e dello Spirito rispetto al Padre. Infatti non mancava chi sosteneva che il Figlio e lo Spirito erano inferiori e subordinati, quanto alla loro origine divina, rispetto al Padre. Per primo si pose il problema per il Figlio che Ario sosteneva che essendo creatura del Padre non poteva essere della stessa sostanza. Fu il concilio di Nicea nel 325 che dichiarò che il Figlio era “consustanziale” al padre e bollò come eretica la posizione di Ario.
In qualche modo però la questione dello Spirito – che Ario sosteneva “dissimile” non solo dal Padre ma anche dal Figlio – rimase aperta. Fu grazie al contributo di tre importanti vescovi cappadoci – Basilio Magno, Gregorio Nazianzio e Gregorio di Nissa – che il concilio di Costantinopoli nel 383 reinquadra lo Spirito nella vita unitaria del Padre e del Figlio: lo Spirito è la presenza permanente dell’azione salvifica del Dio uno, e media permanentemente l’azione del Padre e del Figlio sulla chiesa e sulla storia. Lo Spirito è il vivicans colui che “dà la vita” e viene associato direttamente al battesimo e alla resurrezione.
Il Concilio di Costantinopoli, il secondo concilio ecumenico nella storia della Chiesa, riepilogò il risultato di tre secoli di riflessione e di dibattito teologico anche molto aspro e sulla base della rivelazione biblica il concetto di Dio fu motivatamente presentato come un concetto trinitario e, coi mezzi della filosofia greca, definito come una forma specifica del monoteismo. Assieme alla professione di fede anch'essa formulata da quel concilio, rappresenta uno dei pilastri fondamentali del cristianesimo [12].

Il problema del “filioque”
Un altro problema relativo alla teologia dello Spirito Santo che ha travagliato la Chiesa e che è stata anzi una delle cause dichiarate del grande scisma fra Chiesa d’oriente e Chiesa d’occidente che si indica nel 1054, è la questione del “filioque”. Nel Simbolo scaturito dal Concilio di Costantinopoli si era detto che il criterio per stabilire la divinità dello Spirito era il fatto che egli “procede dal Padre”. Ma siccome nel Nuovo Testamento si dice che egli è anche lo Spirito di Gesù e quindi del Figlio, nel VII secolo la Chiesa occidentale, nella redazione latina del Credo, introdusse – autonomamente e senza concordarlo con le chiese orientali – il filioque: cioè fu scritto che lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio.
Questo apparve alle Chiese orientali una grave falsificazione del testo originario e, insieme ad altri fattori (fra cui il concetto del primato anche giurisdizionale del Vescovo di Roma in quanto considerato successore dell’Apostolo Pietro), portò ad una polemica crescente fra oriente ed occidente che culminò nel 1054 con la scomunica del patriarca Michele I Cerulaio da parte di Papa Leone IX a cui il patriarca replicò a sua volta con un proprio anatema scomunicando il papa. Nel corso dei secoli ci furono tentativi di raggiungere un chiarimento, come nel II Concilio di Lione del 1274 che era un concilio della chiesa occidentale, dove si insistette sul filioque aggiungendo che lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio “come da un solo principio e da un’unica spirazione”. Purtroppo dopo aver fatto questo sforzo di mediazione i Padri conciliari non resistettero alla tentazione di emettere una solenne condanna di tutti coloro che “osano negare la processione eterna dello Spirito del Padre e del Figlio”. E si tornò al punto di partenza.
Ma al di là delle polemiche e degli irrigidimenti qual è la natura e la consistenza reale di questo dissenso? La riflessione ecumenica degli ultimi decenni, in un contesto più sereno, ha portato a prendere coscienza che le due impostazioni teologiche, nella sostanza, vogliono dire la stessa cosa e testimoniare la medesima fede con una veste concettuale diversa. I teologi orientali pensano partendo dal Padre. Lui soltanto è l’”origine” divina, il Figlio e lo Spirito procedono direttamente da lui, anche se la “generazione” del Figlio condiziona la “spirazione” dello Spirito. L’amore di Dio esprimendosi nel Figlio tende ulteriormente nello Spirito Santo ad uscire da sé e a profondersi nel creato e nella storia. Lo Spirito è la realtà traboccante, straripante, per così dire “più esterna” di Dio.
La teologia occidentale pensa partendo piuttosto dall'unica essenza trinitaria di Dio. Essa concepisce lo Spirito Santo come l’amore comune del Padre e del Figlio, come il vincolo di unità fra i due, per così dire come la realtà più intima e nascosta di Dio.
Oggi, fuori dalle polemiche politiche che hanno alimentato il dissenso, si riconosce da entrambe le parti che entrambi i modelli hanno i loro punti deboli ed i punti forti e che il mistero di Dio è così grande che li relativizza entrambi relativizzando così il dissenso.
Per questo un teologo della statura di Congar ha potuto scrivere nel 1980 che la Chiesa cattolica romana “potrebbe togliere il Filioque dal Simbolo nel quale è stato introdotto in modo canonicamente irregolare. Da parte sua sarebbe un atto di umiltà e di solidarietà ecumenica che potrebbe, se gli ortodossi l’accolgono nel suo senso genuino, creare una situazione nuova favorevole al ristabilimento della piena comunione” [13].

