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Ciascuno di noi è un messaggio che Dio manda al mondo (P. G. Vannucci OSM)

Una passo del Vangelo per te

UN PASSO DEL VANGELO PER TE

Santa Teresina di Lisieux: Storia di un'anima - Parte III

STORIA DI UN’ANIMA: S. Teresina di Lisieux (S. Teresina del Bambin Gesù)

La mia vita scorreva tranquilla e felice, l'affetto di cui ero circondata ai Buissonnets mi faceva crescere, ma ero senza dubbio già grande a sufficienza per cominciare a lottare, per cominciare a conoscere il mondo e le miserie di cui è pieno...
Avevo otto anni e mezzo quando Leonia usci dal pensionato, ed io presi il suo posto all'Abbazia. Ho spesso sentito dire che il tempo passato al pensionato è il migliore e il più dolce della vita, ma per me non è stato così, i cinque anni che vi ho passato sono stati i più tristi della mia vita; se non avessi avuto con me la mia amata Celina non avrei potuto restarci neppure un mese senza ammalarmi... Il povero piccolo fiore era stato abituato ad immergere le sue fragili radici in una terra scelta, fatta proprio per lei, e perciò gli pareva duro vedersi in mezzo a fiori di ogni specie, con le radici talora davvero poco delicate, ed essere obbligata a trovare in una terra comune la linfa necessaria alla sua sopravvivenza...
Tu mi avevi così ben educata, Madre mia cara, che arrivando al pensionato ero più avanti di tutte le bambine della mia età; mi misero in una classe in cui tutte erano più grandi di me e una, che aveva tra i 13 e i 14 anni, era poco intelligente, ma si sapeva imporre alle alunne, ed anche alle maestre. Vedendomi così piccola, ma quasi sempre prima della classe e coccolata da tutte le suore, ne ricavò una gelosia senza dubbio perdonabile ad una cresciuta al pensionato, e mi fece pagare in mille modi i miei piccoli trionfi...
Con la mia natura timida e delicata non sapevo difendermi e mi accontentavo di piangere senza dire niente, e senza lamentarmi neppure con te di quello che dovevo soffrire, ma non avevo sufficiente virtù per innalzarmi al di sopra di queste miserie della vita e il mio povero cuoricino soffriva molto... Per fortuna ogni sera ritrovavo il focolare paterno, e allora il mio cuore rifioriva, saltavo sulle ginocchia del mio Re, gli raccontavo i voti che avevo preso e il suo bacio mi faceva dimenticare tutte le mie pene... Con che gioia proclamavo il risultato del mio primo tema (un tema di Storia Sacra), mi mancava un Solo punto per il massimo dei voti, perché non avevo saputo il nome del padre di Mosè. Ero perciò la prima e avevo preso una bella medaglia d'argento. Per ricompensarmi Papà mi regalò una bella monetina da quattro soldi che misi in una scatola e che fu destinata ad accogliere quasi ogni Giovedì una moneta nuova, sempre della stessa grandezza... (dentro questa scatola andavo a pescare quando per la questua delle grandi feste volevo dare l’elemosina prendendola dalla mia borsa, per la Propagazione della Fede o per altre opere simili). Paolina, incantata per i successi della sua piccola alunna, le regalò un bel cerchietto per incoraggiarla a continuare a studiare per bene. La povera piccola aveva davvero bisogno di queste gioie di famiglia, senza le quali la vita del pensionato le sarebbe pesata troppo.
Il pomeriggio di ogni giovedì era vacanza, ma non era come le vacanze di Paolina, non ero al belvedere con Papà... Non dovevo giocare con la mia Celina, e quando ero proprio sola con lei mi piaceva tanto, ma con le mie cuginette e con le piccole Maudelonde, cosa che mi procurava una vera pena, perché non sapevo giocare come le altre bambine, non ero una compagna gradevole, e tuttavia facevo del mio meglio per imitare le altre senza riuscirci e mi annoiavo parecchio, soprattutto quando bisognava passare tutto un pomeriggio a ballare le quadriglie. L'unica cosa che mi piaceva era andare nel giardino della stella, allora ero la prima in tutto, coglievo fiori a volontà e sapevo trovare i più belli, suscitando l'invidia delle mie compagnette...
