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Ciascuno di noi è un messaggio che Dio manda al mondo (P. G. Vannucci OSM)

Una passo del Vangelo per te

UN PASSO DEL VANGELO PER TE

Sguardi oltre la morte

Il culto dei morti nella storia
Il culto dei morti non e un fatto esclusivamente cristiano. Esso ha la sua radice nella innata «religiosità» dell'uomo: nacque con l'uomo stesso. La storia e l'archeologia dimostrano che i riti funebri erano celebrati, presso tutti i popoli, da persone qualificate: sacerdoti, stregoni e capi tribù; secondo modalità, usi e costumi diversi. Nel mondo greco-romano e anche ebraico, era ritenuta cosa mostruosa lasciare un cadavere insepolto. Di fronte alla morte dovevano cessare gli odi, le vendette e le inimicizie: era doverosa una onorata sepoltura. Era comune e radicata convinzione che l'anima di un corpo insepolto non avrebbe trovato pace. Sarebbe stata condannata a vagare sopra la terra a danno dei viventi. I Padri della Chiesa combatterono questa superstizione che si protrasse a lungo, tanto che S. Agostino (+430) la ricorda e cerca di sfatarla. Anche oggi, dopo tanti secoli, in qualche paese di campagna o di montagna, si crede che durante i temporali notturni, le anime dei morti insepolti, vaghino per l'aria, recando calamità ai viventi. 
I pagani ritenevano le tombe sacre e inviolabili perché custodite dagli dèi. Il diritto romano sancì tale sacralità affidando le tombe alla giurisdizione dei sacerdoti. Simile cultura entrò anche nella mentalità cristiana per cui, spesso, nelle epigrafi antiche si leggono delle «maledizioni» contro coloro che osassero violare il sepolcro. Oggi tutti i paesi civili assicurano, nella loro legislazione, il rispetto e l'inviolabilità dei cimiteri e delle singole tombe.

La preparazione della salma
La preparazione della salma per la sepoltura era un impegno lungo e complesso al quale attendevano i parenti e, spesso, la comunità intera. Prima di tutto si doveva lavare e profumare la salma. La Chiesa cristiana non ebbe nulla da ridire circa questo uso praticato dai pagani; anzi san Girolamo ricorda che vi erano dei chierici addetti a questo ministero. L'uso degli aromi e dei profumi fu perfino esagerato, tanto che Tertulliano rimproverava i cristiani di comperare più aromi e profumi per i loro morti, che i pagani per «affumicare» i loro idoli. L'uso pagano di cospargere di aromi e di profumi il corpo del defunto acquistò, nella tradizione cristiana, un significato del tutto escatologico e pasquale. Il corpo del cristiano con il battesimo e l'eucaristia diviene il tempio dello Spirito Santo e aspetta la risurrezione finale. Anche oggi, in molti luoghi, si usa mettere, accanto alla salma, delle braci con foglie di ulivo e grani d'incenso; la Chiesa stessa, nei funerali, incensa la salma chiusa nella bara. 
Lavato e profumato, il corpo del defunto veniva poi vestito con abiti preziosi. Un'attenzione tutta particolare era riservata al corpo dei martiri. Sappiamo dalla storia che il corpo del martire san Pancrazio fu «dignissimis linteaminibus involutum»; e quando papa Pasquale, nell'820, fece la traslazione del corpo di santa Cecilia, questo fu trovato rivestito di «stoffe preziose e regali». La sfoggio e la vanità di alcuni ricchi nel rivestire il corpo dei loro defunti, furono rimproverati dai Padri della Chiesa. Ecco le dure parole di san Girolamo: «Perché vestite i vostri morti con vesti dorate? Perché non cessa la vostra ambizione tra i dolori e le lacrime? Forse che il cadavere dei ricchi deve marcire nella seta?». I vescovi, i sacerdoti e i diaconi erano vestiti con i paramenti sacri, propri della loro dignità gerarchica: usanza ancora viva nella tradizione della Chiesa. 
Preparato con ogni cura, il defunto, con le braccia distese lungo il corpo, veniva avvolto con bende. Così fu sepolto anche Lazzaro, tanto che Gesù, dopo averlo risuscitato da morte, comandò che fosse sciolto perché potesse camminare. Durante questo pietoso lavoro di preparazione, la comunità cristiana era sempre presente. In una stanza vicina o all'aperto, i cristiani, a turno, cantavano salmi, recitavano preghiere e proclamavano la parola del Signore. Peccato che questo santo uso, che coinvolgeva tutta la comunità cristiana, sia andato perduto, anche se in molti luoghi rimane viva la tradizione di riunire la comunità nella casa del defunto, e preferibilmente in Chiesa, per la recita del rosario e di altre preghiere, con la presenza del sacerdote o di una suora. 
Accanto alla salma non doveva mancare la lampada a olio, che poi veniva portata al luogo della sepoltura e conservata per le visite che i familiari facevano periodicamente ai loro defunti. Lungo i secoli, l'uso delle lampade e delle torce raggiunse proporzioni considerevoli, e per questo la stanza in cui si metteva la bara venne chiamata «camera ardente», come si chiama ancor oggi. 
I pagani costumavano mettere in bocca al defunto una moneta che serviva a pagare il noleggio per la barca di Caronte. I cristiani dell'Asia e dell'Africa, per sostituire questa mitologica superstizione, già dal IV secolo, prima di avvolgere la salma in un ampio lenzuolo che serviva da cassa, l'uso della quale fu introdotto più tardi, pensarono di mettere in bocca o sul petto del defunto l'Ostia consacrata, come viatico verso l'eternità. Non si può misconoscere il profondo significato di questa usanza ricca di fede e di speranza nella vita futura. Il fatto, poi, che il patriarca san Benedetto non si oppose a questo uso tra i suoi monaci, concorse a diffonderlo anche in Europa e a radicarlo nella mentalità cristiana, tanto da sopravvivere per diversi secoli, nonostante le proteste dei Padri della Chiesa e le condanne dei Concili. Verso il mille si cercò di ovviare all'evidente profanazione dell'eucaristia, mettendo l'Ostia consacrata in una teca o in un piccolo calice e scolpendo sulla lapide la formula «Christus est hic» o espressioni equivalenti. Solo verso il 1200 questa usanza venne abbandonata e, al posto dell'eucaristia, si cominciò a mettere sul petto del defunto il crocifisso e, nei secoli seguenti, anche il rosario della beata vergine Maria. Oggi questa usanza è diffusa in tutta la Chiesa. 
Nei primi secoli, il trasporto della salma al luogo della sepoltura veniva compiuto di notte. Tutta la comunità cristiana seguiva il feretro portando lampade e torce per rischiarare la strada e per testimoniare che il cristiano è l'uomo della luce. Nei secoli seguenti, quando fu permesso di fare i funerali alla luce del sole, i cristiani continuarono a portare le lampade accese per riaffermare la fede che il defunto non è morto ma dorme, aspettando la parola onnipotente di Gesù per la risurrezione fi­nale. Questo pensiero, esclusivamente evangelico, è la ragione per cui i cristiani, fin dalle origini, esclusero ogni disperata tristezza nelle loro cerimonie funebri; cosicché, mentre i pagani prezzolavano delle donne (le prèfiche) con il compito di piangere un simulato dolore, i cristiani cantavano salmi e l'Alleluia pasquale. 

La sepoltura 
La legge romana non permetteva la sepoltura di alcun cittadino dentro le mura della città e i cristiani vi si adeguarono. All'inizio si cercarono grotte, antri naturali o cave abbandonate. Il ricordo della tomba di Gesù era assai vivo e i primi cristiani si industriavano di realizzarlo. Moltiplicandosi il numero dei fedeli, fu necessario scavare in lunghezza e profondità, così che le grotte si prolungarono per chilometri, su piani diversi, con corridoi e sale per i riti liturgici e le àgapi fraterne. Così nacquero le «catacombe», delle quali tutti, più o meno, hanno sentito parlare e che molti hanno visitato. 
I primi cristiani desideravano ardentemente di collocare i loro defunti accanto alla tomba dei martiri, nella convinzione che il loro sangue giovasse, come scrive san Paolino, all'anima del vicino defunto. Così la formula «ad sanctos» divenne col tempo una sorta di superstizione, tanto che sant'Agostino faceva notare che «non la vicinanza alla tomba dei martiri giova all'anima dei defunti, bensì le preghiere e altre opere buone». Appena la Chiesa poté muoversi con libertà, s'adoperò perché le salme dei credenti fossero portate in chiesa per la celebrazione dell'eucaristia a suffragio delle loro anime. Questa pratica pastorale della Chiesa fu accolta con unanime consenso e già nel IV secolo era di uso comune, come fa comprendere sant'Agostino con le parole «sicut fieri solet», riferendosi al funerale della madre santa Monica. 
Abbiamo ricordato, con una certa ampiezza, gli usi e le costumanze del «culto dei morti» lungo i secoli, per spiegare l'origine di molte cerimonie funebri tuttora in uso ai nostri giorni, ma soprattutto per comprendere le tradizioni che la Chiesa ha conservato e, in certo modo, consacrato nella ristrutturazione della liturgia funebre. 

Il culto dei morti nella rivelazione divina
Una fruttuosa e cristiana visita al camposanto deve tener presente l'insegnamento della sacra Scrittura, rettamente inteso. Il comando di Dio al suo popolo, più volte ribadito, era perentorio: Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto terra (Es. 20,4). Fedele a un rigoroso «monoteismo», il popolo ebreo escluse ogni forma di culto che non avesse per oggetto l'unico vero Dio: quindi anche il culto dei morti. 
La sacra Scrittura, fin dall'origine, ricorda il dovere della sepoltura per qualsiasi defunto: parente, nemico, pellegrino o forestiero che fosse. Vi si legge che lo stesso patriarca Abramo comperò un pezzo di terra in Ebron per la sepoltura della moglie, della propria e di quella dei suoi discendenti: Isacco e Giacobbe (Gn. 23,3ss.). Il libro del Siracide sottolinea l'obbligo della sepol­tura con queste parole: Figlio, versa lacrime sul morto ..., poi seppelliscine il corpo secondo il suo rito e non trascurare la sua tomba (Sir. 38,16). Il dovere della sepoltura era così radicato nel po­polo ebreo, che il pio Tobia interruppe il pranzo quando seppe che il corpo di un uomo strangolato giaceva insepolto sulla pubblica piazza. Andò a prelevarlo e lo portò sul suo letto per seppellirlo al tramonto del sole. L'arcangelo Raffaele ebbe a lodare la pietosa opera di Tobia (Tb. 12,13), come il re David, qualche secolo prima, aveva lodato coloro che avevano dato sepoltura al re Saul, sebbene fosse stato il suo persecutore (2 Sam. 2,5). Per queste ragioni la Chiesa considera la sepoltura dei morti una delle «opere di misericordia corporali». 
Dai testi dell'Antico Testamento che abbiamo ora ricordato, si deve dedurre un importante insegnamento: la formula «culto dei morti» si presenta come ambigua e anche pericolosa. Pericolosa lo era specialmente per il popolo ebreo, costretto a vivere fra popoli politeisti e pagani, che spesso deificavano i loro morti, specie se «eroi», attribuendo loro un culto divino, con sacrifici e cerimonie corrispondenti. Da qui ebbero origine notevoli deviazioni di carattere religioso e cultuale, come dimostra la storia delle religioni. Dio, quindi, opportunamente, dissuase il suo popolo da ogni pratica cultuale verso i defunti, allo scopo di preservarlo da simili deviazioni e, nello stesso tempo, preservare la purezza del culto dovuto al solo e vero Dio. 

Rapporto tra morte e peccato 
Per avere un concetto adeguato della morte secondo l'insegnamento della Scrittura, è necessario evidenziare due verità da tener presenti nelle seguenti riflessioni. La prima verità, affermata con forza dalla parola di Dio, è questa: la causa della morte biologica non è Dio, ma il peccato dei progenitori. Infatti il secondo capitolo della Genesi mette in luce che Dio aveva creato l'uomo per la vita, e solo se avesse trasgredito il suo comando, sarebbe stato sottoposto alla legge della morte. Molto più tardi, il libro della Sapienza sintetizza questa importantissima verità con le seguenti parole: Sì, Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; lo fece ad immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza tutti coloro che gli appartengono (Sap. 2,23s.). Anche l'apostolo Paolo, scrivendo ai fedeli di Roma, dichiara: Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato (Rm. 5,12). 
La seconda verità, molto importante, riguarda la morte in rapporto al peccato attuale o personale. Da alcuni testi del libro sacro sembra che la vita lunga e felice sia il premio di una vita virtuosa; e, al contrario, la morte precoce sia la conseguenza di una vita dissoluta e peccaminosa. Ma l'autore del libro della Sapienza sottrae dal predetto giudizio alcuni casi concreti, per i quali vede la morte precoce come un provvidenziale intervento del Signore. Ascoltiamo le sue, parole: Divenuto caro a Dio, fu amato da lui e poiché viveva fra peccatori, fu trasferito. Fu rapito, perché la malizia non ne mutasse i sentimenti o l'inganno non ne traviasse l'animo, poiché il fascino del vizio deturpa anche il bene e il turbine della passione travolge una mente semplice. Giunto in breve alla perfezione, ha compiuto una lunga carriera. La sua anima fu gradita al Signore; perciò egli lo tolse in fretta da un ambiente malvagio (Sap. 4,10-14). Questa parola di Dio è certamente di grande conforto a quanti piangono la morte immatura dei loro cari, a volte rapiti tragicamente senza loro colpa. 

