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Ciascuno di noi è un messaggio che Dio manda al mondo (P. G. Vannucci OSM)

Una passo del Vangelo per te

UN PASSO DEL VANGELO PER TE

Che cosa significa "Credo in Dio Padre Onnipotente"?

Chi ci ha detto che Dio è Padre? 
Gesù ha rivelato che Dio è «Padre», non soltanto in quanto Creatore dell'universo e dell'uomo, ma, soprattutto, perché genera eternamente nel suo seno il Figlio, che è il suo Verbo, «irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza» (Eb 1,3).(Catechismo della Chiesa Cattolica, 240-243)
Possiamo invocare Dio come «Padre» perché ci è rivelato dal Figlio suo fatto uomo e perché il suo Spirito ce lo fa conoscere. Ciò che l'uomo non può concepire, né le potenze angeliche intravvedere, cioè la relazione personale del Figlio nei confronti del Padre (cfr. Gv 1, 1) ecco che lo Spirito del Figlio lo comunica a noi, a noi che crediamo che Gesù è il Cristo e che siamo nati da Dio (cfr. 1Gv 5,1).
(Catechismo della Chiesa Cattolica, 2780)

Contemplare il mistero
Quando recitiamo il Credo, noi professiamo di credere in Dio Padre onnipotente, nel suo Figlio Gesù Cristo che morì e risuscitò, nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita. Proclamiamo che la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica, è il Corpo di Cristo, animato dallo Spirito Santo. Ci rallegriamo della remissione dei peccati e della speranza della futura risurrezione. Queste verità, però, penetrano davvero in fondo al cuore, oppure restano sulle labbra? (È Gesù che passa, 129)
Gesù se ne è andato e ci manda lo Spirito Santo che guida e santifica la nostra anima. L'opera del Paraclito in noi conferma ciò che Cristo annunciava: noi siamo figli di Dio, noi non abbiamo ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!» (È Gesù che passa, 118)

In che modo Dio rivela di essere Amore?
Dio si rivela ad Israele come Colui che ha un amore più forte di quello di un padre o di una madre per i propri figli o di uno sposo per la propria sposa. Dio in se stesso «è amore» (1Gv 4,8.16) che si dà completamente e gratuitamente; che «ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,16-17). Mandando il suo Figlio unigenito e lo Spirito Santo, Dio rivela che è lui stesso eterno scambio d'amore: (Catechismo della Chiesa Cattolica, 218-221)
Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l'amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. (1Gv 4, 7-10)

Contemplare il mistero
Com'è possibile renderci conto di ciò, capire che Dio ci ama, e non divenire a nostra volta pazzi d'amore? È necessario far sì che queste verità della nostra fede penetrino nella nostra anima fino a cambiare tutta la nostra vita. Dio ci ama! Sì, l'Onnipotente, Colui che può tutto, Colui che ha fatto il cielo e la terra. (È Gesù che passa, 144)

Che cosa significa che Dio è Onnipotente?
Dio si è rivelato come «il Forte, il Potente» (Sal 24,8-10), colui per il quale nulla è impossibile (Lc 1,37). La sua onnipotenza è universale, misteriosa e si manifesta nella creazione del mondo dal nulla e dell'uomo per amore, ma soprattutto nell'Incarnazione e nella resurrezione di suo Figlio, nel dono dell'adozione filiale e nel perdono dei peccati. Per questo la Chiesa rivolge spesso la sua preghiera al «Dio onnipotente ed eterno» («Omnipotens sempiterne Deus...»). (Catechismo della Chiesa Cattolica, cc. 268-278)

Contemplare il mistero:
Sembra che il mondo ti cada addosso. Intorno non si intravvede via d'uscita. Impossibile, questa volta, superare le difficoltà. Allora, sei tornato a dimenticare che Dio è tuo Padre?: onnipotente, infinitamente sapiente, misericordioso. Egli non può inviarti niente di male. Ciò che ti preoccupa. in realtà ti conviene, anche se i tuoi occhi di carne adesso sono ciechi. (Via Crucis, IX Stazione, 9)