Mi piaceva anche quando restavo per caso da sola con la piccola Maria, quando non aveva più Celine Maudelonde che l'obbligava ai soliti giochi, lei mi lasciava libera di scegliere e io sceglievo un gioco del tutto nuovo: Maria e Teresa diventavano due eremite, con solo una piccola capanna, un piccolo campo di grano e qualche pianta di legumi da coltivare. La loro vita scorreva in una continua contemplazione, e cioè una delle eremite prendeva il posto dell'altra all'orazione quando ci si doveva occupare della vita attiva. Tutto avveniva con un'intesa, un silenzio e con modi così devoti che era perfetto. Quando la Zia veniva a prenderci per la passeggiata il nostro gioco continuava anche per la strada. Le due eremite dicevano insieme il rosario, contando sulle loro dita per non offrire la loro devozione agli occhi del pubblico indiscreto, e tuttavia un giorno l'eremita più piccola lo dimenticò: avendo ricevuto un dolcetto per la merenda, prima di mangiarlo si fece un gran segno di croce, e tutti i profani del mondo si misero a ridere...
Maria e io eravamo sempre dello stesso parere, avevamo gli stessi gusti al punto che una volta la nostra unione di volontà passò i limiti. Tornando una sera dall’Abbazia, io dissi a Maria: “Portami tu, io chiudo gli occhi”. - “Anche io voglio chiuderli, mi rispose”. Detto fatto, senza discutere ciascuna fece quello che aveva deciso... Eravamo in un sentiero, non c'era da aver paura delle vetture; dopo una bella passeggiata di qualche minuto, avendo assaporato la delizia di camminare alla cieca, le due piccole eremite senza criterio andarono a cadere insieme su alcune casse che erano davanti all'ingresso di un negozio, o piuttosto le fecero cadere. Il negoziante usci fuori inferocito per tirare su le sue cose, le due volontarie cieche si erano alzate da sole e scappavano a grandi passi, con gli occhi apertissimi, e dovevano ascoltare i giusti rimproveri di Giovanna, che era arrabbiata come il negoziante!... Fu così che per punirci quella decise di separarci e da quel giorno Maria e Celina andarono insieme mentre io dovetti fare la strada con Giovanna. La cosa mise fine alla nostra eccessiva unione di volontà e non fu un male per le più grandi che invece non erano mai dello stesso parere e litigavano lungo tutta la strada. E così la pace fu completa.
Non ho ancora detto niente dei miei intimi rapporti con Celina, ah! se dovessi raccontare tutto, non arriverei mai alla fine...
A Lisieux i ruoli erano cambiati, era Celina che era diventata un cattivo diavoletto mentre Teresa era solo una bambinetta dolcissima, ma che piangeva troppo... Ciò non impediva che Celina e Teresa si volessero sempre più bene; talora c'era qualche piccola discussione, ma non era una cosa grave e al fondo loro avevano sempre lo stesso parere. Posso dire che mai la mia amata sorellina mi ha dato un dolore, ma che essa è stata per me come un raggio di sole, rallegrandomi e consolandomi sempre... Chi potrà raccontare con quale coraggio mi difendeva all'Abbazia, quando qualcuno mi accusava?... Si prendeva tanta cura della mia salute che talora la cosa mi dava persino fastidio. Quello che non mi dava mai fastidio era guardarla mentre si divertiva; metteva in fila tutta la squadra delle nostre bambolette e faceva loro lezione come un'abile maestra, solo lei aveva cura che le sue figlie fossero sempre sagge, mentre le mie spesso erano cacciate fuori per la loro cattiva condotta... Mi raccontava tutte le cose nuove che imparava a scuola, divertendomi molto, e io la guardavo come un pozzo di scienza. Mi avevano dato il soprannome di: “figlietta di Celina”, e così quando era arrabbiata con me il più grande segno di scontentezza era dirmi: “Tu non sei più la mia figlietta, è finita, me lo ricorderò per sempre!...”. Allora non potevo far altro che piangere come una Maddalena, pregandola di conservarmi ancora come una figlietta, e presto lei mi abbracciava e mi prometteva che non si ricordava più nulla!... Per consolarmi prendeva una delle sue bambole e le diceva: “Mia cara, abbraccia tua zia”. Una volta la bambola fu così svelta ad abbracciarmi teneramente che mi infilò le sue due braccine nel naso... Celina, che non l'aveva fatto apposta, mi guardò tutta sorpresa, con la bambolina attaccata al naso; la zia fece presto a respingere gli abbracci troppo teneri della nipote e si mise a ridere con tutto il cuore per quest'accidente così singolare.