L'immortalità dell'anima
Dio creò l'uomo biologicamente immortale, ma il peccato limitò la durata della sua vita e la riempì di dolori e angosce come progressiva preparazione alla morte stessa. È impressionante vedere come gli autori sacri presentino la vita umana: una «goccia» nel mare, un «granello» di sabbia, un «sogno» che svanisce, un'«ombra» che passa, un «fiore» che marcisce, una «spola» che corre veloce... All'esperienza della vita fisica così presentata dalla Scrittura, fa luminoso contrasto l'alito di vita (Gen. 2,7) che, uscito dalla bocca di Dio, assicura l'immortalità all'uomo. 
L'immortalità dell'anima, intesa come sopravvivenza nell'aldilà, è affermata con forza già nei più antichi libri della Scrittura. La Genesi ricorda che il patriarca Abramo si riunì ai suoi antenati (Gen. 25,8), le quali parole non si riferiscono alla tomba di famiglia, ma al regno dei morti dove le anime dei defunti si trovano riunite. Il Qoelet, uno degli ultimi libri dell'Antico Testamento, attesta che l'uomo se ne va nella dimora eterna per due strade: la polvere (il corpo) alla terra, come era prima, e lo spirito... a Dio che lo ha dato (Qo. 12,5.7). L'autore sacro del secondo libro dei Maccabei, afferma l'immortalità dell'anima e la sua sopravvivenza nel mondo futuro, quando insegna che Dio, giusto giudice, darà una degna ricompensa a quanti fanno il bene e un meritato castigo a coloro che fanno il male. Giuda Maccabeo mandò i suoi uomini a raccogliere i cadaveri dei caduti in battaglia contro Gorgia. Nota il testo sacro: Ma trovarono sotto la tunica di ciascun morto oggetti sacri agli idoli di Iamnia, che la legge proibisce ai Giudei; fu perciò a tutti chiaro il motivo per cui costoro erano caduti. Allora Giuda, dopo aver esortato il popolo a mantenersi senza peccato, fece una colletta e raccolte circa duemila dramme d'argento, le inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio espiatorio... suggerito dal pensiero della risurrezione. Perché se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti (2 Mac. 12,40-44). 
Nello stesso libro sacro si racconta il martirio di sette fratelli uniti alla loro madre. Il fatto è certamente storico e le affermazioni dei protagonisti, davanti al feroce tiranno, testimoniano non solo le loro personali convinzioni, ma anche quelle di tutto il popolo ebreo in mezzo al quale vivevano ed erano stati educati. Il secondogenito rispose al re: Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re del mondo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a una vita nuova ed eterna. Dello stesso tenore sono le affermazioni del quarto giovane: È bello morire a causa degli uomini, per attendere da Dio l'adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati... Meravigliose, poi, sono le parole con le quali la coraggiosa madre esortava i suoi figli: Senza dubbio il Creatore del mondo che ha plasmato all'origine l'uomo ed ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo lo spirito e la vita... Rivolgendosi, poi, al più giovane dei figli, diceva: Non temere questo carnefice, ma, mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la morte, perché io ti possa riavere, insieme con i tuoi fratelli, nel giorno della sua misericordia (2 Mac. 7). 
L'immortalità dell 'anima, la conseguente felicità dei giusti e il castigo dei cattivi, sono cantati dall'autore del libro della Sapienza: Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, e nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero; la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza una rovina, ma essi sono in pace. Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza è piena d'immortalità. Per una breve pena riceveranno grandi benefici perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé: li ha saggiati come oro nel crogiolo e li ha graditi come un olocausto. Nel giorno del giudizio risplenderanno; come scintille nella stoppia, correranno qua e là. Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli e il Signore regnerà sempre su di loro (Sap. 3,1-8). 
La rivelazione divina dell'Antico Testamento che abbiamo ora ricordato, proclama a una voce che il peccato ha condannato l'uomo alla morte biologica, ma non a una totale distruzione o un ritorno nel nulla. L'alito di vita che vivifica il corpo durante il suo pellegrinaggio terreno, è la «scintilla divina» che gli assicura una nuova vita nel regno di Dio, quando la redenzione di Gesù rinnoverà tutto il creato. Così davanti al mistero della morte e soprattutto del dopo-morte, la parola di Dio è preziosa, confortatrice e ricca di speranza per noi pellegrini verso il camposanto. 

La resurrezione dei morti nel Nuovo Testamento
Se l'immortalità dell'anima e la sua sopravvivenza dopo la morte, è affermata, direttamente o indirettamente, in tutti i libri dell'Antico Testamento, la risurrezione dei corpi è una verità che solo la pienezza della rivelazione di Gesù presenta con chiarezza e certezza assolute. Dell'Antico Testamento, oltre le affermazioni del libro dei Maccabei già riferite, è opportuno ricordare le parole del profeta Daniele, forse le più chiare di tutte. Eccole: Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come stelle per sempre (Dn. 12,2-3). Vi sono anche altri testi, ma oscuri e di dubbio significato; da ciò si comprende perché i Sadducei, ricordati nel Vangelo, non credessero alla risurrezione dei morti (Mt. 22,23). 
In polemica con i Sadducei sul problema della risurrezione dei morti, Gesù sentenzia: Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio: Io sono il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Ora, non è il Dio dei morti, ma dei vivi (Mt. 22,31-32). Dio è il Vivente (Ap. 1,18) per eccellenza, e se dà la vita allo spirito non può tralasciare il corpo che forma, con lo spirito, il composto umano. L'affermazione più solenne della risurrezione dei morti è riportata dal Vangelo di Giovanni. Gesù distingue la morte spirituale da quella fisica, e attesta che quanti ascoltano la sua parola e credono al Padre che lo ha mandato, hanno la vita eterna. Questa risurrezione spirituale, è opera del Figlio che ha la vita in se stesso, e che il Padre ha mandato come salvatore di tutto l'uomo: corpo e anima. Proprio questa risurrezione spirituale è la caparra della risurrezione anche del corpo che Gesù annuncia con fermezza, prevenendo ogni difficoltà: Non vi meravigliate di questo perché verrà l'ora che tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna (Gv. 5,28-29).
La consolante verità della risurrezione dei morti, affermata da Gesù, è ripresa dall'apostolo Paolo, il quale non solo la conferma, ma la illustra e ne dà le ragioni teologiche. Paolo è chiamato in giudizio davanti al Sinedrio a motivo della risurrezione dei morti (At. 24,21). Quando, poi, fu giudicato dal governatore Felice, dichiarò davanti a tutti: ... nutrendo in Dio la speranza, condivisa pure da costoro, che ci sarà una risurrezione dei giusti e degli ingiusti (At. 24,15). Per san Paolo, quindi, non vi è alcun dubbio: tutti gli uomini, giusti ed ingiusti, risorgeranno da morte nel tempo stabilito da Dio, cioè alla fine dei tempi. 

Lo Spirito Santo e la risurrezione dei morti 
La risurrezione dei morti ha la sua causa in Colui che ha risuscitato Gesù: lo Spirito Santo che abita nei nostri cuori. Le parole dell'Apostolo sono sicure e trasparenti: E se lo Spirito di Colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, Colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del sue Spirito che abita in voi (Rm. 8,11). Scrivendo ai fedeli di Corinto ritorna sullo stesso argomento: Dio poi, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza (1 Cor. 6,14). E con più forza, facendo un confronto tra il corpo mortale e quello celeste, aggiunge: Noi crediamo e perciò parliamo, convinti che Colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a Lui insieme con voi... Sappiamo infatti che quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione in terra, riceveremo una abitazione da Dio, una dimora eterna, non costruita da mano d'uomo, nei cieli. Perciò sospiriamo in questo nostro stato, desiderosi di rivestirci del no­stro corpo celeste... In realtà quanti siamo in questo corpo, sospiriamo come sotto un peso, non volendo venire spogliati ma sopravvestiti, perché ciò che è mortale venga assorbito dalla Vita (2 Cor. 4,13-14; 5,1-4). In realtà la risurrezione dei morti è un evento che anche il corpo desidera ed aspetta, sospinto da quella misteriosa unione in cui lo spirito, unito al corpo, forma l'unico e inscindibile composto umano, proteso verso l'immortalità. 

La risurrezione del morti al centro della fede cristiana 
La risurrezione dei morti è una verità difficile da accettare per la terribile esperienza che si prova quando si riapre una bara dopo pochi anni dalla sepoltura. Per questo l'apostolo Paolo, affermata la verità e datane la ragione, al fine di convincere maggiormente i fedeli, li porta a considerare le conseguenze che deriverebbero dal rifiuto di tale verità. Dopo aver asserito che la risurrezione di Gesù, testimoniata da numerose apparizioni agli Apostoli, a più di cinquecento fratelli in una sola volta e infine a lui stesso, Paolo continua: Ora se si predica che Gesù è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste risurrezione dei morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede... Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se noi poi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno, però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine, quando egli consegnerà il Regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza. Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi. L 'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte (1 Cor. 15,12-25). Abbiamo riportato integralmente il testo dell'apostolo Paolo per le meravigliose verità che racchiude, e per la forza dialettica della sua argomentazione: a) la vitalità della predicazione e il valore della fede dipendono dalla risurrezione di Gesù, senza la quale l'edificio del suo Vangelo è vano e crolla; b) la risurrezione di Gesù e la nostra sono verità correlative e reversibili: negare la nostra risurrezione equivale negare quella di Gesù e viceversa; c) Gesù è la primizia dei risorti, primizia che richiede necessariamente l'intero raccolto: la risurrezione di tutti gli uomini, buoni e cattivi; d) la risurrezione dei morti è una verità correlativa a quella del peccato originale: Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo, il nuovo Adamo. e) dopo il peccato, la morte è il più grande nemico di Dio, il Vivente per natura. Ebbene Gesù ha distrutto il peccato con la sua morte redentrice e ha distrutto la morte con la sua risurrezione, che egli, come primizia, estenderà a tutte le creature. Solo così si compirà la parola della Scrittura: La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione? (1 Cor. 15,54-55). 
Anche l'Apocalisse, ultimo libro della rivelazione divina, conferma la risurrezione dei morti e il conseguente giudizio universale. Ecco le parole dell'apostolo Giovanni: Poi vidi i morti, piccoli e grandi, ritti davanti al trono. Furono aperti i libri. Fu aperto anche un altro libro: quello della vita. I morti vennero giudicati in base a ciò che era scritto in quei libri ciascuno secondo le sue opere. Il mare restituì i morti che esso custodiva e la morte e gli Inferi resero i morti da loro custoditi e ciascuno venne giudicato secondo le sue opere. Poi la morte e gli Inferi furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la seconda morte, lo stagno di fuoco (Ap. 20,12-14). Questa visione profetica di Giovanni è chiara nel suo contenuto e molto efficace. Essa attesta che la morte verrà distrutta per sempre e non avrà più potere sull'uomo e sul creato. 

Il corpo risorto 
Per completare il quadro della verità annunciata, l'apostolo Paolo, su richiesta dei cristiani, ci fa intravedere «come» risorgeranno i nostri corpi. È evidente che non è possibile dare una definizione scientifica dei corpi risorti. Noi, infatti, non abbiamo alcuna esperienza diretta delle realtà spirituali! Possiamo soltanto servirci di «analogie» che ci facciano intravedere quanto Dio ha preparato per i suoi eletti. L'analogia che usa l'Apostolo è quella del «seme». Spetta a Dio dare a ciascun seme il corpo che gli conviene. Certamente la natura del corpo risorto è uguale per tutti, ma le qualità saranno assai diverse. La bellezza ha le sue esigenze: come stella differisce da stella, fiore da fiore, splendore da splendore, così le qualità dei corpi risorti saranno più o meno luminose perché Dio, giusto rimuneratore, deve tener conto dei sacrifici, delle penitenze e delle virtù esercitate mediante il corpo, quale docile strumento dell'anima. Ecco le parole dell'Apostolo che realmente aprono un panorama impressionante alla nostra riflessione: Si semina corruttibile e risorge incorruttibile: si semina ignobile e risorge glorioso; si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale e risorge un corpo spirituale (1 Cor. 15,42-44). 
L'analogia del seme può far nascere il dubbio di una lenta evoluzione dei corpi risorti. Ma non è così! Infatti: In un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba, suonerà infatti la tromba, e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasfor­mati. È necessario infatti che questo nostro corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo no­stro corpo mortale si vesta di immortalità (1 Cor. 15,52-53). Abbiamo voluto presentare il pensiero dell'aposto­lo Paolo con le sue stesse parole, perché la stupenda verità della risurrezione dei morti sia compresa in tutta la sua profonda realtà. È infatti così sublime che perfino molti cristiani ne dubitano o di essa non han­no che vaghe e distorte idee. Ma la parola di Dio, così chiara, profonda e convincente nella presentazione dell'Apostolo, dovrebbe togliere ogni dubbio e illuminarne il contenuto. Inoltre la risurrezione dei morti, così esposta dall'Apostolo, ci fa intravedere la radicalità e l'estensione della redenzione di Gesù, e ci fa capire come il mistero pasquale di morte e di risurrezione del Figlio di Dio si rinnovi in ogni cristiano, anzi in tutto il creato. 