Perché Dio è Padre e Onnipotente?
Dio è Padre onnipotente. La sua paternità e la sua potenza si illuminano a vicenda. Infatti, egli mostra la sua onnipotenza paterna attraverso il modo con cui si prende cura dei nostri bisogni (cfr. Mt 6,32); attraverso l'adozione filiale che ci dona («Sarò per voi come un padre, e voi mi sarete come figli e figlie, dice il Signore onnipotente»: 2 Cor 6,18); infine attraverso la sua infinita misericordia, dal momento che egli manifesta al massimo grado la sua potenza perdonando liberamente i peccati. (Catechismo della Chiesa Cattolica, 270) 
Padre «nostro» è riferito a Dio. L'aggettivo, per quel che ci riguarda, non esprime un possesso, ma una relazione con Dio totalmente nuova. (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2786)

Contemplare il mistero
Il Signore, nostro Padre, quando accorriamo a Lui con pentimento, trae ricchezza dalla nostra indigenza; forza dalla nostra debolezza. Che cosa ci preparerà se non lo abbandoniamo, se lo frequentiamo incessantemente, se gli rivolgiamo parole d'affetto confermato dalle opere, se gli chiediamo tutto, fiduciosi nella sua onnipotenza e nella sua misericordia? Soltanto perché suo figlio — che l'aveva tradito — è ritornato, Egli prepara una festa: che cosa ci concederà, se ci siamo sforzati di restare sempre accanto a Lui? (Amici di Dio, 309)

Se Dio è onnipotente e si prende cura delle sue creature, perché esiste il male? Perché Dio lo permette?
All'interrogativo, tanto doloroso quanto misterioso, sull'esistenza del male, è solo l'insieme della fede cristiana che può dare risposta. Dio non è in alcun modo, né direttamente né indirettamente, la causa del male. Egli illumina il mistero del male nel suo Figlio Gesù Cristo, morto e risorto per vincere il grande male morale del peccato degli uomini, che è la radice degli altri mali.
La fede ci dà la certezza che Dio non permetterebbe il male, se dallo stesso male non traesse il bene. Questo Dio l'ha già realizzato in modo meraviglioso in occasione della morte e resurrezione di Cristo: in effetti, dal più grave male morale, la morte di suo Figlio, Dio ha tratto i più grandi beni: la glorificazione di Cristo e la nostra redenzione. (Catechismo della Chiesa Cattolica, 309-324)

Contemplare il mistero
Il dolore fa parte dei piani di Dio: la realtà è questa, benché ci costi capirla. Anche per Gesù, come uomo, fu costoso sopportarla: "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà" (Lc 22,42). In questa tensione tra la ripugnanza per il supplizio e l'accettazione della volontà del Padre, Gesù va incontro alla morte serenamente, perdonando coloro che lo crocifiggono.
Questa accettazione soprannaturale del dolore è, al tempo stesso, la massima conquista. Gesù, morendo sulla Croce, ha vinto la morte: Dio suscita dalla morte la vita. Il contegno di un figlio di Dio non è quello di chi si rassegna a una tragica sventura, quanto piuttosto di chi si rallegra pregustando la vittoria. In nome dell'amore vittorioso di Cristo, noi cristiani dobbiamo percorrere tutti i cammini della terra per essere, con le parole e le opere, seminatori di pace e di gioia. 
Dobbiamo lottare in questa guerra di pace contro il male, l'ingiustizia, il peccato, proclamando che l'attuale condizione umana non è quella definitiva e che l'amore di Dio manifestato nel Cuore di Cristo otterrà il glorioso trionfo spirituale degli uomini. (È Gesù che passa, 168)