La cosa più divertente era vederci insieme al bazar, mentre compravamo i regali, ce li nascondevamo con cura a vicenda. Con 10 soldi da spendere dovevamo prendere almeno 5 o 6 cose diverse e facevamo la gara a chi comprava le cose più belle. Felici dei nostri acquisti aspettavamo con impazienza il primo giorno dell'anno per poterci fare i nostri magnifici regali. Quella che si svegliava per prima si affrettava ad augurare all'altra il buon anno, e poi ci scambiavamo i regali e ciascuna era in estasi per i tesori regalati con 10 soldi!...
Questi regalini ci facevano piacere quanto le belle strenne dello zio, e del resto non era altro che l'inizio delle gioie. Quel giorno ci vestivamo subito subito e ciascuna stava in campana per saltare al collo di Papà; appena usciva dalla sua camera erano strilli di gioia per tutta la casa e questo povero Paparino sembrava felice di vederci così contente... Le strenne che Maria e Paolina regalavano alle loro figlioline non erano di grande valore, ma facevano loro davvero un grande piacere... Ah! Il fatto è che a quell'età non eravamo disilluse, l'anima nostra si apriva come un fiore felice di ricevere la rugiada del mattino... Lo stesso soffio di vento faceva dondolare le nostre corolle e quello che dava gioia o dolore a una faceva insieme lo stesso all'altra. Si, le nostre gioie erano comuni, e io l'ho sperimentato davvero nel bel giorno della prima Comunione della mia amata Celina. Non andavo ancora all'Abbazia, perché avevo ancora solo sette anni, ma ho conservato nel mio cuore il dolcissimo ricordo della preparazione che tu, Madre cara, hai fatto fare a Celina; ogni sera la mettevi sulle tue ginocchia e le parlavi della grande azione che si pre­parava a fare; io ascoltavo desiderosa di prepararmi anch'io, ma spessissimo tu mi dicevi di andare via perché ero troppo piccola, e allora il mio cuore si faceva grosso grosso e pensavo che quattro anni non erano poi troppi per prepararsi a ricevere il Buon Dio...
Una sera ti ho sentito dire che dal momento della prima Comunione bisognava cominciare una vita nuova, e subito ho deciso di non aspettare quel giorno, ma di cominciarne una insieme a Celina... Mai avevo sentito così tanto che l'amavo come lo sentii durante il suo ritiro di tre giorni: per la prima volta ero lontana da lei, non dormivo nel suo letto... Il primo giorno, avendo dimenticato che non sarebbe tornata, avevo conservato un mazzetto di ciliege che Papà mi aveva comprato per mangiarlo con lei, e non vedendola arrivare provai tanta tristezza. Papà mi consolò dicendomi che il giorno dopo mi avrebbe portato all'Abbazia per vedere la mia Celina e che avrei potuto regalarle un altro mazzetto di ciliege!... il giorno della 1° Comunione di Celina mi lasciò un'impressione simile a quello della mia; svegliandomi al mattino, sola sola nel lettone, mi sentii inondata di gioia. “È oggi!... Un grande giorno è arrivato...” non smettevo di ripetere queste parole. Mi pareva che ero io che stavo per fare la Comunione. Credo che quel giorno ho ricevuto delle grazie così grandi che lo considero come uno dei più belli della mia vita...
Sono ritornata un po' indietro per richiamare questi ricordi dolci e deliziosi, ora debbo parlare della prova dolorosa che venne a spezzare il cuore della piccola Teresa, quando Gesù le rapì la sua cara mamma, la sua Paolina così teneramente amata!...
Un giorno, avevo detto a Paolina che volevo essere eremita, andarmene con lei in un deserto lontano, e lei mi aveva risposto che il mio desiderio era anche il suo e che lei avrebbe aspettato che io fossi abbastanza grande per partire. Senza dubbio la cosa non l'aveva detta sul serio, ma la piccola Teresa l'aveva presa sul serio; e così fu proprio grande il suo dolore, quando un giorno sentì la sua cara Paolina parlare con Maria del suo prossimo ingresso al Carmelo!... Non sapevo cosa fosse il Carmelo, ma capivo che Paolina mi avrebbe lasciata per entrare in un convento, capivo che non mi avrebbe aspettato e che stavo per perdere la mia seconda Madre!... Ah! Come dire l'angoscia del mio cuore? In un attimo capii cosa era la vita; fino allora non l'avevo vista così triste, ma allora mi apparve in tutta la sua realtà, vidi che non era altro che una sofferenza ed una separazione continua. Versai lacrime molto amare, perché non capivo ancora la gioia del sacrificio, ero debole, così debole che penso sia stata una grande grazia l'aver potuto sopportare una prova che pareva davvero al di sopra delle mie forze!... Se avessi saputo con tutte le cautele della partenza della mia cara Paolina forse non avrei sofferto così tanto, ma avendolo saputo di colpo fu come se una spada si fosse conficcata nel mio cuore...