Il volto della morte alla luce della fede cristiana
La morte è una realtà che ogni vivente porta con sé dalla nascita, e tuttavia la sua presenza si fa viva solo quando comincia a toccare la nostra pelle. Neppure la partecipazione a un funerale o il passare davanti al cimitero riescono a incatenare la nostra riflessione su questa realtà che portiamo sempre con noi, e di cui facciamo continua esperienza in una pianta che muore, in una foglia che cade, in un fiore che appassisce. 
La parola di Dio ci richiama spesso al pensiero della morte e il suo ricordo è assai opportuno. Pur­troppo molti fuggono il pensiero della morte come qualche cosa di alienante per l'uomo, o, peggio ancora, come un ostacolo alla sua maturazione umana. Dio, invece, con le parole: In tutte le tue opere ricordati della tua fine e non cadrai mai in peccato (Sir. 7,36) fa comprendere che proprio il pensiero della morte illumina nella scelta tra il bene e il male, e conduce non solo alla maturazione, ma all'autentica promozione umana. Il cristiano non deve banalizzare la morte per il fatto che è una vicenda naturale come lo è il mangiare e il dormire, ma non deve farne neppure un «tabù», quasi non abbia nulla a vedere con la vita umana e specialmente cristiana. La fede, che ci presenta le verità future, ci richiama a quanto Dio ha rivelato: E stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio (Eb. 9,27). 

L'importanza del giorno della morte 
La parola di Dio, ora ascoltata, ci assicura che la morte, con il conseguente giudizio, chiude per tutti il tempo della prova, tempo che la provvidenza di Dio ha messo a disposizione dell'uomo per preparare la sua vita eterna, oltre la morte stessa. I veri cristiani s'impegnarono e, ogni giorno, s'impegnano a trafficare bene il tempo della vita terrena ricordando le parole di Gesù: Qual vantaggio, infatti, avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l'uomo potrà dare in cambio della propria anima? (Mt. 16,26). E le altre parole ancora più provocanti: Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna (Mt. 10,28). In realtà, solo la fede cristiana presenta la vera dimensione della vita terrena, la quale non è fine a se stessa, ma preparazione alla vita eterna oltre la morte. La Pasqua di Gesù, nel suo misterioso e antitetico binomio di morte-vita, ha strappato alla morte il suo carattere di «totalità e distruzione» che all'apparenza sembra avere. Nella vita di ogni uomo, Gesù ha inserito il «Regno di Dio» che cresce e si sviluppa (anche all'insaputa dell'uomo!), e lo prepara alla pasqua personale in cui la morte diventa «aurora di vita». Il cristiano ha già in mano, nella risurrezione di Gesù, la caparra di questa nuova ed eterna vita per cui può rinfacciare alla morte il suo preteso dominio: Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione? (1 Cor. 15,55). 

I vari aspetti della morte 
La parola di Dio ci prospetta altri «tipi» di morte, oltre quella fisica: la morte dello spirito, dovuta al peccato. Del figlio, tornato alla casa paterna, il padre disse: Facciamo festa perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita (Lc. 15,25). Si tratta di una morte analoga a quella fisica in quanto il peccato distrugge la grazia divina nell'anima e rende vana la redenzione. Questa morte è chiamata da san Giovanni la seconda morte (Ap. 20,14). 
Nella pedagogia di Gesù entra una seconda prospettiva della morte, cioè il morire a se stessi mediante l'accettazione, in chiave redentiva, della molteplice sofferenza umana che trasforma questa terra in una valle di lacrime. La parola di Gesù è chiara: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua (Lc. 9,23). Il primo Adamo, quello terrestre, con il peccato assoggettò l'uomo alla morte e ai dolori che la preparano; il secondo Adamo, quello celeste, Gesù Cristo, si sottomise volontariamente ai dolori e alla morte redentrice per la salvezza dell'uomo. Con la sua morte espiò i peccati e con la sua risurrezione distrusse la morte per divenire il Signore dei morti e dei vivi (Rm. 14,9). In questo dualismo «peccato-morte» e «croce-vita» si svolge il dramma quotidiano della vita cristiana. Spetta al credente decidere di se stesso. Ecco: accettare il nuovo Adamo con la sua croce, caparra di vita, significa accettare la vita come frutto della morte di croce, secondo le parole chiare, trasparenti e senza alternative di Gesù: Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna (Gv. 12,25). Al contrario, chi non vuole accettare il nuovo Adamo, Gesù Cristo e la sua croce, caparra di vita, si dispone alla seconda morte, quella «totale e definitiva». 
La fede e soprattutto l'ascetica cristiana presentano il battesimo come «un morire con Cristo». È una realtà meravigliosa! Infatti i battezzati formano un solo «corpo» con Cristo, una nuova stirpe: la stirpe dei redenti! L'uomo è liberato dal peccato e dalle potenze del male mediante la vita battesimale vissuta in Cristo Gesù. L'apostolo Paolo, riferendo a se stesso questa rinascita, scrive: Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me. Questa vita che io vivo nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me (Gal. 2,20). Non bisogna però illudersi! La fede e la vita cristiana non sono formule magiche. Tutto dipende da quella scelta fondamentale che il cristiano deve fare per Cristo. Ecco allora la dimensione teologica della vita del battezzato: Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne; la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste due cose si oppongono a vicenda (Gal. 5,16-17). E con più forza, scrivendo ai Romani: Noi siamo debitori, ma non verso la carne, per vivere secondo la carne; poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece, con l'aiuto dello Spirito, voi fate morire le opere del corpo, vivrete (Rm. 8,12-13). 

La speranza cristiana guarda oltre la morte
Il cristiano accetta la morte fisica nella fede di Cristo risorto e questa fede pasquale è il fondamento necessario della speranza che non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato (Rm. 5,5). Così la fede, la speranza e l'amore creano un paradosso tutto cristiano: Il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo (Fil. 1,23). Infatti per il credente il vivere è Cristo e il morire un guadagno (Fil. 1,21). 
Come la morte, venuta dal peccato, coinvolse non solo i discendenti di Adamo, ma anche tutto il creato, così la vittoria della risurrezione di Gesù si estese all'universo intero: Secondo la sua promessa noi aspettiamo nuovi cieli e una nuova terra, nei quali avrà stabile dimora la giustizia (2 Pt. 3,12). La pasqua di Gesù è una vittoria radicale, veramente «cosmica»! Infatti: La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio... e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza siamo stati salvati (Rm. 8,19-24). La redenzione di Gesù si estende a tutto il creato e non può essere diversamente! La cornice (il creato) e il quadro (l'uomo) sono stati coinvolti insieme nel mistero della morte e saranno pure coinvolti nel mistero della risurrezione.
Quantunque la vita umana sia votata alla morte, noi non ci scoraggiamo, ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno (2 Cor. 4,16). Certo! La fede e la speranza non devono confinare il cristiano in una specie di «nirvana» inattivo e fatalistico, ma sollecitarlo a preparare il suo radioso avvenire, pur nel doloroso cammino della vita terrena. A questo proposito l'apostolo Paolo dava ai fedeli di Corinto una meravigliosa direttiva ascetica che ogni credente dovrebbe portare impressa nella mente, perché capace di sconvolgere qualsiasi vita e indirizzarla al suo vero fine. Ascoltiamola: Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili sono eterne (2 Cor. 4,17-18). In definitiva, come la fede manifesta le realtà soprannaturali dell'uomo e di tutto il creato, cosi la speranza deve elevare ed indirizzare il pensiero e le opere dell'uomo verso i beni eterni del cielo. L'impegno pastorale della Chiesa 

L'impegno pastorale della Chiesa verso gli anziani e gli ammalati
Tutta l'attenzione della Chiesa è rivolta all'uomo. Non può essere diversamente! Il creato, pur nel suo meraviglioso splendore che la scienza mette sempre più in luce, non è che una semplice cornice del quadro, costituito dalla persona umana. Con questa persona, lo stesso Figlio di Dio si è fatto solidale mediante l'incarnazione; e, con la sua passione, morte e risurrezione, le ha dato la possibilità di essere partecipe della stessa felicità di Dio, nel cielo. 
La Chiesa, madre amorosa, s'interessa dell'uomo appena concepito nel seno materno: ne proclama la dignità e l'inviolabilità; ne difende l'integrità fisica e morale. Essa invita tutti a cooperare allo sviluppo del bambino concepito trattandosi di una vera persona con i relativi diritti. Per questo ha sempre insegnato che l'aborto e l'infanticidio sono «abominevoli delitti» che violano la legge naturale e i diritti dell'uomo. 

La Chiesa cammina con l'uomo 
La Chiesa è sempre vicina all'uomo! Accoglie il neonato e, mediante la grazia santificante del battesimo, lo costituisce figlio di Dio e lo inserisce come membro nel suo corpo mistico. Lo istruisce con la catechesi per prepararlo alla prima comunione, alla cresima e al sacramento della penitenza. Lo aiuta a formarsi una famiglia fondata sull'amore, sull'onestà e sulla fecondità per la continuazione della vita. La Chiesa, madre premurosa, desidera ardentemente di vedere i suoi figli raccolti, ogni domenica, attorno all'altare perché si sentano figli di Dio ascoltando la sua parola. Così si forma la famiglia cristiana, unita e compatta nella preghiera e alimentata dalla fede, dalla speranza e dalla carità. 

La Chiesa è vicina al malato 
Il logorio degli anni che passano o la malattia, più o meno grave, debilitano fisiologicamente il corpo umano: sopraggiungono l'anzianità e lo stato d'infermità. La Chiesa si fa presente a questi suoi figli più bisognosi e desidera stringerli al suo cuore. Ecco: «Si ricordino i sacerdoti e soprattutto i parroci... che è loro dovere visitare personalmente e con premurosa frequenza i malati, e aiutarli con senso profondo di carità». La Chiesa, riconoscendosi una comunità unita nell'amore, si rivolge pure a tutti i suoi figli: «Tutti i cristiani devono far propria la sollecitudine e la carità di Cristo e della Chiesa verso gli infermi. Cerchino quindi, ciascuno secondo le possibilità del proprio stato, di prendersi premurosa cura dei malati, visitandoli e confortandoli nel Signore e aiutandoli fraternamente nelle loro necessità» (o.c., n. 42). Con questi e altri pressanti inviti, la Chiesa ricorda a tutti i cristiani il dovere dell'aiuto amoroso, non solo verso i propri familiari, ma anche verso tutti i fratelli bisognosi a motivo dell'infermità o dell'anzianità. 
La Chiesa riconosce di non possedere l'elisir della giovinezza e tanto meno il toccasana per ogni malattia. Essa si presenta agli anziani e ai malati con i mezzi che Gesù stesso le ha affidato per il bene spirituale e per la salvezza dell'anima ormai prossima a rendere conto a Dio sia nel bene che nel male. Ecco la meravigliosa pedagogia della Chiesa: «I parroci specialmente, e tutti coloro che sono addetti alla cura degli infermi, sappiano suggerir loro parole di fede, che li aiutino a rendersi conto del significato dell'infermità umana alla luce della salvezza; li esortino inoltre a lasciarsi guidare dalla luce della fede per unirsi a Cristo sofferente, santificando con la preghiera la loro infermità, e attingendo dalla preghiera stessa la forza d'animo necessaria a sopportare i loro mali» (o.c., n. 43). Certamente la fede in Cristo sofferente, rende più sopportabile la malattia e più radiosa la speranza nella vita futura, come dimostra la storia di tanti santi che, inchiodati sul letto da atroci e lunghe malattie, hanno saputo impreziosire le loro vite che potevano sembrare inutili. 