Se Dio è Padre, è anche "mio" Padre?
L'amore di Dio per Israele è paragonato all'amore di un padre per il proprio figlio (cfr. Os 11,1). È un amore più forte dell'amore di una madre per i suoi bambini (cfr.Is 49,14-15). Dio ama il suo popolo più di quanto uno sposo ami la propria sposa (Is 62,4-5); questo amore vincerà anche le più gravi infedeltà (cfr. Ez16; Os 11). (Catechismo della Chiesa Cattolica, 219)
«La consapevolezza che abbiamo della nostra condizione di schiavi ci farebbe sprofondare sotto terra, il nostro essere di terra si scioglierebbe in polvere se l'autorità dello stesso nostro Padre e lo Spirito del Figlio suo non ci spingessero a proferire questo grido: "Abbà, Padre!" (Rm 8,15). [...] Quando la debolezza di un mortale oserebbe chiamare Dio suo Padre, se non soltanto allorché l'intimo dell'uomo è animato dalla potenza dall'alto?» (San Pietro Crisologo, Sermone 71, 3). (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2777)
"Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: "Abbà! Padre!". Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria". (Rm 8,12-17)

Contemplare il mistero
In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui [...]. Ed ecco una voce dal cielo che disse: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto» (Mt 3, 13.17). Con il Battesimo, Dio nostro Padre ha preso possesso della nostra vita, ci ha incorporati alla vita di Cristo e ci ha mandato lo Spirito Santo. (…) Il Signore ha posto nella tua anima un sigillo indelebile, per mezzo del Battesimo: sei figlio di Dio. Bambino: non ardi dal desiderio di far sì che tutti lo amino? (Santo Rosario, 1º mistero luminoso)
La filiazione divina è una verità lieta, un mistero di consolazione. Riempie tutta la nostra vita spirituale perché ci insegna a trattare, conoscere, amare il nostro Padre del Cielo, e colma di speranza la nostra lotta interiore, dandoci la semplicità fiduciosa propria dei figli più piccoli. Più ancora: dal momento che siamo figli di Dio, questa realtà ci porta anche a contemplare con amore e ammirazione tutte le cose che sono uscite dalle mani di Dio, Padre e Creatore. In tal modo, è amando il mondo che diventiamo contemplativi in mezzo al mondo. (È Gesù che passa, 65)

Se sono figlio di Dio, come posso entrare in relazione con Lui?
Possiamo adorare il Padre perché egli ci ha fatti rinascere alla sua vita adottandoci come suoi figli nel suo Figlio unigenito: per mezzo del Battesimo, ci incorpora al corpo del suo Cristo, e, per mezzo dell'unzione del suo Spirito che scende dal Capo nelle membra, fa di noi dei «cristi» (unti): «L'uomo nuovo, che è rinato e restituito, mediante la grazia, al suo Dio, dice innanzi tutto: Padre, perché è diventato figlio». (San Cipriano di Cartagine, De dominica Oratione, 9). (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2782)
Questo dono gratuito dell'adozione esige da parte nostra una conversione continua e una vita nuova. Pregare il Padre nostro deve sviluppare in noi due disposizioni fondamentali: il desiderio e la volontà di somigliargli. Creati a sua immagine, per grazia ci è restituita la somiglianza e noi dobbiamo corrispondervi. «Bisogna che, quando chiamiamo Dio "Padre nostro", ci ricordiamo del dovere di comportarci come figli di Dio» (San Cipriano di Cartagine, De dominica Oratione, 11). «Non potete chiamare vostro Padre il Dio di ogni bontà, se conservate un cuore crudele e disumano; in tal caso, infatti, non avete più in voi l'impronta della bontà del Padre celeste». (San Giovanni Crisostomo, De angusta porta et in Orationem dominicam, 3). 
«Padre nostro: questo nome suscita in noi, contemporaneamente, l'amore, il fervore nella preghiera, [...] ed anche la speranza di ottenere ciò che stiamo per chiedere [...]. Che cosa infatti può Dio negare alla preghiera dei suoi figli, dal momento che ha loro concesso, prima di tutto, di essere suoi figli?». (Sant'Agostino, De sermone Domini in monte, 2, 4, 16). (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2784-2785)