Ha parlato per mezzo dei profeti
L’ecclesiologia cattolica uscita dal Concilio di Trento poggiava sulla convinzione che Cristo ha fondato la sua Chiesa come società gerarchica e provvista di tutti i mezzi necessari alla propria missione di comunicare la salvezza. Un teologo che nella prima metà del XIX secolo andava per la maggiore così riassumeva l’ecclesiologia ufficiale: ”Dio ha fondato la gerarchia; e così ha provveduto a tutto ciò che occorreva fino alla fine dei tempi”. In essa non c’era indubbiamente spazio per lo Spirito che soffia dove vuole né per quei carismi, come il carisma della profezia, che non passassero per la struttura gerarchica. Inoltre i trattati sulla rivelazione asserivano, senza offrire alcun spiraglio, che questa era conclusa con la morte dell’ultimo apostolo.
Rispetto a questa concezione istituzionalista il Concilio Vaticano II ha sviluppato la riflessione sullo Spirito, ha messo l’accento sul primato del “popolo di Dio” ed ha rivalutato la teologia dei carismi che risale a S. Paolo. Congar ha così riassunto questa nuova attenzione allo Spirito che riconsidera lo spazio della profezia:
“Lo Spirito immette il nuovo e l’inedito nella storia e nella diversità delle culture; ma è un nuovo attinto dalla pienezza data una volta per tutte da Dio in Cristo. Questa pienezza non è stata né totalmente rivelata, né totalmente compiuta nel Cristo secondo la carne. Bisogna perché sia compiuta, che venga compenetrata dallo Spirito, come , perché fosse rivelata, occorreva che lo spirito si impossessasse degli apostoli e dei profeti, e che Paolo, apostolo sopraggiunto, fosse chiamato dal Cristo glorioso e il ‘mistero’ formulato all’inizio della lettera agli Efesini fosse rivelato ai santi (Col. 1,26; Ef. 3, 3-5)… Paolo ( 1 Cor 12,3) e Giovanni (1 Gv 4,2) fanno della testimonianza resa al Signore Gesù il criterio dell’azione dello Spirito. Se lo Spirito apporta l’inedito nel futuro della storia, non si tratta tuttavia di un inedito fluttuante e indeciso…. Se il Verbo è penetrato dello Spirito, lo Spirito è penetrato del Verbo. Entrambi sono inseparabili. Entrambi procedono dal Padre” [14].
Non esiste quindi una chiesa del Verbo ed una dello Spirito, una chiesa della gerarchia ed una della profezia. Esiste “un’unica Chiesa di Dio, che è insieme dell’acquisito e del futuro; ed egli la costruisce con le sue ‘due mani’” [15]! Le due mani che, secondo la bella immagine di Ireneo, sono la Parola ed il Soffio.

I movimenti spirituali
Da questa posizione rispetto alla profezia e al profetismo deriva anche quella nei confronti dei cosiddetti movimenti carismatici o spirituali. Una rinnovata attenzione allo Spirito ha anche ridato fiato a questi movimenti che si vantano, tal volta, di agire sotto la guida diretta dello Spirito Santo. Non è questo che si può loro rimproverare, osserva Congar [16], ma eventualmente il fatto che essi “non mettono questa ispirazione in rapporto con l’opera del Cristo, con il dato, fatto una volta per tutte e definito dell’opera positiva e storica del Cristo: vangelo, predicazione degli apostoli, chiesa.
Infatti, se lo Spirito Santo è veramente attivo, se non bisogna chiudersi nella valorizzazione esclusiva ed essenzialmente giuridica dell’istituzione ecclesiale, se non bisogna mettere in disparte lo Spirito Santo sarebbe, sostiene Congar, un errore altrettanto grave e certo più dannoso agganciarsi allo Spirito Santo e dipendere direttamente da lui, facendo astrazione dal dato positivo, dell’istituzione del Signore, che egli ha la missione, precisamente, di effettuare e attualizzare in noi.
La Pentecoste è il seguito della Pasqua e del Natale, strettamente legata a questi fatti decisivi. Lo Spirito santo interpreta soltanto e aiuta penetrare in pienezza il mistero del Cristo nella storia.

