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Una passo del Vangelo per te

UN PASSO DEL VANGELO PER TE

La comunione sulla mano è e resta un indulto

Molti confratelli sacerdoti e fedeli laici sembrano credere che il ricevere "la comunione sulla mano" - che in Italia è un uso neanche ventennale - sia un diritto divino intoccabile e sacrosanto... Forse ci si dimentica un tantino la storia, la teologia e recenti pronunciamenti.
La conferenza episcopale italiana, è riuscita solo nel 1989 a far approvare la POSSIBILITA' di ricevere la comunione sulla mano (19 maggio) e con un solo voto di scarto! Questa richiesta fu poi, come prassi, inoltrata alla Santa Sede perché venisse concesso l'indulto di distribuire la comunione in questa forma che si affianca, ma non sostituisce la precedente, né le è di per sé preferibile.

Ancora una decina d'anni prima dell'introduzione in Italia dell'indulto della comunione in mano, San Giovanni Paolo II aveva qualcosa da ridire riguardo a questa forma di distribuzione, che già era presente in varie nazioni europee e non.

Rileggiamo un passaggio della lettera Dominicae Cenae di giovanni Paolo II
In alcuni paesi è entrata in uso la comunione sulla mano. Tale pratica è stata richiesta da singole conferenze episcopali ed ha ottenuto l'approvazione della sede apostolica. Tuttavia, giungono voci su casi di deplorevoli mancanze di rispetto nei confronti delle specie eucaristiche, mancanze che gravano non soltanto sulle persone colpevoli di tale comportamento, ma anche sui pastori della Chiesa, che fossero stati meno vigilanti sul contegno dei fedeli verso l'eucarestia.
Avviene pure che, talora, non è tenuta in conto la libera scelta e volontà di coloro che, anche dove è stata autorizzata la distribuzione della comunione sulla mano, preferiscono attenersi all'uso di riceverla in bocca. E' difficile quindi, nel contesto dell'attuale lettera, non accennare ai dolorosi fenomeni sopra ricordati. Scrivendo questo non ci si vuole in alcun modo riferire a quelle persone che, ricevendo il Signore Gesù sulla mano, lo fanno con spirito di profonda riverenza e devozione, nei paesi dove questa pratica è stata autorizzata.
Bisogna tuttavia non dimenticare l'ufficio primario dei sacerdoti, che sono stati consacrati nella loro ordinazione a rappresentare Cristo sacerdote: perciò le loro mani, come la loro parola e la loro volontà, sono diventate strumento diretto di Cristo. Per questo, cioè come ministri della Santissima Eucaristia, essi hanno sulle sacre specie una responsabilità primaria, perché totale: offrono il pane e il vino, li consacrano, e quindi distribuiscono le sacre specie ai partecipanti all'assemblea, che desiderano riceverla. I diaconi possono soltanto portare all'altare le offerte dei fedeli e, una volta consacrate dal sacerdote, distribuirle. Quanto eloquente perciò, anche se non primitivo, è nella nostra ordinazione latina il rito dell'unzione delle mani, come se proprio a queste mani sia necessaria una particolare grazia e forza dello Spirito Santo!
Il toccare le sacre specie, la loro distribuzione con le proprie mani, è un privilegio degli ordinati, che indica una partecipazione attiva al ministero dell'eucaristia. E' ovvio che la Chiesa può concedere tale facoltà a persone che non sono né sacerdoti né diaconi, come sono sia gli accoliti, nell'esercizio del loro ministero, specialmente se destinati a futura ordinazione, sia altri laici a ciò abilitati per una giusta necessità, e sempre dopo un'adeguata preparazione.

Il Santo Padre, poi, prosegue la sua lettera facendo riferimento a questioni che sono - a distanza di vent'anni - tutt'altro che superate, anzi di attualità assoluta:
Abbiamo letto con commozione, in libri scritti da sacerdoti ex-prigionieri in campi di sterminio, relazioni di celebrazioni eucaristiche senza le suddette regole, e cioè senza altare e senza paramenti. Se però in quelle condizioni ciò era prova di eroismo e doveva suscitare profonda stima, tuttavia, in condizioni normali, trascurare le prescrizioni liturgiche può essere interpretato come mancanza di rispetto verso l'eucaristia, dettata forse da individualismo o da un difetto di senso critico circa opinioni correnti, oppure da una certa mancanza di spirito di fede.
Su noi tutti, che siamo, per grazia di Dio, ministri dell'eucaristia, grava in particolare la responsabilità per le idee e gli atteggiamenti dei nostri fratelli e sorelle, affidati alla nostra cura pastorale. La nostra vocazione è quella di suscitare, anzitutto con l'esempio personale, ogni sana manifestazione di culto verso Cristo presente e operante in quel sacramento d'amore. Dio ci preservi dall'agire diversamente, dall'indebolire quel culto, «disabituandoci» da varie manifestazioni e forme di culto eucaristico, in cui si esprime forse una «tradizionale» ma sana pietà, e soprattutto quel «senso della fede», che tutto il Popolo di Dio possiede, come ha ricordato il Concilio Vaticano II (cfr. «Lumen Gentium», 12).

Molti che esaltano i mea culpa di Giovanni Paolo II, dovrebbero forse tener presente anche quello qui riportato, di cui forse troppo poco ci si ricorda...
Conducendo ormai a termine queste mie considerazioni, vorrei chiedere perdono - in nome mio e di tutti voi, venerati e cari fratelli nell'episcopato - per tutto ciò che per qualsiasi motivo, e per qualsiasi umana debolezza, impazienza, negligenza, in seguito anche all'applicazione talora parziale, unilaterale, erronea delle prescrizioni del Concilio Vaticano II, possa aver suscitato scandalo e disagio circa l'interpretazione della dottrina e la venerazione dovuta a questo grande sacramento. E prego il Signore Gesù perché nel futuro sia evitato, nel nostro modo di trattare questo sacro mistero, ciò che può affievolire o disorientare in qualsiasi maniera il senso di riverenza e di amore nei nostri fedeli.

Motivi di riflessione e di revisione di certe prassi "allegre", mi pare ce ne siano in abbondanza.

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