Mi ricorderò sempre, Madre mia cara, con quale tenerezza mi hai consolata... Poi mi hai spiegato la vita del Carmelo che mi parve davvero bella! Riandando dentro di me a tutto quello che tu mi avevi detto io sentì che il Carmelo era il deserto in cui il Buon Dio voleva che anche io andassi a nascondermi... Lo sentii con tanta forza che non ebbi neppure il minimo dubbio nel mio cuore; non era un sogno di bambina che si lascia trascinare, ma la certezza di una chiamata Divina; io volevo andare al Carmelo non per Paolina ma per Gesù solo... Pensai molte cose che le parole non possono rendere, ma che lasciarono nell'anima mia una grande pace.
Il giorno dopo confidai il mio segreto a Paolina che vedendo nei miei desideri la volontà del Cielo mi disse che presto sarei andata con lei a trovare la Madre Priora del Carmelo e che bisognava dirle quello che il Buon Dio mi faceva sentire... Per questa visita solenne fu scel­ta una Domenica, e il mio imbarazzo fu grande quando seppi che Maria G doveva stare con me, essendo ancora abbastanza piccola per vedere le carmelitane; dovevo in ogni caso trovare il modo di restare sola, ed ecco la trovata cui pensai: dissi a Maria che avendo il privilegio di vedere la Madre Priora, bisognava essere gentili ed educatissime, e per questo dovevamo confidarle i nostri segreti, perciò a turno bisognava uscire un momento e lasciare l'altra tutta sola. Maria si fidò della mia parola, e malgrado la sua ritrosia a confidare segreti che lei non aveva noi restammo sole, una dopo l'altra, con nostra Madre. Avendo ascoltato le mie grandi confidenze Madre Maria di Gonzaga credette alla mia vocazione, ma mi disse che non si accoglievano postulanti di 9 anni e che sarebbe stato necessario aspettare che ne avessi 16... Io mi rassegnai malgrado il mio vivo desiderio di entrare al più presto possibile e di fare la mia 1a Comunione il giorno della Vestizione di Paolina... Fu quel giorno che ho ricevuto per la seconda volta dei complimenti. Suor Teresa di S. Agostino, essendo venuta a vedermi, non poté fare a meno di dire che ero proprio graziosa... io non pensavo davvero di venire al Carmelo per ricevere elogi, e così dopo il colloquio in parlatorio non ho smesso di ripetere al Buon Dio che volevo essere carmelitana per Lui, e per Lui solo.
Io ho cercato di approfittare al meglio della mia amata Paolina in quelle settimane in cui rimase ancora nel mondo; ogni giorno, Celina ed io le compravamo un regalo e dei dolci, pensando che ben presto non ne avrebbe mangiati più; eravamo sempre vicine a lei e non le lasciavamo neppure un minuto di respiro. E alla fine il 2 Ottobre arrivò, giorno di lacrime e di benedizioni in cui Gesù colse il primo dei suoi fiori, quella che doveva essere la madre di coloro che l'avrebbero raggiunta pochi anni dopo.
Vedo ancora il posto in cui ho ricevuto l'ultimo bacio di Paolina, e poi la Zia ci portò tutte a messa mentre Papà saliva sulla montagna del Carmelo per offrire il suo primo sacrificio... Tutta la famiglia era in lacrime, e così vedendoci entrare in chiesa la gente ci guardava con meraviglia, ma non me ne importava nulla e la cosa non m'impediva di piangere, credo che se tutto il mondo mi fosse crollato accanto non lo avrei degnato di uno sguardo, guardavo il Cielo blu e mi meravigliavo che il Sole potesse risplendere con tanta luce, mentre l'anima mia era inondata di tristezza!... Forse, Madre mia cara, tu trovi che io esageri il dolore che provai?... Mi rendo conto che non avrebbe dovuto essere così grande, perché avevo la speranza di ritrovarti al Carmelo; ma l'anima mia era lontana dall'essere matura, dovevo passare per molte prove prima di toccare il traguardo tanto desiderato...