I sacramenti propri dei malati 
Il tesoro più prezioso che Gesù affidò alla sua Chiesa è l'Eucaristia. Questo sacramento che la Chiesa offre ai fanciulli che si aprono alla vita, con altrettanto amore lo porge agli anziani e ai malati che non possono recarsi in chiesa. I sacerdoti, affiancati da suore o da laici debitamente autorizzati, ogni mese, in particolari circostanze o «anche tutti i giorni» passano per le case a portare la santa comunione a quanti la desiderano (o.c., n. 46). 
Il Vangelo ci presenta spesso Gesù circondato da malati dell'anima e del corpo. Egli era Dio e con la sua parola onnipotente raddrizzava gli zoppi, illuminava i ciechi, mondava i lebbrosi, risuscitava i morti e perdonava i peccati. E ora? L'apostolo Giacomo ricorda il sacramento che Gesù istituì specificatamente per gli anziani e malati. Ecco le sue parole: Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera, fatta con fede, salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati (Gc. 5,14-15). Il sacramento dell'Unzione degli infermi non è sempre rettamente inteso dai cristiani; spesso è trascurato per la falsa paura che quanti lo ricevano debbano necessariamente morire. Gesù, invece, istituì questo sacramento per la salvezza dell'anima e a sollievo del corpo. Esso rimette i peccati, aiuta a sopportare le sofferenze della malattia e dell'anzianità e, se ciò entra nella provvidenza di Dio, conferisce anche la salute del corpo. Così i malati e gli anziani partecipano alle sofferenze di Cristo crocifisso, impreziosiscono la loro vita spirituale arricchendola di meriti e purificandola per la gloria del cielo. 
Quando il cammino della vita si avvicina al traguardo, la Chiesa si stringe ancor più vicino al malato per accompagnarlo verso l'eternità. Abbiamo già visto come nei secoli passati i cristiani usavano mettere l'Ostia consacrata in bocca o sul petto del defunto per farlo giungere al giudizio divino tra le braccia stesse di Gesù salvatore. Oggi la Chiesa prescrive: «Spetta al parroco e agli altri sacerdoti che si dedicano alla cura pastorale degli infermi provvedere che gli ammalati in pericolo di morte ricevano il sostegno e il conforto del sacro viatico del Corpo e Sangue di Cristo» (o.c., n. 128). La santa comunione, in questa circostanza, è chiamata «viatico» quasi «cestino da viaggio» verso l'eternità. 
La Chiesa non solo offre ai moribondi i sacramenti istituiti da Gesù Cristo, ma desidera che tutta la comunità cristiana sia vicina ai fratelli sofferenti in ore così decisive per la loro salvezza eterna: «L'amore verso il prossimo deve spingere i cristiani a stare vicino ai fratelli moribondi e ad esprimere la loro fraternità implorando con essi e per essi la misericor­dia di Dio e il conforto della fiducia in Cristo Gesù (o.c., n. 207). Per quanto riguarda la Chiesa, essa apre per i moribondi i tesori spirituali della sovrabbondante redenzione di Cristo e dei meriti dei suoi figli migliori, la vergine Maria, i martiri e i santi, e offre ai morenti l'indulgenza plenaria «in articulo mortis» che, purificando l'anima da «ogni debito di. pena temporale» dovuto per i peccati, li dispone a passare dal letto del loro dolore alla gloria del cielo (o.c., n. 194). 
Appena il morente ha esalato l'ultimo respiro, la Chiesa l'accompagna con la seguente preghiera che esprime la sua materna preoccupazione per il figlio che deve presentarsi al giudizio di Dio: Venite, santi di Dio, accorrete angeli del Signore. Accogliete la sua anima e presentatela al trono dell 'Altissimo. Ti accolga Cristo, che ti ha chiamato, e gli angeli ti conducano con Abramo in paradiso. Accogliete la sua anima e presentatela al trono dell'Altissimo. L'eterno riposo donagli, o Signore, e splenda a lui la luce perpetua. Accogliete la sua anima e presentatela al trono dell'Altissimo. E a nome di tutti i presenti aggiunge: Ti raccomandiamo, Signore, l'anima fedele del nostro fratello, perché, lasciato questo mondo, viva in te, e in tutto ciò che ha peccato per la fragilità della condizione umana, ottenga dalla tua clemenza il perdono e la pace. Per Cristo nostro Signore (o.c., n. 241). La Chiesa che accolse il neonato fra le sue braccia materne, ora affida il figlio defunto tra le braccia del Dio delle misericordie.

La preparazione personale a una santa morte
Dopo l'invito alla preghiera, la raccomandazione più frequente che Gesù rivolge ai suoi discepoli è questa: Vigilate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora (Mt. 25,13). Mantenersi sempre pronti perché non si conosce quando ritorna il padrone di casa o lo sposo per le nozze, è conseguenza dell'imprevedibilità della morte. La morte infatti tronca all'improvviso il tempo che Dio ha messo a disposizione dell'uomo per guadagnarsi, con l'aiuto della sua grazia, la salvezza eterna dell'anima. La stessa alternativa del castigo eterno che Gesù minaccia a coloro che saranno colti dalla morte in peccato mortale, induce a prendere sul serio la sua raccomandazione di essere sempre preparati. La storia della Chiesa è piena di stupendi esempi di buoni cristiani che hanno abbandonato ogni cosa per prepararsi a una santa morte; e di molti peccatori che, accogliendo l'invito del Salvatore, hanno intrapreso un lungo e spesso difficile cammino di conversione. 
La morte deve essere preparata durante la vita. Un fatto così decisivo e dalle alternative conseguenze di premio o di castigo eterni non può essere relegato all'ultimo posto o all'ultimo momento nelle preoccupazioni della vita umana. Molti, purtroppo, scacciano il pensiero della morte come un guastafeste, come un pensiero che solo i malati di mente possono coltivare... Il cristiano, invece, è convinto che il pensiero della morte è un pensiero efficace e stimolante; esso impone una direttiva alla vita, frena le passioni, incoraggia nelle difficoltà e soprattutto spinge a conversione e penitenza. La parola di Gesù è tagliente come una spada: Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? (Mt. 16,26). Anzi per la salvezza dell'anima, Gesù provoca l'uomo a scelte radicali: Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo taglialo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno. E se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, che avere due occhi ed essere gettato nella Geenna del fuoco (Mt. 18,8-9). Il cristiano, come deve essere pronto a mortificare se stesso pur di salvare la propria anima, così deve essere disposto ad accettare le persecuzioni più crudeli e la stessa morte: Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna (Mt. 10,28). 

La conversione permanente e coraggiosa 
L'uomo, «immagine di Dio», non è fatto per la terra, ma per il cielo: in terra nasce, vive, soffre, combatte e muore per divenire un giorno, nella Casa del Padre, da semplice «immagine» una stupenda «realtà». La parola di Gesù è sicura: Questa è la vita eterna: che conoscano te, unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo (Gv. 17,3). Di conseguenza: a) i fatti salvifici compiuti da Gesù per la salvezza umana, assicurano che l'uomo, pur fra le turbinose vicende della vita, è destinato a ritornare al suo Creatore; b) la parola di Dio è per il cristiano la direttiva di ogni sua attività; è la norma per conoscere il bene e il male e formarsi una coscienza retta e onesta; è lo stimolo per amare il suo Dio nell'osservanza fedele dei suoi comandamenti preparando così il suo ritorno nella Casa del Padre; c) anche nell'amara esperienza del peccato, la fede nella misericordiosa bontà di Dio, invita il credente a intraprendere un cammino di «conversione», perché il Figlio di Dio è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto (Lc. 19,10). Così la fede e la speranza sono due ali potenti che sollevano il cristiano dal materialismo e gli fanno toccare con mano come la paterna provvidenza di Dio lavori con lui e per lui per condurlo alla patria eterna. 
La preparazione a una morte santa è un impegno di tutti e per tutta la vita. La «conversione», predicata da Gesù, è rivolta a tutti come necessario cammino di liberazione dal male sempre in agguato nel cuore dell'uomo. La conversione «permanente» è necessaria quanto la fede, e Gesù non solo la comanda, ma la indica come condizione indispensabile per raggiungere il traguardo: Se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli (Mt. 18,3). Il cristiano deve convincersi della necessità della «conversione permanente» per frenare le passioni, per correggere i vizi, per fuggire le occasioni del male... Deve essere una conversione «coraggiosa», pronta, quando occorre, a tagli dolorosi e a scelte radicali affinché il giorno della morte diventi il giorno più bello della vita. 

La Comunione frequente e ben fatta 
L'esperienza cristiana insegna che la migliore preparazione a una santa morte, oltre la fede viva e operosa, oltre la conversione permanente e coraggiosa, è la frequenza dei sacramenti e la preghiera quotidiana. 
Ogni vita ha bisogno di nutrimento per vivere, altrimenti è destinata a morire. Dio ha predisposto un cibo per la vita del corpo e un «pane» celeste per la vita dell'anima. Le parole di Gesù nella sinagoga di Cafarnao sono chiare e stupende: In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell 'uo­mo e non bevete il suo sangue, non avrete la vita in voi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui (Gv. 6,53-56). Purtroppo l'uomo moderno si preoccupa fino al parossismo del cibo materiale, ma assai poco del pane disceso dal cielo, il solo che può nutrire e saziare la sua anima. Infatti Gesù continua: Chi mangia di questo pane vivrà in eterno (Gv. 6,58). E una verità meravigliosa! La Santa Comunione, ricevuta spesso e con le dovute disposizioni, stabilisce la dimora di Gesù nel cuore dell'uomo e gli mette in mano la caparra più sicura di una santa morte. 
La Comunione ben fatta richiede la purezza dell'anima; e Gesù, conoscendo la debolezza dell'uomo, istituì il sacramento della penitenza per togliere il peccato dal cuore dell'uomo. Così la frequenza della confessione e della Comunione, assicurano una perfetta vita cristiana e, per conseguenza, una santa morte. 

La preghiera: caparra per una santa morte 
Oltre che di cibo, l'uomo necessita anche di ossigeno. L'ossigeno indispensabile all'anima è la preghiera quotidiana. Come l'humus della terra fa crescere la pianta e la tiene rivolta verso il cielo, così la preghiera quotidiana rivolge l'uomo a Dio e lo tiene in comunione con lui. Del resto, se un figlio amorevole desidera intrattenersi in dolce colloquio con il proprio padre, a maggior ragione il cristiano cercherà un colloquio amoroso con il Padre del cielo che gli ha promesso benevolo ascolto. Pregare, quindi, per una santa morte entra nella volontà di Dio e il cristiano ogni giorno domanderà al Signore questa grazia che gli assicurerà il premio eterno. 
Il cristiano che visita il cimitero, fondato nella sua fede e con la ferma speranza che nel cielo incontrerà il suo Creatore, il suo Salvatore, la Madre celeste e suoi santi fratelli, è in grado di pregustare davvero come il giorno della sua morte sarà il giorno più bello della sua vita. 

La liturgia funebre presentata dalla Chiesa
Alla vista di un corpo senza vita, tutti sono presi da un senso di smarrimento e di dolore. Sono sentimenti umani che la Chiesa cristiana rispetta e considera doverosi. Ai suoi figli che sono nel dolore per la morte di un fratello, la Chiesa ricorda il mistero pasquale di Cristo morto e risorto, per ravvivare la loro fede e confermare la loro speranza. Ecco le sue parole: «Nelle esequie, la Chiesa prega che i suoi figli, incorporati per il battesimo a Cristo morto e risorto, passino con lui dalla morte alla vita e, debitamente purificati nell'anima, vengano accolti con i santi e gli eletti del cielo, mentre il corpo aspetta la beata speranza della venuta di Cristo e la risurrezione dei morti». A questo scopo «la Chiesa, madre pietosa, offre per i defunti il sacrificio eucaristico, memoriale della pasqua di Cristo, e innalza preghiere e compie suffragi; e poiché tutti i fedeli sono uniti in Cristo, tutti ne risentono vantaggio: aiuto spirituale i defunti, consolazione e speranza quanti ne piangono la scomparsa» (ivi). 
Ogni popolo, anzi ogni regione ha proprie tradizioni funebri, con usi e costumi diversi che la Chiesa rispetta. In queste tradizioni e culture essa inserisce la sua liturgia, ricca di preghiere per suffragare l'anima del defunto, ricca di fede e di speranza a sollievo dei fedeli che sono nel dolore. Vediamone i momenti più significativi. 

La veglia
In molte parrocchie la comunità cristiana si raduna, ad ora convenuta, nella casa del defunto per una veglia di preghiera. Oggi si preferisce fare questa pia pratica in chiesa con la partecipazione di tutta la comunità. Si recita il rosario della beata vergine Maria, si cantano dei salmi e si fanno delle letture appropriate della parola di Dio. È questo il primo suffragio comunitario per il defunto, e, nello stesso tempo, un fraterno conforto offerto ai parenti e amici che sono nel dolore. Ecco una fra le molte e meravigliose preghiere che la liturgia della Chiesa mette nella bocca e nel cuore dei fedeli in veglia davanti al defunto: Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione, che ci ami di eterno amore e trasformi l'ombra della morte in aurora di vita; guarda i tuoi fedeli che gemono nella prova. Sii tu, Signore, il nostro rifugio e conforto, perché dal lutto e dal dolore siamo sollevati alla luce della tua presenza. Ascolta la preghiera che ti rivolgiamo nel nome del tuo Figlio, nostro Signore, che morendo ha distrutto la morte e risorgendo ci ha ridato la vita; e fa' che al termine dei nostri giorni possiamo andare incontro a lui, per unirci ai nostri fratelli nella gioia senza fine, là dove ogni lacrima sarà asciugata e i nostri occhi vedranno il tuo volto (o.c., n. 31). 

