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Ciascuno di noi è un messaggio che Dio manda al mondo (P. G. Vannucci OSM)

Una passo del Vangelo per te

UN PASSO DEL VANGELO PER TE

Il Padre Nostro

Dal Catechismo della Chiesa Cattolica

III. Padre «nostro»

2786 Padre « nostro » è riferito a Dio. L'aggettivo, per quel che ci riguarda, non esprime un possesso, ma una relazione con Dio totalmente nuova.

2787 Quando diciamo Padre « nostro » riconosciamo anzitutto che tutte le sue promesse d'amore annunziate dai profeti sono compiute nella Nuova ed eterna Alleanza nel suo Cristo: noi siamo diventati il « suo » popolo ed egli è ormai il « nostro » Dio. Questa nuova relazione è un'appartenenza reciproca donata gratuitamente: è con l'amore e la fedeltà che dobbiamo rispondere alla « grazia » e alla « verità » che ci sono date in Gesù Cristo.

2788 Poiché la Preghiera del Signore è quella del suo popolo negli « ultimi tempi », questo « nostro » esprime anche la nostra speranza nell'ultima promessa di Dio: nella nuova Gerusalemme egli dirà del vincitore: « Io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio » (Ap 21,7).

2789 Pregando il Padre « nostro » ci rivolgiamo personalmente al Padre del Signore nostro Gesù Cristo. Non dividiamo la divinità, poiché il Padre ne è « la sorgente e l'origine », ma confessiamo in tal modo che il Figlio è eternamente generato da lui e che da lui procede lo Spirito Santo. Non confondiamo neppure le Persone, perché confessiamo che la nostra comunione è con il Padre e il Figlio suo, Gesù Cristo, nel loro unico Santo Spirito. La Santissima Trinità è consostanziale e indivisibile. Quando preghiamo il Padre, lo adoriamo e lo glorifichiamo con il Figlio e lo Spirito Santo.

2790 Grammaticalmente, « nostro » qualifica una realtà comune a più persone. Non c'è che un solo Dio ed è riconosciuto Padre da coloro che, mediante la fede nel suo Figlio unigenito, da lui sono rinati mediante l'acqua e lo Spirito Santo. La Chiesa è questa nuova comunione di Dio e degli uomini: unita al Figlio unico diventato « il primogenito di molti fratelli » (Rm 8,29), essa è in comunione con un solo e medesimo Padre, in un solo e medesimo Spirito Santo.39 Pregando il Padre « nostro », ogni battezzato prega in questa comunione: « La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuor solo e un'anima sola » (At 4,32).

2791 Per questo, nonostante le divisioni dei cristiani, la preghiera al Padre « nostro » rimane il bene comune e un appello urgente per tutti i battezzati. In comunione con Cristo mediante la fede e il Battesimo, essi devono partecipare alla preghiera di Gesù per l'unità dei suoi discepoli.

2792 Infine, se preghiamo in verità il « Padre nostro », usciamo dall'individualismo, perché ne siamo liberati dall'amore che accogliamo. Il « nostro » dell'inizio della Preghiera del Signore, come il « noi » delle ultime quattro domande, non esclude nessuno. Perché sia detto in verità, le nostre divisioni e i nostri antagonismi devono essere superati.

2793 I battezzati non possono pregare il Padre « nostro » senza portare davanti a lui tutti coloro per i quali egli ha dato il Figlio suo diletto. L'amore di Dio è senza frontiere, anche la nostra preghiera deve esserlo. Pregare il Padre « nostro » ci apre alle dimensioni del suo amore, manifestato in Cristo: pregare con tutti gli uomini e per tutti gli uomini che ancora non lo conoscono, affinché siano riuniti in unità. Questa sollecitudine divina per tutti gli uomini e per l'intera creazione ha animato tutti i grandi oranti: deve dilatare la nostra preghiera agli spazi immensi dell'amore, quando osiamo dire: Padre « nostro ».

IV. «Che sei nei cieli»

2794 Questa espressione biblica non significa un luogo (« lo spazio »), bensì un modo di essere; non la lontananza di Dio, ma la sua maestà. Il nostro Padre non è « altrove »: egli è « al di là di tutto » ciò che possiamo concepire della sua santità. Proprio perché è tre volte Santo, egli è vicinissimo al cuore umile e contrito:

« Ben a ragione queste parole, Padre nostro che sei nei cieli, si intendono riferite al cuore dei giusti, dove Dio abita come nel suo tempio. Pertanto colui che prega desidererà che in lui prenda dimora colui che invoca ».

« I cieli potrebbero essere anche coloro che portano l'immagine del cielo tra i quali Dio abita e si muove ».

2795 Il simbolo dei cieli ci rimanda al mistero dell'Alleanza che viviamo quando preghiamo il Padre nostro. Egli è nei cieli: questa è la sua dimora; la casa del Padre è dunque la nostra « patria ». Il peccato ci ha esiliati dalla terra dell'Alleanza ed è verso il Padre, verso il cielo, che ci fa tornare la conversione del cuore. Ora, è in Cristo che il cielo e la terra sono riconciliati, perché il Figlio « è disceso dal cielo », da solo, e al cielo fa tornare noi insieme con lui, per mezzo della sua croce, della sua risurrezione e della sua ascensione.