Il giorno fissato per il rientro all'Abbazia era il 2 Ottobre, e perciò mi toccò andarci, malgrado la tristezza... Al pomeriggio la Zia venne a prenderci per andare al Carmelo e io vidi la mia cara Paolina dietro le grate... Ah! quanto ho sofferto in quel parlatorio del Carmelo! Giacché scrivo la storia dell'anima mia, debbo dire tutto alla mia Madre cara, e confesso che le sofferenze che avevano preceduto il suo ingresso non sono state nulla al confronto di quelle che sono venute dopo... Tutti i Giovedì andavamo con tutta la famiglia al Carmelo ed io, abituata a starmene cuore a cuore con Paolina, strappavo a fatica due o tre minuti alla fine del parlatorio, e beninteso li passavo a piangere, poi me ne andavo con il cuore straziato... Non capivo che tu rivolgevi di preferenza la parola a Giovanna e a Maria per delicatezza verso la Zia, piuttosto che parlare con le tue figliette... non capivo proprio e nel fondo del cuore mi dicevo:
“Paolina è perduta per me!!!”. È sorprendente vedere quanto il mio spirito si sviluppò immerso nella sofferenza; si sviluppò al punto che io non tardai ad ammalarmi.
La malattia che mi prese veniva sicuramente dal demonio, furioso per il tuo ingresso al Carmelo, egli volle vendicarsi su di me del torto che la nostra famiglia gli avrebbe fatto in futuro, ma non sapeva che la dolce Regina del Cielo vegliava sul suo fragile fiorellino, che gli sorrideva dall'alto del suo trono e si preparava a far cessare la tempesta nel momento in cui il suo fiore stava per spezzarsi senza rimedio...
Verso la fine dell'anno fui presa da un continuo mal di testa che tuttavia non mi faceva quasi alcun dolore, potevo continuare a studiare e nessuno si preoccupava di me, la cosa durò fino alla festa di Pasqua del 1883.
Papà era andato a Parigi con Maria e Leonia, e la Zia mi prese a casa sua con Celina. Una sera lo Zio mi chiamò vicino a lui, e mi parlò di Mamma, dei ricordi del passato, con una bontà di cui fui profondamente toccata e che mi fece piangere; allora egli disse che io ero troppo sensibile, che dovevo distrarmi molto e decise con la zia di farci divertire per le vacanze di Pasqua. Quella sera dovevamo andare al circolo cattolico, ma la zia, pensando che io fossi troppo stanca, mi portò a dormire; mentre mi spogliavo mi prese uno strano tremore, e credendo che avessi freddo la Zia mi avvolse nelle coperte con le bottiglie calde, ma nulla riuscì a placare la mia agitazione che durò quasi tutta la notte.
Lo zio, al ritorno dal circolo cattolico con le mie cugine e con Celina, fu molto sorpreso nel trovarmi in quello stato, che giudicò grave, ma non volle dirlo per non allarmare la zia. L’indomani andò dal dr. Notta che fu anche lui del parere dello Zio: avevo una malattia molto grave che non aveva mai toccato una bambina così giovane. Tutti erano costernati, e la Zia fu costretta a tenermi a casa con lei, e mi curò con sollecitudine davvero materna. Quando Papà tornò da Parigi con le mie sorelle più grandi, Amata li accolse con una faccia così addolorata che Maria pensò che fossi morta...
Ma questa malattia non era per la mia morte, era piuttosto, come quella di Lazzaro, perché Dio fosse glorificato. Lo fu davvero, grazie alla ammirevole rassegnazione del mio povero Babbino che pensò che “la sua figliolina sarebbe diventata pazza oppure che sarebbe morta”. Lo fu anche per la rassegnazione di Maria!... Ah! quanto ha sofferto per causa mia... quanto le sono riconoscente delle cure che mi ha prodigato con tanto disinteresse... il cuore le dettava quello di cui avevo bisogno e veramente un cuore di Madre è molto più saggio di quello di un medico, sa indovinare quello che è adatto alla malattia della figlia...