La deposizione del corpo nel feretro
Il primo distacco dei familiari dal defunto avviene quando il corpo, dal letto di morte, è accuratamente sistemato nella bara. E’ una scena commovente! Ogni familiare ha qualche cosa da fare perché il defunto si trovi bene nella sua nuova dimora. È il primo distacco! È il primo addio! La Chiesa accompagna questo pietoso ufficio con le parole: Accogli, Signore, l'anima del fedele N. che hai chiamato da questo mondo a te, e fa' che liberata da ogni colpa sia partecipe della beata pace e della luce senza tramonto, e meriti di unirsi ai tuoi santi ed eletti nella gloria della risurrezione (o.c., n. 38). 

Dalla casa del defunto alla Chiesa
Il trasporto del feretro dalla casa del defunto o dall'obitorio alla porta della chiesa, è fatto processionalmente. Il sacerdote, con i paramenti sacri e preceduto dalla croce, accoglie la bara e benedice la salma con le parole: Udii una voce dal cielo che diceva: «Beati i morti che muoiono nel Signore» (o.c., n. 54). Parole meravigliose che aprono il cuore angosciato di fronte alla morte! Segue la recita o il canto di altri salmi e preghiere tradizionali fino all'inizio della Messa esequiale. 

La S. Messa esequiale
Il centro della liturgia funebre è il sacrificio eucaristico in suffragio dell'anima del fratello che, chiamato da Dio, ha lasciato questo mondo per presentarsi al suo giudizio. È desiderio della Chiesa che ogni funerale sia celebrato con la santa messa esequiale, anche se prevede dei funerali senza messa, che può essere rimandata ad altro tempo e luogo. Una bella e costosa cassa, tanti fiori e preziose ghirlande non giovano all'anima del defunto. Sono un segno di rimpianto e di affetto, ma spesso sono imposte dalla vanità dei parenti e degli amici! Da qui il detto cristiano: «Non fiori, ma opere di bene»! Queste «opere di bene» muovono la misericordia di Dio perché abbrevi il tempo della totale purificazione dell'anima nel purgatorio. La santa messa è la principale «opera di bene» perché la celebra lo stesso Gesù Cristo, unico ed eterno sacerdote, che, come offrì se stesso sulla croce in espiazione dei peccati dell'umanità, così sull'altare, sotto gli elementi del pane e del vino, rinnova la sua offerta al Padre per l'anima del defunto, il cui corpo sta ai piedi dell'altare. I cristiani che sinceramente e rettamente amano i loro defunti non devono preoccuparsi unicamente dei preparativi esterni, ma con una sincera confessione e una santa comunione, s'impegnino a unirsi al sacrificio di Cristo in suffragio dell'anima del fratello. Anzi sarebbe ottima cosa che tutta la comunità cristiana, che partecipa al funerale, si accostasse alla santa comunione offrendo questa «opera di bene» per l'anima del defunto, che egli ripagherà, il cento per uno, quando lascerà il purgatorio per essere ammesso alla visione beatifica di Dio. 
Per meglio entrare nel cuore della liturgia funebre è opportuno riflettere su alcune preghiere che la Chiesa mette sulla bocca del celebrante durante la santa messa. Sono un canto alla misericordia di Dio, invocata per l'anima del defunto, e un richiamo continuo al mistero pasquale di Cristo risorto, segno e caparra della nostra risurrezione. Ecco la prima: Dio, Padre misericordioso, tu che ci doni la certezza che nei fedeli defunti si compie il mistero di Cristo tuo Figlio morto e risorto: per questa fede che noi professiamo, concedi al nostro fratello che si è addormentato in Cristo, di risvegliarsi con lui nella gloria della risurrezione (o .c., n. 68). Le altre preghiere, con sottolineature diverse, contengono analoghi concetti e richiamano le stesse verità. 
Un'attenzione particolare merita il primo prefazio della messa funebre. Non è sufficiente leggerlo, bisogna meditarlo. È un gioiello per i meravigliosi concetti che esprime. Per il credente questi concetti e queste verità sono un conforto che nessuna parola umana può dare. Le verità divine, condensate in questo prefazio, non solo illuminano l'oscurità della morte, ma la stessa vita acquista una dimensione escatologica che dà significato a tutto il dramma umano. Eccolo: È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Gesù Cristo nostro Signore. In lui rifulge per noi la speranza della beata risurrezione, e se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consoli la promessa dell'immortalità futura. Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta ma trasformata: e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata una abitazione eterna nel cielo. Per questo mistero di salvezza, uniti agli angeli e ai santi cantiamo senza fine l'inno della tua gloria. 

Commiato e ultime preghiere
Terminata la santa messa, prima d'iniziare il viaggio verso il camposanto, la Chiesa, madre pietosa, esorta ancora una volta a pregare per l'anima del fratello defunto. Ecco la preghiera accorata, ma piena di speranza che essa suggerisce: Prima di compiere, secondo il rito cristiano, il pietoso ufficio della sepoltura, supplichiamo Dio nostro Padre: in lui e per lui tutto vive. Noi affidiamo alla terra il corpo mortale del nostro fratello nell'attesa della sua risurrezione: accolga il Signore la sua anima nella comunione gloriosa dei santi, apra le braccia della sua misericordia, perché questo nostro fratello, redento dalla morte, assolto da ogni colpa, riconciliato con il Padre, e recato sulle spalle dal buon pastore, partecipi alla gloria eterna nel regno dei cieli (o.c., n. 73). Dopo aver benedetta e incensata la bara in segno di venerazione del corpo che racchiude, ecco ancora una preghiera. La Chiesa stessa, la mistica sposa di Cristo che egli amò e santificò con il suo sangue, si presenta davanti a Dio, tenendo fra le mani l'anima del suo figlio defunto. È commovente! Nelle tue mani, Padre clementissimo, consegna­mo l'anima del nostro fratello con la sicura speranza che risorgerà nell'ultimo giorno insieme a tutti i morti in Cristo. Ti rendiamo grazie, o Signore, di tutti i benefici che gli hai dato in questa vita come segno della tua bontà e della comunione dei santi in Cristo. Nella tua misericordia senza limiti, aprigli le porte del paradiso; e a noi che restiamo quaggiù dona la tua consolazione con le parole della fede, fino al giorno in cui, tutti riuniti in Cristo, potremo vivere con te nella gioia eterna (o.c., n. 77). La processione verso il sepolcro é ancora tempo propizio per una ulteriore preghiera. A tale scopo la liturgia propone delle commoventi invocazioni per coloro che vogliono veramente aiutare il fratello defunto. Purtroppo per molti questa processione si trasforma in una passeggiata di distrazione e di chiacchiere... 

Al sepolcro
Prima che gli operatori cimiteriali si mettano all'opera, il sacerdote benedice la tomba con queste parole pregne di fede e di speranza: O Dio, che nella tua misericordia doni riposo alle anime dei fedeli, benedici questa tomba e affidala alla custodia del tuo angelo santo; concedi che mentre il corpo viene sepolto, l'anima, libera da ogni vincolo di peccato, in te si allieti di gioia perenne insieme ai tuoi santi (o.c., n. 87). La comunità cristiana che ha accompagnato al camposanto un fratello non può dimenticare gli altri fedeli che il Signore ha chiamato a sé. Ecco allora la preghiera per tutti i defunti; è una preghiera a largo respiro e ricorda le più importanti verità cristiane: Dio onnipotente che con la morte in croce del tuo Figlio hai vinto la morte, con il suo riposo nel sepolcro hai santificato le tombe dei fedeli e con la sua gloriosa risurrezione ci hai ridato la vita immortale, accogli le nostre preghiere per coloro che morti e sepolti in Cristo attendono la beata speranza e la manifestazione gloriosa del Salvatore. Concedi, o Signore, a coloro che ti hanno fedelmente servito sulla terra di lodarti senza fine nella beatitudine del cielo (o.c., n. 89). La liturgia funebre, commovente e ricca di fede e di speranza, si conclude con la tradizionale preghiera: L'eterno riposo donagli, o Signore, e splenda a lui la luce perpetua (o.c., n. 90). 

I suffragi, atti di amore e aiuto ai fratelli defunti
La liturgia funebre che abbiamo ricordato, mette in evidenza il pressante invito della Chiesa alla preghiera e alle «opere buone» in suffragio dei defunti. In realtà i suffragi sono un atto di amore verso coloro che Dio ha chiamato a Sé; e sono l'unico modo per aiutarli nella loro necessità. Essi, infatti, hanno bisogno di una totale purificazione da ogni penalità dovuta per le colpe commesse, che, non compiuta durante il pellegrinaggio terreno, deve essere ultimata nel purgatorio. Il suffragio cristiano s'inserisce tra il debito di «penalità» e la totale purificazione per abbreviarne il tempo. I cristiani, battezzati in Cristo, formano il suo «corpo mistico»; e mediante quella misteriosa e reciproca partecipazione, chiamata «comunione dei santi», le opere buone degli uni sono di aiuto agli altri. Questa è la ragione teologica della validità dei suffragi, come ha sempre insegnato e praticato la Chiesa. 
Le pene del purgatorio non vanno intese come un castigo inflitto da Dio. Esse hanno la loro causa nella tormentosa esperienza dell'anima per la sua forzata lontananza da Dio, sommo bene. Questa pena è certamente la più dolorosa perché l'anima, libera da tutte le pastoie e alienazioni della vita terrena, è sospinta verso Dio da un innato e insopprimibile desiderio di essere simili a lui e vederlo faccia a faccia (1 Cor. 13,12) così come egli è (1 Gv. 3,2). Questa visione, chiamata «beatifica», è la ragione dell'estasi eterna dei beati in cielo, della quale le anime del purgatorio sono private fino al compimento della loro totale purificazione. 

La purificazione dell'anima dopo la morte 
La purificazione dell'anima nel purgatorio ha molteplici aspetti e momenti diversi. Prima di tutto: i peccati veniali, se ci fossero, vengono cancellati da quell'ardente amore che l'anima, ormai sicura della sua salvezza, nutre verso Dio. È una purificazione istantanea e proviene dallo stesso atto di amore. Secondariamente: le concupiscenze disordinate, le passioni e le inclinazioni al peccato che l'anima non ha combattuto durante la vita e che forse ha coltivato e radicato con i peccati commessi, esigono una più lunga e laboriosa purificazione. In paradiso, infatti, che è Dio stesso, non può entrare nulla d'immondo e d'inquinato. Ora le concupiscenze disordinate, le passioni perverse, le inclinazioni al peccato e altre cose simili sono disordini che Dio, somma santità, non può tollerare: quindi devono essere purificate. Questa purificazione sarà più o meno lunga e laboriosa secondo il perverso e radicato disordine insito nell'anima. Il terzo caso riguarda la purificazione dei peccati gravi e mortali già perdonati mediante la confessione o, nell'impossibilità di questa, con l'atto di dolore perfetto. Il peccato mortale, anche perdonato come colpa e come castigo eterno, lascia «un debito o una penalità» per il disordine che ha portato nell'individuo e, spesso, nella stessa società. Ebbene questi disordini devono essere scontati durante la vita con la penitenza volontaria o nel purgatorio. Solo l'infinita rettitudine di Dio e la sua infinita giustizia può determinare il tempo e i modi di questa purificazione. 