Il discernimento 
Strettamente connesso allo Spirito è l’esercizio del discernimento. Vi è un discernimento generale a cui tutti siamo chiamati ed è la capacità di sapere leggere i “segni dei tempi”. Ricordiamo l’ammonimento di Gesù: “Ipocriti! Siete capaci di capire l’aspetto del cielo e della terra, e allora come mai non sapete capire quel che accade in questo tempo?” ( Lc 12, 54-59). Tutti siamo chiamati a leggere i segni dei tempi, a capire che cosa succede nella nostra comunità e nel mondo, a discernere le cose importanti da quelle secondarie, quelle che incidono e rimangono e quelle destinate a scomparire presto appunto come quando vediamo “una nuvola che sale da ponente” e diciamo che arriverà la pioggia.
Molto simile al discernimento comune è il discernimento spirituale che è la ricerca dell’opera dello Spirito nella vicenda umana e che è richiesta a tutti i credenti: “Non spegnete lo Spirito – esorta Paolo -, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa con discernimento, tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male” (1 Tess 5, 19-22). Lo Spirito, infatti, opera in continuazione nella storia esortando alla fraternità, promuovendo patti di pace fra gli uomini, ispirando l’impegno per la giustizia, per la pace, per la solidarietà, consigliando la misericordia e sollecitando la compassione. Discernere quest’opera dello Spirito nelle vicende umane richiede umiltà, riflessione, meditazione, preghiera. Chiede capacità di osservare a partire dalla Parola e dall’insegnamento della chiesa.
Ed infine c’è un discernimento specifico, carismatico. Quello di cui parla Paolo in 1 Cor 12, 4 e ss.: “Vi sono diversi doni ma uno solo è lo Spirito. Vi sono diversi modi di servire ma uno solo è il Signore. Vi sono molti tipi di attività, ma chi muove tutti all’azione è sempre lo stesso Dio. In ciascuno lo Spirito si manifesta in modo diverso, ma sempre per il bene comune”.
Il discernimento carismatico è un dono e va di pari passo con la profezia il cui ruolo non è quello di predire il futuro, bensì di annunciare, in una situazione concreta, la volontà di Dio su un individuo o su una comunità. Il discernimento non lo si deve intendere come un dono indipendente: esso piuttosto fornisce un test per le enunciazioni profetiche e un controllo contro i loro abusi (così 1Cor 14,29)” [17]. Un criterio oggettivo assolutamente sovrano consiste nell’ortodossia cristologica: 1 Cor 12,3; 1 Gv 4, 1-3. E’ una condizione indispensabile di autenticità, che si traduce concretamente nella capacità di edificare il Corpo di Cristo.

Il peccato contro lo Spirito
“Tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini, e anche tutte le bestemmie che diranno, ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito santo, non avrà perdono in terno: sarà reo di colpa eterna” (Mc 3,28 e ss). Queste parole dure ed in un certo senso inusitate di Gesù risultano ancora più forti nelle versioni di Matteo e Luca perché viene sottolineato che potrà essere perdonato chi parla contro il Figlio ma non la bestemmia contro lo Spirito, “né ora né mai” (Mt 12,32).
Ma qual è questa bestemmia contro lo Spirito che non può essere perdonata? Vi è un insegnamento costante della chiesa che risale a Tommaso d'Acquino e che Giovanni Paolo II ha riproposto nella lettera enciclica “Dominum et vivificantem”: “la bestemmia non consiste propriamente nell’offendere con le parole lo Spirito santo; consiste, invece, nel rifiuto di accettare la salvezza che Dio offre all'uomo mediante lo Spirito Santo, operante in virtù del sacrifico della croce” [18]. Cioè è il rifiuto radicale a convertirsi non per ignoranza ma coscientemente e determinatamente. E’ il peccato commesso dall'uomo “che rivendica un suo presunto ‘diritto’ di perseverare nel male, in qualsiasi peccato, e rifiuta così la redenzione” [19].
Cercando di approfondire il ragionamento il papa fa riferimento a quella “durezza del cuore” di cui parla la Scrittura (Mc 3,5; Ger 7,24; Sal 81,13) e suggerisce che nella nostra epoca a questo atteggiamento di mente e di cuore potrebbe corrispondere forse la perdita del senso del peccato. Una perdita che è conseguenza di un’altra perdita: quella del senso dell’offesa contro Dio.
La chiesa esorta il papa di fronte a questa realtà deve pregare e prestare il suo servizio “perché la storia delle coscienze e la storia della delle società nella grande famiglia umana non si abbassino verso il polo del peccato col rifiuto dei comandamenti divini ‘fino al disprezzo di Dio’ , ma piuttosto si elevino verso l’amore, in cui si rivela lo Spirito che dà la vita. (n.48).