2796 Quando la Chiesa prega: « Padre nostro che sei nei cieli », professa che siamo il popolo di Dio, già fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù, nascosti con Cristo in Dio,51 mentre, al tempo stesso, « sospiriamo in questo nostro stato, desiderosi di rivestirci del nostro corpo celeste » (2 Cor 5,2).

I cristiani « sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Passano la loro vita sulla terra, ma sono cittadini del cielo ».

In sintesi

2797 La fiducia semplice e filiale, la sicurezza umile e gioiosa sono le disposizioni che convengono a chi prega il « Padre nostro ».

2798 Possiamo invocare Dio come « Padre » perché ce lo ha rivelato il Figlio di Dio fatto uomo, nel quale, mediante il Battesimo, siamo incorporati e adottati come figli di Dio.

2799 La Preghiera del Signore ci mette in comunione con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Nel medesimo tempo rivela noi a noi stessi.

2800 Pregare il Padre nostro deve sviluppare in noi la volontà di somigliargli e [far crescere] in noi un cuore umile e confidente.

2801 Dicendo Padre « nostro » noi invochiamo la Nuova Alleanza in Gesù Cristo, la comunione con la Santissima Trinità e l'amore divino che, attraverso la Chiesa, abbraccia il mondo intero.

2802 L'espressione « che sei nei cieli » non indica un luogo, ma la maestà di Dio e la sua presenza nel cuore dei giusti. Il cielo, la casa del Padre, costituisce la vera patria, verso la quale siamo in cammino e alla quale già apparteniamo.

Tratto da: vatican.va
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Titolo originale: La preghiera domenicale
Sant'Ambrogio vescovo di Mediolanum

I santi Apostoli hanno pregato il Cristo: “Signore insegnaci a pregare come Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli” (Luc. 11, 1).
Così il Signore gli ha consegnato la Preghiera Domenicale.

Padre Nostro
La prima parola, quanto è dolce! Fino ad ora non osavamo rivolgere il nostro sguardo verso il cielo. Abbassavamo gli occhi verso terra e all'improvviso abbiamo ricevuto la grazia di Cristo e tutti i nostri peccati sono stati perdonati. Da vili servi che eravamo siamo diventati “figli” diletti. Però non dobbiamo inorgoglirci per la nostra diligenza ma per la grazia ricevuta da Cristo. “Vi siete salvati per grazia”, dice l’apostolo Paolo (Efes. 2, 5).
Testimoniare la grazia non è presunzione, non è alterezza, ma è fede. Professare quello che abbiamo ricevuto non è superbia ma devozione. Per cui alziamo i nostri occhi verso il Padre che ci ha fatto rinascere attraverso il bagno del battesimo, verso il Padre che ci ha riscattato attraverso Suo Figlio, dicendo: “Padre nostro”. Questo è un buono, un umile vanto. Come bambini, lo chiamiamo Padre. Però non dobbiamo pretendere nessun privilegio. Perché non è nostro Padre nel modo specifico e assoluto ma lo è soltanto di Cristo; per noi è il nostro comune Padre. Perché solo Lui ha generato, mentre noi ci ha creato. Diciamo dunque anche noi, per grazia, “Padre nostro”, per essere degni figli. Facciamo nostra la benevolenza e l’onore che ci ha donato la Chiesa.

Che sei nei cieli
Cosa significa “che sei nei cieli”? Ascoltiamo le Scritture dove dicono: “Colui che è più in alto di tutte le nazioni, il Signore, nei cieli la Sua gloria” (Salm.). Ovunque nelle Scritture vedremo che il Signore si trova nei cieli, e come ci dice l’innografo: “I cieli raccontano la gloria del Signore (Salm. 18, 2). Il cielo è il luogo dove si sono arrestati tutti i peccati. Il cielo è il luogo dove le trasgressioni sono punite. Il cielo è il luogo dove non esiste nessuna ferita di morte.

Sia santificato il tuo nome
Cosa significa “sia santificato il tuo nome”? Sembra che noi auguriamo che sia santificato Colui che ha detto: “Diventate santi, poiché io sono santo il Signore vostro Dio”(Lev. 19, 2). Come se la nostra parola avesse la forza di far crescere la Sua santità… Ma non è questo. Chiediamo che Dio sia santificato dentro di noi. Che la Sua santa grazia arrivi in noi.

Venga il tuo regno
Perché, non è eterno il regno di Dio? Gesù dice: “Per questo io sono stato generato e per questo sono venuto nel mondo”(Giov. 18, 37); e noi diciamo: “Venga il tuo regno”, come se il regno di Dio non fosse ancora arrivato. Però il vero significato di questa supplica è diverso. Dio arriva, quando noi riceviamo la Sua grazia. Lui stesso ce lo garantisce: “Il regno di Dio si trova dentro di voi”(Luc.17, 21).