I suffragi: il valore delle opere buone
Circa i «suffragi» per i defunti, non tutti i cristiani hanno una retta conoscenza della dottrina della Chie­sa e della sana teologia. Ogni «opera buona e santa» come la santa messa, la comunione, la preghiera, l'umile accettazione delle sofferenze della vita, il dovere quotidiano svolto con fede secondo la volontà di Dio, le volontarie penitenze, gli atti di carità fraterna, la pratica delle opere di misericordia corporali e spirituali sono «opere buone e sante» che Dio consiglia e, spesso, comanda e che accetta con benevolenza di Padre. Ebbene queste «opere buone e sante» assumono aspetti e valori diversi: a) sono opere «latreutiche», cioè glorificano Dio per la sua infinita maestà e gloria; b) sono opere «eucaristiche» in quanto sono un dovuto ringraziamento a Dio per tutti gli aiuti e grazie che continuamente dona all'uomo. Questi due aspetti e valori delle «opere buone» hanno per oggetto diretto lo stesso Dio. c) Il terzo aspetto è «impetratorio». Ecco la parola di Gesù: Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro (Mt. 18,19-20). d) L'ultimo valore delle «opere buone» è «soddi­sfattorio» in quanto, in certo modo, ripaga le offese che l'uomo arreca al suo Dio. Questi ultimi due aspetti hanno per oggetto l'uomo. Lo stesso sacrificio della croce, l'opera «buona» per eccellenza, ebbe tutti e quattro questi aspetti: due rivolti a Dio e due rivolti all'uomo. 
Il cristiano e la comunità cristiana, possono offrire il valore «impetratorio» delle loro opere buone per se stessi o per il bene dei fratelli, secondo l'invito dell'apostolo Giacomo: Pregate gli uni per gli altri per essere guariti. Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza (Gc. 5,16). Questo merito, però, non può essere applicato per i defunti, essendo finito per loro il tempo della prova. D'altra parte, l'unica grazia che i defunti possono ricevere è la «visione beatifica» che, come abbiamo già visto, è solo rimandata alla loro completa purificazione. 
Tutto il valore del suffragio cristiano è racchiuso nel quarto aspetto delle «opere buone», cioè nel valore «soddisfattorio, che può essere offerto per le anime dei defunti a loro purificazione. Come Gesù offrì il sacrificio della croce in «espiazione vicaria» per i peccati dell'umanità, così il cristiano può offrire le sue opere buone per la purificazione delle anime dei defunti. La ragione teologica della validità dei suffragi offerti per le anime del purgatorio, proviene dalla misteriosa relazione che unisce la Chiesa pellegrina in terra a quella del purgatorio e a quella trionfante in cielo. E come la Chiesa dei nostri Santi del cielo «intercede» per la Chiesa terrena, così questa può «espiare e soddisfare per quella del purgatorio. Pertanto i cristiani che aiutano i fratelli defunti con le «opere buone» che abbiamo ricordato, compiono un meraviglioso atto di carità fraterna, raccomandato dalla Chiesa, accetto a Dio e utile a loro stessi. 

I suffragi: le varie specie e loro efficacia 
Una forma particolare di aiuto ai defunti è «l'indulgenza». Il suo valore non dipende dalle preghiere o dalle altre opere buone indicate dalla Chiesa per acquistarla, ma in quanto la Chiesa stessa mette a disposizione dei fedeli defunti i meriti e le opere sante di Cristo e dei suoi figli migliori: la vergine Maria, i santi, i martiri e gli innumerevoli cristiani, vissuti lungo i secoli, che nel nascondimento, nella penitenza e nella preghiera hanno cercato Dio giorno e notte. Il merito «espiatorio» o «soddisfattorio» dell'indulgenza è proprio di chi l'acquista, ma la Chiesa può disporre che sia applicato anche per i defunti. L'indulgenza infatti è un tesoro che la Chiesa apre quando vuole e distribuisce secondo le sue intenzioni, essendone la depositaria. Anche per l'indulgenza, come per i suffragi in genere, è difficile stabilire quanto giovi all'anima per la quale viene applicata. Infatti la Chiesa e la Tradizione non hanno direttive sicure da parte di Dio. Una cosa, però, è certa: la somma giustizia di Dio e la sua infini­ta rettitudine non possono disattendere l'intenzione di chi acquista l'indulgenza. Le rivelazioni private a questo proposito non sono sempre affidabili e non vanno prese come norma generale. 
L'insegnamento della Chiesa, interpretato dalla sa­na teologia, presenta alcune verità che riteniamo uti­le ricordare per illuminare tanti interrogativi circa lo stato delle anime del purgatorio e circa i suffragi fatti per loro. 1. I defunti non possono meritare nulla per sé; il tempo della loro prova è finito con la morte. Essi accettano con amore le pene che la misericordia di Dio offre a loro per una totale purificazione; anzi desiderano che siano aumentate per partecipare quanto prima alla visione beatifica di Dio, oggetto ultimo di ogni loro brama. In questo però sono uniformati alla paterna provvidenza di Dio che tutto dispone con somma giustizia e rettitudine. 2. 1 defunti in purgatorio possono pregare e offrire le loro pene (= il merito impetrativo) per noi pellegrini sulla terra, specialmente per quanti pregano per loro. Da ciò si comprende come le opere buone fatte per i defunti, siano assai vantaggiose anche per coloro che le compiono. 3. La santa messa è il massimo dei suffragi perché applica alle anime dei defunti il merito «soddisfatto­rio» dello stesso sacrificio di Gesù, reso attuale nei segni sacramentali sull'altare. Quanto di questo merito sia applicato all'anima per la quale si celebra la messa, è difficile stabilire. La giustizia di Dio e la sua infinita rettitudine tengono certamente conto dell'intenzione del sacerdote e di quella dell'offerente. 4. La messa per i defunti è sempre vantaggiosa a loro per due motivi: Dio ama le anime del purgatorio e desidera liberarle per averle con sé nella gloria del cielo. Deve, però, tener conto del loro cammino di purificazione, richiesto dalla sua somma santità. Le anime, poi, sono più che ben disposte a ricevere la soddisfazione del sacrificio di Cristo, a differenza di noi pellegrini in terra sempre attaccati ai nostri peccati. 5. Oltre la santa messa, altri suffragi utilissimi alle anime del purgatorio, sono: la comunione ben fatta, la preghiera, qualche offerta, la penitenza, le indulgenze, la vita cristiana vissuta con impegno, le opere di misericordia corporali e spirituali, ecc. 6. Le «Messe Gregoriane». Per quanto riguarda questo particolare suffragio si devono tener presenti alcuni principi. L'origine: esse si basano su un fatto storico narrato dal papa san Gregorio; il sacrificio, cioè la spesa che fa l'offerente nell'ordinare le trenta messe; il merito di tante messe applicate per lo stesso defunto; infine la tradizione della Chiesa che ha sempre considerata valida questa pia pratica. Nonostante tutto questo, il cristiano ben illuminato riconosce che i suffragi offerti per le anime del purgatorio sono distribuiti dalla libera volontà di Dio che certamente tiene conto, per giustizia e rettitudine, dell'intenzione di coloro che li compiono, come abbiamo già affermato. 7. Il precetto della carità fraterna, tanto inculcato da Gesù, spinge delle anime generose a fare «l'atto eroico» a favore delle anime nel purgatorio. Esso consiste nell'offrire per loro le preghiere, i sacrifici i meriti e tutte le altre opere buone fatte durante la vita. Con questo meraviglioso atto di carità fraterna, il cristiano offre la sua vita per i fratelli bisognosi di purificazione nella certezza che Dio, a suo tempo, gli restituirà ogni cosa con un interesse degno di Dio. In conclusione, la devozione alle anime del purgatorio è una pratica che la Chiesa ha sempre favorito e raccomandato. Infatti nella liturgia eucaristica e in quella delle «Ore» non ha mai tralasciato di pregare per i fratelli defunti. 

La visita al cimitero: pellegrinaggio di salvezza
Una esistenza estroversa e molto dispersiva è la triste condizione dell'uomo moderno. Le preoccupazioni, il lavoro, le tensioni per formarsi, conservare o migliorare la sua posizione, le relazioni interpersonali e cento altre cose gli tolgono il più piccolo spazio ai tempo per ritrovare se stesso, per riflettere su progetti personali, spesso, più importanti della vita stessa. Oltre a queste dispersioni esterne e sociali, vi sono quelle interne alla famiglia: la radio, la televisione e le riviste seducenti che penetrano nelle stanze anche chiuse a chiave e incatenano i bambini, gli adulti e gli anziani al punto che la famiglia è ridotta a vivere come sulla veranda prospiciente a un pubblico mercato. Fra tanta dispersione e stordito dagli incessanti e contrastanti messaggi, l'uomo d'oggi difficilmente riesce a riflettere e prospettarsi i problemi che riguardano il suo spirito e il suo futuro dopo la morte. Egli vive alla giornata, vittima, in buona parte, delle seduzioni materialistiche ed alienanti che la civiltà e la cultura contemporanee di continuo sollecitano. Anche la visita al camposanto per molti cristiani risente di simile vuoto di spiritualità che investe, purtroppo, non solo la vita individuale, ma anche quella familiare e sociale. A somiglianza di quei turisti che entrano nella casa di Dio e, dopo aver scandagliato ogni angolo, se ne vanno senza aver formulato un semplice pensiero della presenza del Signore, così molti visitatori del cimitero ripartono senza lasciarsi neppure sfiorare dalle meravigliose verità che la fede cristiana offre ai suoi figli e che noi abbiamo cercato di richiamare in queste brevi pagine. 
Il cristiano che intende compiere una fruttuosa visita al camposanto deve prepararsi spiritualmente. Deve richiamare alla memoria alcune verità che la fede sottopone alla sua riflessione. Non può, quindi, ridursi a una visita di puro rimpianto, di affetto o di cortesia: portare un fiore, accendere un lume, riassettare la tomba. Questi gesti, squisitamente umani, non sono da svalutare, anzi da compiere con amore, ma non sono essenziali, né specificatamente cristiani. 

Le attività dell'anima separata dal corpo 
La prima verità che la ragione e soprattutto la fede presentano al credente è l'immortalità dell'anima. Quanti cristiani ne dubitano! Senza questa fede nella parola di Dio che l'afferma nel modo più assoluto, l'uomo è ridotto a una dimensione puramente materiale che la morte distruggerà per sempre. Allora sulla pietra sepolcrale bisognerebbe scrivere la parola: Fine! In questo caso la visita al cimitero non ha senso, e per un cristiano è un assurdo come rincorrere un sogno notturno! Il cristiano invece crede fermamente che l'anima del defunto continua a sopravvivere in attesa di ritornare a vivificare il suo corpo risorto, alla fine dei tempi. La differenza tra la natura angelica e quella dell'anima sta proprio qui: l'angelo vive in sé e per sé; mentre l'anima, pur vivendo in se stessa, tende naturalmente al rapporto con il suo corpo con il quale forma un'unica realtà: la persona umana. 
Quanti interrogativi affollano la mente di coloro che stanno attorno alla tomba dei loro cari!... «Si ricorderanno di noi»?... «Ci saranno vicini»?... «Ci ameranno come prima»? Domande che suscitano tanta angoscia e reclamano una risposta: a) Le facoltà proprie dell'anima sono l'intelletto e la volontà, dalle quali ha origine l'amore. Ebbene, l'anima, anche separata dal corpo, conserva queste doti inalterate e perfette perché costituiscono la sua natura spirituale. b) Durante la vita terrena, l'anima, mediante i sensi del corpo, si era formata delle cognizioni, delle amicizie, delle idee e delle esperienze più o meno vaste e complete. È chiaro che tutto questo bagaglio di conoscenze l'anima lo porta con Sé; anzi, liberata dalla remora dei sensi, lo può maggiormente estendere e perfezionare riflettendo in se stessa. c) La stessa conoscenza «analogica» di Dio che l'anima si era formata durante la vita, ragionando a partire dalle cose create, diventerà più perfetta, estesa e penetrante. Questo vale, è chiaro, per le anime del purgatorio che non hanno ancora la «visione beatifica», propria dei santi in cielo. d) La ragione, e soprattutto la fede, attestano que­ste consolanti verità. Infatti le anime dei nostri morti non sono realtà evanescenti, ombre senza vita, ma persone vive e attive. Esse si ricordano di noi, ci amano e ci stanno vicine come quando erano con noi. Solo che, essendo senza il corpo, non possono manifestarsi ai nostri sensi. 