Contemplare il mistero
Un figlio di Dio tratta il Signore come Padre. Non con ossequio servile né con riverenza formale, ma con sincerità e fiducia. Dio non si scandalizza degli uomini, non si stanca delle nostre infedeltà. Il Padre del Cielo perdona qualsiasi offesa, quando il figlio torna a Lui, quando si pente e chiede perdono. Anzi, il Signore è a tal punto Padre da prevenire il nostro desiderio di perdono: è Lui a farsi avanti aprendoci le braccia con la sua grazia. (È Gesù che passa, 64)
Riposa nella filiazione divina. Dio è un Padre - tuo Padre! - pieno di tenerezza, di infinito amore. Chiamalo Padre molte volte, e digli - a tu per tu — che gli vuoi bene, che gli vuoi bene moltissimo!: che senti l'orgoglio e la forza di essere figlio suo. (Forgia, 331)
Notate quanto è sorprendente la risposta: i discepoli convivono con Gesù e, nel corso delle loro conversazioni, il Signore insegna come devono pregare; rivela il grande segreto della misericordia divina: siamo figli di Dio e possiamo intrattenerci fiduciosamente con Lui, come il figlio che conversa con suo padre. (Amici di Dio, 145)

Questa relazione non toglie all'uomo la libertà? Si può confidare in Dio?
Dio ha creato l'uomo ragionevole conferendogli la dignità di una persona dotata dell'iniziativa e della padronanza dei suoi atti. «Dio volle, infatti, lasciare l'uomo "in balia del suo proprio volere" (Sir 15,14) perché così esso cerchi spontaneamente il suo Creatore e giunga liberamente, con l'adesione a lui, alla piena e beata perfezione» (GS 17). (Catecihsmo della Chiesa Cattolica, 1730)
Con la sua croce gloriosa Cristo ha ottenuto la salvezza di tutti gli uomini. Li ha riscattati dal peccato che li teneva in schiavitù. «Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi» (Gal 5,1). In lui abbiamo comunione con la verità che ci fa liberi (Gv 8,32). Ci è stato donato lo Spirito Santo e, come insegna l'Apostolo, «dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà» (2 Cor 3,17). Fin d'ora ci gloriamo della «libertà dei figli di Dio» (Rm 8,21). (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1741)

Contemplare il mistero
Le parole non possono tener dietro al cuore che si commuove dinanzi alla bontà di Dio che ci dice: Tu sei mio figlio. Non un estraneo, non un servo trattato con benevolenza, non un amico, che già sarebbe molto: figlio. Ci concede di nutrire verso di Lui una pietà da figlio e anche, oserei dire, la sfacciataggine del figlio che sa di avere un Padre che non gli rifiuterà nulla. (È Gesù che passa, 185)
Coltiva, nella tua anima e nel tuo cuore, nella tua intelligenza e nel tuo volere, lo spirito di fiducia e di abbandono nell’amorosa Volontà del Padre celeste... - Da qui nasce la pace interiore a cui aneli. (Solco, 850)

Contemplare con le parole del Papa
Anche noi, (come Gesù) nella preghiera dobbiamo essere capaci di portare davanti a Dio le nostre fatiche, la sofferenza di certe situazioni, di certe giornate, l’impegno quotidiano di seguirlo, di essere cristiani, e anche il peso del male che vediamo in noi e attorno a noi, perché Egli ci dia speranza, ci faccia sentire la sua vicinanza, ci doni un po’ di luce nel cammino della vita.
Gesù continua la sua preghiera (nell'Orto degli Ulivi): «Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36). In questa invocazione ci sono tre passaggi rivelatori. All'inizio abbiamo il raddoppiamento del termine con cui Gesù si rivolge a Dio: «Abbà! Padre!» (Mc 14,36a). Sappiamo bene che la parola aramaica Abbà è quella che veniva usata dal bambino per rivolgersi al papà ed esprime quindi il rapporto di Gesù con Dio Padre, un rapporto di tenerezza, di affetto, di fiducia, di abbandono. Nella parte centrale dell'invocazione c’è il secondo elemento: la consapevolezza dell'onnipotenza del Padre – «tutto è possibile a te» -, che introduce una richiesta in cui, ancora una volta, appare il dramma della volontà umana di Gesù davanti alla morte e al male: «allontana da me questo calice!». Ma c’è la terza espressione della preghiera di Gesù ed è quella decisiva, in cui la volontà umana aderisce pienamente alla volontà divina. Gesù, infatti, conclude dicendo con forza: «Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Benedetto XVI, Mercoledì 1 febbraio 2012)

Tratto da: © josemariaescriva.info

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