Lo Spirito costruttore del Regno
Una delle riflessioni che ci accompagna in questi incontri riguarda il Regno di Dio, il “già e non ancora”, istituito da Gesù che dopo la Resurrezione, con l’Ascensione al Padre, ha aperto il Paradiso agli uomini trasformandolo appunto nel Regno di Dio destinato, via via nello svolgersi della storia umana, ad assumere trasfigurandoli i sentimenti, i valori, le opere, le strutture che gli uomini realizzano nella storia impegnandosi a favore della pace, della giustizia, della solidarietà. Un’opera che si completerà nella Parusìa cioè alla fine dei tempi quando l’esperienza di questo mondo sarà compiuta.
Abbiamo detto che strumenti importanti di questa costruzione già oggi operanti in questo mondo sono la santità, l’eucarestia e lo Spirito santo. In particolare lo Spirito Paraclito è stato mandato da Gesù proprio per questo scopo, per sostenere gli uomini nell'opera di costruzione del Regno già in questo mondo, realizzando col suo stimolo e il suo contributo, ciò che verrà assunto e trasfigurato.
Per questo mi sembra che sarebbe importante che la Chiesa promuovesse nella pratica dei credenti una preghiera antica che risale probabilmente a prima dell’anno 1000: la Sequenza dello Spirito Santo che si recita in particolare nella Messa di Pentecoste.

Vieni, Santo Spirito,
mandaci dal cielo
un raggio della tua luce.

Vieni, padre dei poveri,
vieni, datore dei doni,
vieni, luce dei cuori.

Consolatore perfetto,
ospite dolce dell’anima,
soave refrigerio.

Nella fatica, riposo,
nella calura, riparo,
nel pianto, conforto.

O luce beatissima,
invadi nel profondo
il cuore dei tuoi fedeli.
Senza il tuo soccorso,
nulla è nell’uomo,
nulla senza colpa.

Lava ciò che è sordido,
bagna ciò che è arido,
sana ciò che sanguina.

Piega ciò che è rigido,
scalda ciò che è gelido,
raddrizza ciò ch’è sviato.

Dona ai tuoi fedeli
che solo in te confidano
i tuoi santi doni.

Dona virtù e premio,
dona morte santa,
dona gioia eterna.
Amen.

[1] F.-X. Durrwell, Lo Spirito Santo alla luce del mistero pasquale, Edizioni Paoline, 1985.
[2] G. Maspero, Il ruolo dello Spirito Santo nella fecondità della vita trinitaria.
[3] R. Fisichella, Lo sconosciuto oltre il Verbo. Considerazioni sullo Spirito Santo, in “30 giorni”.
[4] T. Schneider, La nostra fede. Una spiegazione del simbolo apostolico, Queriniana, 1989, pag.311.
[5] Idem, pag.313.
[6] I. Congar, La Pentecoste, 1973, Brescia, pag.19.
[7] I. Congar, idem, pp23-24.
[8] H.U.von Balthasar , Meditare da cristiani, Brescia 1986.
[9] K. Rahner, Il Dio trino come fondamento trascendentale della storia della salvezza, III, 1969.
[10] T. Schneider, op.cit., pag. 344.
[11] W.Kasper, Gesù il Cristo, p.257.
[12] W.D. Hauschild, Il dogma trinitario.
[13] Y. Congar, Io credo nello Spirito Santo, III vol. , pag. 221.
[14] Y. Congar, La parola e il soffio, Borla, 1985, pag. 99.
[15] Idem.
[16] Y. Congar, La Pentecoste, op.cit., pagg. 26-28.
[17] J.D.G. Dunn, Jesus and the Spirit. A Study of the Religious and Charismatic Experience of Jesus and the First Christians as reflected in the New Testament, Londra, 1975, in Y. Congar, Credo nello Spirito Santo, vol. II, pag. 195.
[18] Giovanni Paolo II, Lasciatevi muovere dallo spirito, n. 46.
[19] Idem.

Autore: Michele Giacomantonio
Tratto da: michelegiacomantonio.com

Dello stesso autore:
Teologia dell'amore
Chi è Michele Giacomantonio

Nessun commento:

Posta un commento