La triplice situazione dell'anima separata dal corpo 
«Che sarà di loro»? Ecco la domanda che più di ogni altra angoscia il credente! La fede ci assicura che le anime separate dal corpo si trovano di fronte a una triplice situazione. La prima, dolorosa ma possibile, è di coloro che chiudono il tempo della prova terrena con la co­scienza in peccato mortale, e senza aver domandato sinceramente perdono a Dio. Per costoro il giudizio di Dio è chiaro ed inappellabile: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli (Mt. 25,41). Queste anime conoscono Dio con la stessa conoscenza «analogica» che avevano durante la vita, fatta, però, più penetrante e profonda perché libere dai condizionamenti della vita terrena. Tale conoscenza è la ragione della «pena del danno» che costituisce il loro inferno. Conoscono, infatti, il Bene infinito che hanno perduto, senza la speranza di poterlo, un giorno, possedere. Questo è il più terribile tormento perché penetra la stessa natura dell'anima, creata per la conoscenza della verità e per la fruizione del sommo Bene. Oltre a questa pena, ve ne sono delle altre, come il fuoco, ricordato dalla parola di Dio. Per queste anime la Chiesa non prega né può pregare perché irreparabilmente perdute. 
Il secondo caso, il più fortunato, è di coloro che passano da questa vita, non solo in amicizia con Dio, ma anche con una «perfetta purificazione» da ogni «penalità» dovuta per i peccati. Per costoro si avverano le parole che Gesù disse al ladrone sulla croce: In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso (Lc. 23,43). Il cristiano può compiere questa «totale purificazione» con il dolore perfetto dei suoi peccati, con l'amore sincero verso Dio, con la penitenza volontaria, con l'indulgenza e con tante altre «opere buone» che abbiamo visto trattando dei suffragi, applicando, però, il merito soddisfattorio a se stesso. Queste anime fortunate, lasciato il corpo e giudicate favorevolmente, riceveranno immediatamente da Dio il dono di una grazia speciale che eleva il loro intelletto e la loro volontà e le rende idonee a «una chiara e intuitiva» conoscenza di Dio così come egli è (1 Gv. 3,2). Questa grazia speciale, propria degli eletti, è chiamata dai teologi «lumen gloriae» o «gratia visionis». 
Tra la conoscenza naturale o «analogica» di Dio, propria dell'uomo durante la vita, e la conoscenza proveniente dalla visione beatifica, propria degli eletti, corre una differenza sostanziale riguardo il modo. La parola di Dio mette in luce questa differenza quando insegna: Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo a faccia a faccia (1 Cor. 13,12). E ancora: Sappiamo che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui perché lo vedremo così come egli è (1 Gv. 3,2). Questa conoscenza intuitiva e perfetta di Dio a faccia a faccia, così come egli è, compenetra profondamente la stessa natura dell'anima, creando in essa l'amore beatifico che la mantiene nell'estasi eterna. Il cristiano che crede all'immortalità dell'anima e alla felicità che Dio ha preparato per i suoi amici nel suo paradiso, non guarderà a sacrifici e alla stessa morte pur di sentirsi ripetere le parole di Gesù: Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo (Mt. 25,24). 
Il terzo caso, forse il più frequente, è di coloro che lasciano questo mondo con la coscienza monda dal peccato grave, ma non completamente purificata, così da essere degni dell'immediata visione di Dio. Per queste anime la misericordia di Dio ha predisposto un tempo, più o meno lungo, di purificazione: il purgatorio. L'esistenza del purgatorio ha un duplice fondamento. Primo: la debolezza umana sempre peccatrice. Afferma, infatti, l'apostolo Giovanni: Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la Verità non è in noi (1 Gv. 1,8). Il secondo fondamento è l'infinita santità di Dio che non può ammettere alla sua presenza nulla d'immondo. Perciò l'unanime tradizione della Chiesa, che da sempre ha pregato e prega per i defunti, testimonia l'esistenza del purgatorio dove le anime si purificano per rendersi degne della somma santità di Dio. Inoltre i documenti dei Concili e dei Papi, l'insegnamento dei Padri e l'unanime fede dei cristiani confermano che l'esistenza del purgatorio è una verità che fa parte del «patrimonio» rivelato della Chiesa cristiana. Ebbene, le anime che lasciano il loro corpo con dei peccati veniali, con imperfezioni, con disordini e tendenze perverse, oppure con il debito o «penalità» di peccati gravi già perdonati, sono avviate al purgatorio per una «totale e completa purificazione» per essere degne della visione beatifica nel cielo. In questa necessaria opera di purificazione, la Chiesa pellegrina sulla terra può stendere una mano a questi suoi figli e aiutarli con i suffragi, come abbiamo affermato nei capitoli antecedenti. Così i suffragi, oltre che essere un atto di squisita carità fraterna conseguono pure un interesse spirituale per coloro che li compiono. Le anime dei defunti, infatti, si ricordano dei loro benefattori e li ripagano con il cento per uno di quanto fanno per abbreviare le loro pene. Questa è la costante e universale Tradizione della Chiesa! 
La Chiesa di Gesù è una sola, compaginata nell'amore, e tuttavia si articola in tre stadi, distinti fra loro non tanto per il fattore tempo, quanto per la loro intima natura. a) La Chiesa gloriosa del cielo, formata dai nostri santi, vive nella visione beatifica di Dio, nell'estasi eterna. Essa intercede per noi pellegrini sulla terra, e noi possiamo pregare i nostri santi come fratelli e imitarne gli esempi. b) La Chiesa del purgatorio è formata dai nostri fratelli bisognosi di purificazione. Essi richiedono i nostri suffragi, e nello stesso tempo intercedono per noi conoscendo le nostre necessità, avendole sperimentate durante la vita. c) La Chiesa terrena è formata da noi pellegrini nel tempo. Noi, mentre possiamo aiutare la Chiesa del purgatorio, siamo, a nostra volta, fraternamente sostenuti dalle anime.del purgatorio e specialmente dai nostri santi del cielo. Questa meravigliosa «comunione dei santi» che forma l'unica Chiesa di Cristo, fa comprendere come i nostri morti non sono lontani da noi, ma, vivendo in Cristo, ci sono vicini più di prima e partecipano alla nostra vita e alle nostre necessità materiali e spirituali secondo la volontà di Dio. 

Riflessioni pratiche
Il cristiano che valica i cancelli del camposanto, con l'intenzione di compiere una visita fruttuosa per la sua anima, deve richiamare le meravigliose verità che abbiamo ricordato. Allora la sua visita non si risolve nel sostare davanti a dei semplici cadaveri ma in un incontro di anime vive che si conoscono, si parlano e si amano aspettando di riunirsi non solo ai loro corpi, ma anche a tutti noi nell'unica Chiesa dei santi in cielo. Molti vivono come se non dovessero mai morire, preoccupati solo di godersi la vita, di formarsi una posizione o in una alienazione morale indegna dell'uomo. Ebbene il cimitero ricorda che la morte sta accovacciata ai piedi di ogni vivente, e che le libere scelte dell'uomo saranno giudicate da Dio che tutto vede e renderà a ciascuno secondo le sue opere... perchè presso Dio non c'è parzialità (Rm. 2,6-11). Una terza riflessione riguarda la «caducità» delle realtà umane. Gli uomini, spesso, affidano la loro memoria a un monumento, a una lapide o a cose simili che il tempo finisce per distruggere insieme con il ricordo. Il cristiano, invece, forte nella sua fede, cerca di trafficare i talenti ricevuti da Dio per sentirsi ripetere le parole di Gesù: Bene, servo buono e fedele, ... sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto: prendi parte alla gioia del tuo padrone (Mt. 25,21). 
Il cimitero è il luogo consacrato al dolore umano. Il cristiano, però, lo considera «sacro» perché racchiude i corpi umani che furono il tempio dello Spirito Santo. Questi corpi, che la terra dissolve, sono nell'attesa della beata speranza (Tt. 2,13) della risurrezione, secondo la parola immortale del Figlio di Dio. In conclusione, il cristiano che visita il camposanto è indotto a fare una verifica personale della propria fede nella vita futura; una verifica della propria speranza di ritrovare i suoi fratelli nella Casa del Padre; una verifica del proprio e sincero amore verso Dio nell'osservanza fedele dei suoi comandamenti; una verifica della propria volontà di una «conversione coraggiosa e permanente» che gli garantisca le parole che Gesù disse al buon ladrone: "Oggi sarai con me in paradiso". Solo così, il triste giorno della morte si tramuterà nel giorno più bello della vita. 

Breve liturgia funebre familiare
Allo scopo di aiutare i fedeli nella preghiera per i loro defunti, proponiamo la seguente breve liturgia composta da salmi, preghiere e letture, con delle brevi riflessioni. Così, oltre che essere di suffragio per i fratelli trapassati, sarà vantaggiosa per coloro che la praticano. Può essere celebrata in casa del defunto, in famiglia, in chiesa o sulla tomba dei propri cari, secondo le circostanze. Può essere praticata da soli a piacimento, o da una comunità riunita. In questo caso, la guida (G) dirige lo svolgimento, mentre l'assemblea (A) risponde insieme.

I
G - Raccogliamoci con fede alla presenza di Dio, credendo che egli vede i nostri cuori e che Gesù sta in mezzo a noi... 
GA - Nel nome del Padre * e del Figlio * e dello Spirito Santo. Amen. L'eterno riposo dona loro, o Signore, * e splenda ad essi la luce perpetua, * riposino in pace. Amen. 
G - Recitiamo il salmo 130 che esprime la nostra fiducia e il nostro abbandono in Dio salvatore. Dicia­mo insieme: L'anima mia spera nel Signore. 
A - L'anima mia spera nel Signore. 
G - Dal profondo a te grido, o Signore, * Signore, ascolta la mia voce. * Siano i tuoi orecchi attenti * alla voce della mia preghiera. 
A - L'anima mia spera nel Signore. 
G - Se consideri le colpe, Signore, * Signore chi può sussistere? * Ma presso di te, Signore, è il perdo­no; * perciò avremo il tuo timore. 
A - L'anima mia spera nel Signore. 
G - Io spero nel Signore, * l'anima mia spera nella sua parola. * L 'anima mia attende il Signorem * più che le sentinelle l'aurora.
A - L'anima mia spera nel Signore. G - Israele attenda il Signore, * perché presso il Signore è la misericordia * e grande è presso di lui la redenzione. * Egli redimerà Israele * da tutte le sue colpe. 
A - L'anima mia spera nel Signore. 
GA - Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, * come era in principio e ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen. 
G - Ora ascoltiamo dalla bocca di Gesù dove sta la vera beatitudine che noi tutti desideriamo. Dal Vangelo di san Matteo (5,2-12): Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo: Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando v 'insulteranno, vi perseguiteranno, e mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. 
Riflessione. Con queste parole, Gesù ci presenta un programma meraviglioso di vita cristiana, intensamente impegnata. Solo così troveremo la vera beatitudine, quella che possedevano i nostri santi. Se da una parte Gesù ci consiglia di staccare il nostro cuore dai beni materiali, dall'altra c'invita a cercare, con tutte le forze, i beni morali e spirituali che sono la caparra sicura per il regno dei cieli. Le stesse sofferenze della vita, sopportate con fede, ci purificano e ci preparano a una santa morte. (Breve pausa).
GA - Padre nostro che sei nei cieli, * sia santificato il tuo nome, * venga il tuo regno, * sia fatta la tua volontà come in cielo, così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, * e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori * e non c'indurre in tentazione. Ma liberaci dal male. Amen. 
G - Preghiamo: O Dio fonte di vita e di risurrezione, che vuoi essere invocato dai giusti e dai peccatori, ascolta la nostra preghiera per l'anima dei nostri fratelli e fa' che, liberati dalla morte, possano godere della vita immortale nella serena pace del paradiso. Per Cristo nostro Signore. 
A - Amen. 

II
G - Durante la sua vita terrena, Gesù risuscitò tre morti. Ascoltiamo ora il racconto di uno di questi miracoli. Dal Vangelo di san Luca (7,11-16): In seguito si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. Quando fu vicino alle porte della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta folla della città era con lei. Vedendola il Signore ne ebbe compassione e le disse: Non piangere! E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati»! Il morto si alzò a sedere e cominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre. Tutti furono pieni di timore e glorificavano Dio dicendo: «Un gran profeta è sorto fra noi e Dio ha visitato il suo popolo». 
Riflessione. Come la potenza di Gesù ha ridato la vita a questo giovinetto, così l'onnipotenza di Dio darà la vita anche ai nostri corpi, disciolti nella terra, nel giorno del giudizio universale. Gesù, senza esserne richiesto, ma spontaneamente, andò incontro a questa vedova in lacrime, ne ebbe compassione e la consolò. Quante volte Gesù viene in cerca di noi per donarci la grazia della «conversione», assai più preziosa della risurrezione del corpo. Dio è un Padre misericordioso che vuole la nostra salvezza e cerca tutte le vie per farci risorgere dal peccato a una nuova vita di grazia. (Breve pausa).
G - Nella Bibbia è assai frequente la presentazione di Dio come Pastore del suo popolo, e il salmo 23 canta le attenzioni e le tenerezze di questo divino Pastore. Gesù, poi, si è proclamato il «Buon Pastore» che nutre, difende e guida il suo gregge con la Parola e i Sacramenti. Diciamo insieme: Il Signore è mio Pasto­re: non manco di nulla. A - Il Signore è mio Pastore: non manco di nulla. 
G - Il Signore è mio Pastore * non manco di nulla: * su pascoli erbosi mi fa riposare, * ad acque tranquille mi conduce. * Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, * per amore del suo nome. 
A - Il Signore è mio Pastore: non manco di nulla. 
G - Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male * perchè tu sei con me. * Il tuo bastone e il tuo vincastro * mi danno sicurezza.
A - Il Signore è mio Pastore: non manco di nulla. 
G - Davanti a me tu prepari una mensa * sotto gli occhi dei miei nemici, * cospargi di olio il mio capo. * Il mio calice trabocca. 
A - Il Signore è mio Pastore: non manco di nulla. 
G - Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della vita e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni. 
A - Il Signore è mio Pastore: non manco di nulla. 
G - Dopo aver rivolto la nostra preghiera a Gesù, pastore e guida delle nostre anime, invochiamo la vergine Maria che i nostri fratelli defunti hanno ama­to e invocato durante la loro vita. 
GA - Ave, o Maria, piena di grazia, * il Signore ècon te, * tu sei benedetta fra le donne * e benedetto il frutto del tuo seno, Gesù. * Santa Maria, Madre di Dio, * prega per noi peccatori, * adesso e nell'ora della nostra morte. Amen. 
G - Preghiamo. O Dio, fonte di perdono e di sal­vezza, per intercessione della vergine Maria e di tutti i Santi, concedi ai nostri fratelli, parenti e benefatto­ri, che sono passati da questo mondo, di godere la gioia perfetta nella patria celeste. Per Cristo nostro Signore. 
A - Amen. 