La povera Maria fu costretta a venire ad abitare dallo Zio, perché allora era impossibile portarmi ai Buissonnets. E tuttavia si avvicinava la vestizione di Paolina; davanti a me evitavano di parlarne, sapendo il dolore che provavo per non poterci andare, ma io ne parlavo spesso dicendo che sarei stata abbastanza bene per andare a vedere la mia amata Paolina. - E in realtà il Buon Dio non volle negarmi questa consolazione o piuttosto volle consolare la sua amata Fidanzata che aveva tanto sofferto per la malattia della sua figliolina... Ho notato che Gesù non vuole che le sue figliette soffrano nel giorno del loro fidanzamento, la festa deve essere senza nuvole, come un anticipo delle gioie del Paradiso, non lo ha forse mostrato già per 5 volte?... Dunque, io ho potuto abbracciare la mia Madre cara, sedermi sulle sue ginocchia e coprirla di carezze... Ho potuto vederla così affascinante, sotto la sua veste di Fidanzata... Ah! che bel giorno fu, quello, in mezzo alla mia prova oscura, ma passò presto... Fui costretta ben presto a risalire nella carrozza che mi portò tanto lontana da Paolina... tanto lontana dal mio amato Carmelo. Arrivando ai Buissonnets mi misero a letto mio malgrado, perché assicuravo di essere perfettamente guarita e di non aver più bisogno di cure. Purtroppo ero ancora solo all'inizio della mia prova!... L'indomani fui ripresa come lo ero stata prima e la malattia si fece così grave che secondo i calcoli umani non avrei dovuto guarire... Non so come descrivere una malattia così strana, adesso sono convinta che era opera del demonio, ma per tanto tempo dopo la guarigione ho creduto che avevo fatto finta di essere ammalata e la cosa fu un vero martirio, per l'anima mia...
Lo dissi a Maria, che mi rassicurò meglio che poté con la sua solita bontà, lo dissi in confessione e anche li il mio confessore cercò di tranquillizzarmi, dicendo che non era possibile aver finto di essere ammalata fino al punto in cui io lo ero stata. il Buon Dio che senza dubbio voleva purificarmi e soprattutto umiliarmi mi lasciò questo intimo martirio fino al mio ingresso al Carmelo, dove il Padre delle anime nostre mi tolse tutti i miei dubbi come con una mano e da allora sono perfettamente tranquilla.
Non è per niente sorprendente che io abbia temuto di esser apparsa ammalata senza esserlo davvero, perché dicevo e facevo cose che non pensavo, quasi sem­pre apparivo in delirio, pronunciavo parole che non ave­vano significato e tuttavia sono sicura di non essere mai, neppure per un istante solo, rimasta priva dell'uso della ragione... Parevo spesso stordita, non facevo neppure il più piccolo movimento, e allora mi sarei lasciata fare tutto quello che si voleva, anche se mi avessero uccisa, e tuttavia sentivo tutto quello che si diceva intorno a me e mi ricordo ancora di tutto...
Una volta mi è capitato di stare per tanto tempo senza poter aprire gli occhi e di aprirli un attimo mentre ero sola...
Io credo che il demonio aveva ricevuto un potere esterno su di me, ma che non poteva accostarsi all'anima mia nè al mio spirito, se non per mettermi dentro dei terrori così grandi, per certe cose, per esempio per delle medicine semplicissime che invano si cercava di farmi prendere. Ma se il Buon Dio permetteva al demonio di avvicinarsi a me mi mandava anche degli angeli visibili... Maria era sempre accanto al mio letto, mi curava e mi consolava con la tenerezza di una Madre, non mostrava mai anche la minima noia e tuttavia le davo molto fastidio, perché non volevo che si allontanasse da me. E tuttavia era necessario che andasse a mangiare con Papà, ma io non smettevo di chiamarla per tutto il tempo in cui era via e Vittoria, che mi custodiva era talora costretta ad andare a cercare quella che io chiamavo la mia cara “Mama”... Quando Maria voleva uscire bisognava che la cosa avvenisse per andare a Messa o da Paolina, e allora io non dicevo niente...
Lo Zio e la Zia erano altrettanto buoni, con me; la mia cara piccola Zia veniva ogni giorno a trovarmi e mi portava mille leccornie. Anche altri amici della famiglia vennero a trovarmi, ma io pregavo Maria di dire loro che non volevo visite; non mi piaceva “vedere gente seduta attorno al mio letto come cipolle in fila a guardarmi come un animale strano”. La sola visita che amavo era quella dello Zio e della Zia.
Dopo questa malattia non saprei dire quanto aumentò il mio affetto per loro, capii più che mai che non erano per me come dei parenti qualsiasi. Ah! il povero Babbino aveva davvero ragione quando ci ripeteva spesso le parole che ho appena scritte. Più tardi sperimentò egli stesso che non si era sbagliato ed ora deve proteggere e benedire quelli che si sono presi cura di lui con tanta generosità... Io sono ancora in esilio e non sapendo dimostrare la mia riconoscenza non ho che un solo mezzo per consolare il mio cuore: Pregare per i parenti che amo, che sono stati e che ancora sono così buoni con me!