Sia fatta la Tua volontà in cielo così in terra
Con il sangue di Cristo è stata pacificata ogni cosa sia in cielo sia in terra, il cielo è stato santificato, satana è stato cacciato. Da quel momento si trova dove è l’uomo che ha ingannato. “Sia fatta la Tua volontà” significa che arrivi la pace sulla terra come in cielo.

Dacci oggi il nostro pane sostanziale
Durante la divina eucaristia, prima che il sacerdote dica a voce alta le parole di Cristo: “Prendete e mangiate … bevetene tutti …”, quello che offriamo si chiama άρτος (pane). Successivamente non viene più chiamato άρτος ma Corpo. Perché allora, nella preghiera domenicale che recitiamo dopo, diciamo: “il nostro pane”? Ma aggiungiamo anche la parola “sostanziale” cioè la quantità che ci serve per la conservazione della nostra materia. L’ipostasi della nostra anima non viene fortificata dal pane materiale che entra nel nostro corpo ma dal pane celeste. Questo pane celeste lo chiamiamo anche “sostanziale”, che significa “quotidiano” perché gli antichi definivano il “domani” usando il termine “quotidiano”. Per cui esprimiamo con la stessa parola due significati.
Se però questo pane è sia quotidiano sia essenziale per la conservazione della materia perché aspettiamo che sia passato un anno intero per comunicarci? Riceviamo ogni giorno quello di cui abbiamo bisogno quotidianamente. Poiché colui che non è degno di riceverlo ogni giorno, non sarà degno di riceverlo neanche una volta all'anno. Giobbe offriva quotidianamente immolazione per i suoi figli avendo paura che avessero peccato attraverso le parole o avessero bestemmiato Dio nel loro cuore (Giobb. 1, 5). Ogni volta che viene offerta l’immolazione, noi sentiamo la memoria della morte, della resurrezione e della ascensione del Signore, e viene ridato il perdono dei peccati, e non riceviamo in quel momento il pane della vita? Chiunque ha una ferita chiede una medicina. Per noi è una ferita essere sottomessi al peccato. La celeste medicina sono i Divini Misteri.
Se comunichiamo quotidianamente, allora ogni giorno per noi sarà “oggi”. Se oggi Cristo è dentro di noi, rinasce e resuscita la nostra giornata. In quale modo? Il padre celeste dice a Gesù: “Tu sei mio figlio e io oggi ti ho generato”(Salm. 2, 7). “L’oggi”è il giorno nel quale Cristo resuscita. Esiste ieri e l’oggi. Dice l’apostolo: “La notte è avanzata e il giorno è vicino ”(Rom. 13, 12). La notte “dell’ieri” è passata. Il giorno “dell’oggi” è arrivato.

Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori
Cosa altro è il “debito” al di fuori del peccato? Se non avessimo accettato del denaro da qualche prestatore non saremmo debitori. Precisamente per questo motivo ci viene addebitato il peccato.
Avevamo a nostra disposizione “il denaro” e avevamo l’obbligo attraverso questo di rinascere ricchi. Eravamo ricchi, creati “secondo l’immagine di Dio”(Gen.1, 26). Abbiamo perso quello che avevamo, l’umiltà, quando per alterezza abbiamo avanzato pretese. Abbiamo perso il nostro denaro. Siamo rimasti nudi come Adamo. Abbiamo ricevuto da satana un prestito, che non ci era necessario. E così noi che eravamo liberi “in Cristo”, siamo diventati schiavi di satana. Il nemico aveva la cambiale. Ma il Signore l’ha inchiodata sulla Croce e l’ha cancellata con il Suo Sangue. Ha pagato il debito e ci ha liberato, per cui ha un significato speciale quello che diciamo: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Facciamo attenzione: “rimetti a noi…, come noi li rimettiamo…”(perdonaci…, come noi perdoniamo). Se perdoneremo, faremo qualcosa che è necessario per essere a nostra volta perdonati. Se non perdoniamo, come chiediamo, come pretendiamo da Dio di essere perdonati?

E non ci esporre in tentazione, ma liberaci dal maligno
Stiamo attenti a questo: “E non ci esporre”, non ci lasciare cadere in tentazione, alla quale non saremmo in grado di resistere. Non dice: “non ci condurre in tentazione”. Ma come atleti che desiderano lottare chiediamo di avere la forza necessaria per combattere il nemico, in altre parole il peccato. Il Signore, che ha portato sulle Sue spalle i nostri peccati e ha perdonato i nostri errori, è capace di proteggerci e custodirci dalle insidie del demonio che ci combatte. Così il nemico, che partorisce continuamente il male, non ci potrà conquistare. Colui che ha fede in Dio non ha paura del demonio: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?” (Rom. 8, 31). A Lui dunque appartiene ogni onore e gloria, ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen.

Tratto da: ortodoxia.it

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