III
G - Prima di ascoltare per la terza volta la parola del Signore, rivolgiamoci a Dio, nostro Padre, perché apra i nostri cuori ad accogliere con fede e docilità la sua parola di verità. Preghiamo: Disponi, o Dio, il nostro cuore, all'a­scolto della tua parola, e fa' che sia per tutti noi luce nelle tenebre, certezza di fede nel dubbio, fonte ine­sauribile di consolazione e di speranza. Per Cristo nostro Signore. 
A - Amen. 
G - Dal Vangelo di san Giovanni (6, 37-40): Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che verrà a me, non lo respingerò, perchè sono di­sceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell 'ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell 'ultimo giorno. Riflessione. La parola di Gesù, ora ascoltata, apre veramente il nostro cuore. Gesù afferma che il Padre celeste vuole che nessuno si perda, ma che tutti siano salvati. Da parte sua Gesù promette che chiunque crede in lui ha già la vita eterna in se stesso ed egli lo risusciterà nell'ultimo giorno. Ebbene, i nostri fratelli defunti hanno creduto in Gesù, redentore e salvatore; si sono uniti a lui con il battesimo e lo hanno ricevuto nella santa comunio­ne. Allora essi vivono in Cristo, ci amano e ci aspetta­no per condividere con noi la loro stessa felicità nella Casa del Padre. (Breve pausa). 
G - Ringraziamo e glorifichiamo la Trinità beata che nel suo immenso amore per noi ha fatto cose meravigliose. 
GA - Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, * come era in principio e ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen. L'eterno riposo dona loro, o Signore, * e splenda ad essi la luce perpetua, * riposino in pace. Amen. 
G - A suffragio dei nostri fratelli defunti e a nostra consolazione supplichiamo il Signore Gesù che ha detto: Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore vivrà; e chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno (Gv. 11,25-26). Diciamo insieme: Ascoltaci, o Signore. 
A - Ascoltaci, o Signore. 
G - Signore, che hai pianto sulla tomba di Lazza­ro, asciuga le nostre lacrime. 
A - Ascoltaci, o signore. 
G - Tu che hai richiamato i morti a nuova vita, dona la vita eterna ai nostri fratelli defunti. 
A - Ascoltaci, o Signore. 
G - Tu che hai promesso il paradiso al ladrone pentito, conduci al cielo i nostri parenti, amici e be­nefattori defunti. 
A - Ascoltaci, o Signore. 
G - Accogli nella schiera dei tuoi eletti i nostri fratelli purificati nel battesimo e consacrati con la santa cresima. 
A - Ascoltaci, o Signore. 
G - Accogli alla mensa del tuo regno i nostri fra­telli che si sono nutriti del tuo corpo e del tuo san­gue alla mensa eucaristica. 
A - Ascoltaci, o Signore. 
G - Conforta con la consolazione della fede e con la speranza della vita eterna coloro che piango­no per la morte dei loro cari. 
A - Ascoltaci, o Signore. 
GA - Padre nostro che sei nei cieli, * sia santifica­to il tuo nome, * venga il tuo regno, * sia fatta la tua volontà come in cielo, così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, * e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori e non c'indurre in tentazione. Ma liberaci dal male. Amen. Ave, o Maria, piena di grazia, * il Signore è con te, * tu sei benedetta fra le donne * e benedetto il frutto del tuo seno, Gesù. * Santa Maria, Madre di Dio, * prega per noi peccatori, * adesso e nell'ora della nostra morte. Amen. L'eterno riposo dona loro, o Signore, * e splenda ad essi la luce perpetua, * riposino in pace. Amen. 
G - Preghiamo. Sii misencordioso, o Padre, ver­so i nostri fratelli defunti: non imputare loro a con­danna ciò che hanno fatto durante la vita terrena, perché il loro cuore desiderò mantenersi fedele alla tua volontà. Il vincolo della loro fede li congiunse quaggiù alla comunità dei fedeli; la tua misericor­dia li unisca ora al coro degli angeli in cielo. Per Cristo nostro Signore. 
A - Amen. 

IV
G - Abbiamo pensato e pregato per i nostri fra­telli defunti; ora il Signore Gesù si rivolge a tutti noi, pellegrini sulla terra. Ascoltiamo la sua parola che ci ammonisce di non racchiudere lo scopo della vita nelle realtà terrene, ma nell'impegno di ricerca e di preparazione alla patria del cielo. Dal Vangelo di san Giovanni (14,1-6): Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritorne­rò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado voi conoscete la via. Gli disse Tommaso: Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via? Gli disse Ge­sù: Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Riflessione. Con le parole che abbiamo udite, Ge­sù ci fa conoscere lo scopo della nostra vita: meri­tarci quel posto che egli ci ha già preparato. Purtroppo il mondo ci presenta altre finalità: il benessere, il piacere, la ricchezza, il divertimento, ecc., finalità seducenti ma tutte sbagliate. L'uomo fu creato per conoscere Dio, per amarlo, per servirlo e goderlo per sempre nel suo paradiso. Spetta a noi non sbagliare strada! Gesù dichiara: Io sono la via, allora dobbiamo seguirlo; dichiara ancora: Io sono la verità, allora dobbiamo creder­gli; afferma infine: Io sono la vita, allora dobbiamo accoglierlo. Come il treno corre veloce e maestoso fin tanto che rimane nella rotaia, ma se deraglia si riduce a un cumulo di rovine, così è della vita umana. Se l'uo­mo si allontana da Cristo via, verità e vita, si riduce a un cumulo di rovine morali e spirituali. (Breve pausa). 
G - Ravviviamo la nostra fede e recitiamo insie­me il «Credo». 
GA - Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, * creatore del cielo e della terra, * di tutte le cose visibili ed invisibili. * Credo in un solo Signore, Ge­sù Cristo, * unigenito Figlio di Dio, * nato dal Padre prima di tutti i secoli: * Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, * generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; * per mezzo di lui tutte le cose sono state create. * Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo * e per opera dello Spirito Santo * e incarnato nel seno della Vergine Maria * e si è fatto uomo. * Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, * morì e fu sepolto. * Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, * è salito al cielo, siede alla destra del Padre. * E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, * e il suo regno non avrà fine. * Credo nello Spirito Santo, che è il Signore e dà la vita, * e procede dal Padre e dal Figlio. * Con il Padre e il Figlio è adora­to e glorificato * e ha parlato per mezzo dei profeti. * Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. * Professo un solo battesimo per il perdono dei pec­cati. * Aspetto la risurrezione dei morti * e la vita del mondo che verrà. Amen. 
G - Il battesimo ci ha uniti a Cristo e ci ha confi­gurati al suo mistero pasquale di morte e vita. L'a­postolo san Paolo ci ricorda questa fondamentale verità cristiana. Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (14,7-9): Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessu­no muore per se stesso, perché se noi viviamo, vi­viamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato in vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi. 
Riflessione. La vita del cristiano è modellata su quella di Cristo. Vivere o morire è rinnovare, nella propria carne, il mistero pasquale di Cristo. Anzi è lo stesso Cristo che vive e muore in ogni uomo unito a lui con il battesimo. Spetta, quindi, al cristiano in­traprendere coraggiosamente una perfetta comunio­ne di vita con il suo Redentore e partecipare così alla sua risurrezione. (Breve pausa).
GA - Padre nostro che sei nei cieli, * sia santifica­to il tuo nome, * venga il tuo regno, * sia fatta la tua volontà come in cielo, così in terra. * Dacci oggi il nostro pane quotidiano, * e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori * e non c'indurre in tentazione. Ma liberaci dal male. Amen. L'eterno riposo dona loro, o Signore, * e splenda ad essi la luce perpetua, * riposino in pace. Amen. 
G - Preghiamo: O Dio, il cui unico Figlio nel mi­stero della Pasqua è passato da questo mondo alla gloria del tuo regno, concedi ai nostri fratelli defunti di condividere il suo trionfo sulla morte e di con­templare te, o Padre, che li hai creati e redenti. Per Cristo nostro Signore. 
A - Amen. 
G - Concludiamo la nostra veglia di preghiera con il canto della nostra fede e della nostra speranza. 
GA - «Io credo: risorgerò, questo mio corpo ve­drà il Salvatore! 
G - Prima che io nascessi, mio Dio, tu mi conosci, ricordati, Signore, che l'uomo è come l'erba, come il fiore del campo.
A - Io credo: risorgerò, questo mio corpo vedrà il Salvatore! 
G - Ora è nelle tue mani quest'anima che mi hai data: accoglila Signore, da sempre tu l'hai amata, èpreziosa ai tuoi occhi. 
A - Io credo: risorgerò, questo mio corpo vedrà il Salvatore! 
G - Spirito della vita, che abiti nel mio cuore: ri­mani in me, Signore, rimani oltre la morte, per i secoli eterni. 
GA - «Io credo: risorgerò, questo mio corpo ve­drà il Salvatore! 

Se le circostanze lo consentono, si può continuare con la recita del Rosario o dei Cento Requiem, (L'eterno Riposo), ripetuto devotamente per cento volte. 

Conclusione
L'invito alla carità fraterna, Gesù lo rinnova in qua­si tutte le pagine del Vangelo: è il «suo» comandamento. I nostri fratelli nel purgatorio soffrono pene indici­bili, e noi, con i suffragi, possiamo aiutarli, alleviando e abbreviando le loro pene. Per questo il comandamento di Gesù c'interpella sulla nostra carità, e ci spinge a fare il possibile per portare ai nostri defunti che ne hanno bisogno, la rugiada benefica del nostro amore che non consiste tanto in atti esterni e materiali, quanto nelle «opere buone», come abbiamo più volte rilevato nelle pagine di questo libretto. Aiutando, con i suffragi, i nostri defunti, facciamo pure il nostro personale interesse, perché essi si ri­cordano di noi e ci ripagano abbondantemente di quanto facciamo per loro. Così nella meravigliosa e letificante realtà della «co­munione dei santi», la Chiesa pellegrina nel tempo, quella del purgatorio e la Chiesa celeste si danno fraternamente la mano perché la salvezza di Gesù redentore si estenda ad ogni creatura. 

Indulgenze per i defunti
La Sacra Penitenzieria Apostolica, il 29 giugno 1968, ha emanato l’«Enchiridium Indulgentiarum», tutt'ora valido. Da questo «Documento» riportiamo quanto crediamo utile per i fedeli circa le Indulgenze applicabili per i nostri defunti. 
I - Norme generali a) L'indulgenza è parziale o plenaria secondo che libera in parte o in tutto dalla pena temporale dovuta per i peccati. b) Le indulgenze sia parziali che plenarie possono sem­pre essere applicate ai defunti a modo di suffragio. c) L'indulgenza plenaria può essere acquisita una sola volta al giorno. 
Il - Indulgenze plenarie giornaliere: a) L'adorazione del S.mo Sacramento per almeno mezz'ora. b) La pia lettura della S. Scrittura per almeno mezz'ora. c) Il pio esercizio della Via Crucis. d) La recita del Rosario (anche una terza parte) in chiesa o in famiglia. e) Al fedele che devotamente visita il cimitero e prega, anche soltanto mentalmente per i defunti, si concede l'indulgenza, applicabile solo ai defunti... dal primo giorno di novembre fino al giorno ottavo dello stesso mese. 
III - Indulgenze plenarie annuali o occasionali a) Si concede l'indulgenza plenaria al fedele che piamente e devotamente riceve, sia pur soltanto per mezzo della radio, la benedizione impartita dal Sommo Pontefice al Mondo. b) Si concede l'indulgenza plenaria a chi partecipa agli esercizi spirituali almeno per tre giorni. c) Si concede l'indulgenza plenaria al fedele che piamente visita la chiesa parrocchiale nella festa del titolare o il giorno due agosto, in cui ricorre l'indulgenza della «Porziuncola» (il Perdon d'Assisi). d) Si concede l'indulgenza plenaria al fedele che rinnova le promesse battesimali la vigilia di Pasqua e nell'anniversario del proprio battesimo. e) Vi sono anche altre indulgenze plenarie per circostanze particolari. 
IV - Condizioni per l'acquisto dell'indulgenza plenaria a) Confessione sacramentale (che si può fare anche nei giorni precedenti o seguenti) b) Comunione eucaristica (che si può fare anche nei giorni precedenti o seguenti). c) Con una confessione sacramentale si possono acquistare più indulgenze plenarie. d) Quando l'indulgenza plenaria richiede la visita a una chiesa si deve recitare in essa un “Padre nostro”e il “Credo” e pregare per il Papa. 
V - Le indulgenze «parziali» sono molte e ordinariamente unite alla recita di una determinata preghiera o giaculatoria.


Titolo originale: "I nostri defunti: come vederli, come aiutarli, come ci aiutano" di Padre francescano Pasquale Lorenzin

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