Leonia era anche lei molto buona con me, cercava di farmi divertire meglio che poteva, ma io talvolta la addoloravo perché vedeva bene che Maria per me non aveva sostituti...
E la mia Cèlina cara, che ha fatto per la sua Teresa?... Domenica invece di andare a passeggiare veniva a chiudersi per ore intere con una povera figlietta che somigliava ad un'idiota; aveva davvero bisogno di tanto amore per non scappare lontana da me... Ah! povere Sorelline mie, quanto vi ho fatto soffrire!... nessuno vi aveva dato tanto dolore come me e nessuno aveva ricevuto tanto amore quanto quello che voi mi avete prodigato... Per fortuna avrò il Cielo per rifarmi, il mio Sposo è così ricco ed io attingerò nei suoi tesori d'amore per rendervi al centuplo tutto quello che avete sofferto per me...
La mia più grande consolazione mentre ero ammalata, era ricevere una lettera da Paolina... La leggevo, la rileggevo fino a saperla a memoria... Una volta, Madre mia cara, tu mi avevi mandato una clessidra ed una bambola mia vestita da carmelitana, ed è impossibile dire la mia gioia... Lo Zio non era contento, diceva che invece di farmi pensare al Carmelo bisognava allontanarlo dalla mia mente, ma io sentivo invece che proprio la speranza di essere un giorno carmelitana era ciò che mi faceva vivere... Il mio piacere era quello di lavorare per Paolina, le facevo piccole costruzioni in cartoncino bristol e la mia maggiore occupazione era fare corone di pratolie e di miosotis per la Santa Vergine, eravamo nel bel mese di maggio, tutta la natura era coperta di fiori e traspirava allegria, soltanto il “piccolo fiore” languiva e pareva appassito per sempre... Tuttavia accanto a lei aveva un Sole, e quel Sole era la Statua miracolosa della S. Vergine che aveva parlato per due volte a Mamma, e spesso, molto spesso, il piccolo fiore girava la sua corolla verso questa benedetta Stella... Un giorno vidi Papà entrare in camera di Maria, dove ero a letto; le mise in mano parecchie monete d'oro con un'espressione di grande tristezza e le disse di scrivere a Parigi e di far dire messe a Nostra Signora delle Vittorie perché guarisse la sua povera figliolina. Ah! quanto mi commossi vedendo la Fede e l'Amore del mio amato Re! Avrei voluto potergli dire che ero guarita, ma già gli avevo dato abbastanza gioie illusorie, e non erano i desideri miei che potevano fare un miracolo, perché di un miracolo c'era bisogno, per guarirmi... Occorreva un miracolo e fu proprio Nostra Signora delle Vittorie a farlo. Una Domenica (durante la novena delle Messe), Maria usci in giardino lasciandomi con Leonia che leggeva vicino alla finestra, e dopo qualche minuto io cominciai come a chiamare a bassa voce: “Mamma... Mamma”. Leonia non ci fece caso, essendo abituata a sentirmi sempre chiamare così. La cosa andò avanti per molto, e allora chiamai più forte e alla fine tornò Maria, la vidi perfettamente che entrava, ma non potevo dire che la riconoscevo e continuavo a chiamare sempre più forte: “Mamma...”. Soffrivo parecchio per questa lotta forzata e inspiegabile e Maria ne soffriva forse ancora più di me; dopo vani sforzi per farmi vedere che era accanto a me, si mise in ginocchio accanto al letto con Leonia e Celina e poi girandosi verso la Santa Vergine e pregandola col fervore di una Madre che chiede la vita di suo figlio, Maria ottenne quello che chiedeva...
Non trovando alcun soccorso sulla terra, anche la povera Teresina si era girata verso la sua Madre del Cielo, la pregava con tutto il cuore di avere finalmente pietà di lei... Di colpo la Santa Vergine mi parve bella, tanto bella che io non avevo mai visto nulla di così bello, il suo viso comunicava una bontà ed una tenerezza indicibile, ma la cosa che mi si è impressa fino al fondo dell'anima fu il “sorriso incantevole della S.ta Vergine”. Allora svanirono tutte le mie pene, due grosse lacrime sgorgarono dalle mie palpebre e scorsero silenziosamente sulle mie guance, ma erano lacrime di una gioia pura... Ah! pensai, la S.ta Vergine mi ha sorriso, come sono felice... * ma non lo dirò mai a nessuno, perché subito la mia felicità sparirebbe. Senza alcuna fatica abbassai gli occhi, e vidi Maria che mi guardava con amore; sembrava commossa e pareva come se sospettasse il favore che la S.ta Vergine mi aveva concesso... Ah! proprio a lei, alle sue preghiere commoventi dovevo la grazia del sorriso della Regina dei Cieli. Vedendo il mio sguardo fisso sulla Santa Vergine aveva detto: “Teresa è guarita!”. Si,. il piccolo fiore stava rinascendo alla vita, il Raggio luminoso che l'aveva riscaldato non avrebbe interrotto i suoi benefici; non agi tutto insieme, ma dolcemente, soavemente, rialzò il suo fiore e lo rinforzò in modo che dopo cinque armi esso sarebbe fiorito sulla montagna fertile del Carmelo.
Come ho già detto, Maria aveva intuito che la Santa Vergine mi aveva concesso qualche grazia nascosta, e così quando restai sola con lei, poiché mi chiedeva cosa avevo visto, non potei resistere alle sue domande così tenere e così insistenti; sbalordita nel vedere il mio segreto scoperto senza che io lo avessi rivelato, lo raccontai fino in fondo alla mia cara Maria... Ohimè! Proprio come avevo sentito la mia felicità stava per sparire e mutarsi in amarezza; per quattro anni il ricordo della grazia ineffabile che avevo ricevuta fu per me una vera pena dell'anima, non dovevo ritrovare la mia felicità che ai piedi di Nostra Signora delle Vittorie, ma allora essa mi fu resa in tutta la sua pienezza... riparlerò più avanti di questa seconda grazia della S.ta Vergine. Ora debbo dirti, Madre cara, come la mia gioia si mutò in tristezza. Maria dopo aver sentito il racconto ingenuo e sincero della “mia grazia” mi chiese il permesso di dirlo al Carmelo, e io non potevo dire di no... Alla mia prima visita a questo caro Carmelo, fui piena di gioia vedendo la mia Paolina con l’abito della Santa Vergine, fu un momento molto dolce per noi due... C'erano così tante cose da dirci che non potevo dire proprio niente, il mio cuore era troppo pieno... C'era anche la buona Madre Maria di Gonzaga, e mi dava mille segni d'affetto, vidi anche altre suore e davanti a loro mi chiesero della grazia che avevo ricevuta, domandandomi se la S.ta Vergine aveva in braccio il bambino Gesù, o se c'era tanta luce, ecc... Tutte queste domande mi turbarono e mi addolorarono, e io non potevo dire che una sola cosa: “La Santa Vergine mi era parsa bellissima... e l'avevo vista che mi sorrideva”. Solo il suo volto mi aveva colpita, e così accorgendomi che le Carmelitane immaginavano cose ben diverse (ed avevo già problemi penosi a proposito della mia malattia), mi parve di aver mentito... Senza dubbio, se avessi conservato il mio segreto, avrei conservato anche la mia felicità, ma la Santa Vergine ha permesso questo tormento per il bene dell'anima mia, forse senza di esso avrei avuto qualche pensiero di vanteria, e invece dal momento in cui l'umiliazione divenne la mia parte di eredità io non ho potuto pensarmi senza un sentimento di profondo orrore... Ah! Quanto ho sofferto, non lo potrò raccontare che in Cielo!...
Parlando della visita alle carmelitane mi ricordo della prima, che avvenne poco tempo dopo l’ingresso di Paolina, ho dimenticato di parlarne prima, ma si tratta di un particolare che non posso trascurare. La mattina del giorno in cui dovevo andare in parlatorio, riflettendo sola sola nel mio letto (era lì che facevo le mie più profonde orazioni e contrariamente alla sposa dei cantici trovavo sempre il mio Amato), mi chiedevo che nome avrei preso al Carmelo; sapevo che c'era già una Sr Teresa di Gesù, e tuttavia il mio bel nome di Teresa non mi poteva essere tolto. All 'improvviso ho pensato a Gesù Bambino che amavo tanto, e mi sono detta: “Oh! come sarei contenta di chiamarmi Teresa di Gesù Bambino!”. Non ho detto niente al parlatorio di quel sogno che avevo fatto tutta sveglia, ma quando la buona Madre M. di Gonzaga chiese alle Sorelle che nome bisognasse darmi, le venne in mente di chiamarmi con il nome che avevo sognato... La mia gioia fu grande e questo felice incontro di pensieri mi parve una delicatezza del mio Amato Gesù Bambino.
(Continua...)