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Ciascuno di noi è un messaggio che Dio manda al mondo (P. G. Vannucci OSM)

Una passo del Vangelo per te

UN PASSO DEL VANGELO PER TE

Le Rivelazioni Celesti di S. Brigida di Svezia - Libro II (estratti)

LIBRO SECONDO

Parole meravigliose della Madre di Dio alla sposa (alla quale spiega) come in questo mondo ci siano cinque case, i cui abitatori rappresentano i cinque stati degli uomini, cioè gli Infedeli cristiani, i Giudei ostinati, i Pagani da soli, i Giudei e i Pagani assieme e gli Amici di Dio; e molte altre cose utili.

Capitolo Terzo
Maria diceva: È gran cosa che il Signore di tutte le cose e il Re della gloria sia stato disprezzato. Egli fu come un pellegrino, viandante da un luogo all'altro e, come tale, bussò alla porta di molti per essere ricevuto. Il mondo infatti era come un fondo, nel quale ci sono cinque case.
Nella prima casa, il Figlio mio venendo in abito di pellegrino, bussò alla porta e disse: Amico, aprimi e fammi entrare a riposare e abitare con te, perché non mi aggrediscano le fiere, né mi colga l'uragano e la pioggia. Dammi le tue vesti, ché, freddo, mi riscaldi e, nudo, mi ricopra. Dammi del tuo cibo, ché affamato mi nutra; della tua bevanda, che assetato m'appaghi, e tu abbia la mercede dal tuo Dio.
Allora rispose chi era dentro: Tu sei troppo impaziente, perciò non puoi andar d'accordo e stare con noi. Sei troppo alto, non bastiamo a ricoprirti. Sei troppo desideroso e goloso, perciò non bastiamo a saziarti, perché il tuo desiderio è senza fondo. E Cristo pellegrino, che era fuori, rispose: Amico, fammi entrare con gioia e buona volontà, ch'io sto in poco spazio. Dammi delle tue vesti, perché non è possibile non ci sia un po' di vestito nella tua casa, che basti per scaldarmi. Dammi del tuo cibo, perché anche una briciola può saziarmi e una goccia d'acqua darmi refrigerio e forza.
Rispose ancora quello di dentro: Noi ti conosciamo bene, sei umile nel parlare, importuno nel chiedere. Tu sembri contentarti di poco, ma sei di fatto insaziabile. Freddissimo e difficilissimo da coprire, vattene, ché non ti riceveremo. Venne allora alla seconda casa e disse: Amico, aprimi e guardami. Io ti darò quel che ti occorre. Ti difenderò dai tuoi nemici.
Rispose quello di dentro: I miei occhi sono deboli, mi farebbe male a vederti. E sovrabbondo d'ogni bene, non mi serve nulla. E sono potente e forte, chi mi può assalire? Arrivando alla terza casa, disse: Amico, apri l'orecchio e ascoltami, allunga le tue mani e toccami. Apri la tua bocca e gustami.
Rispose quello che l'abitava: Grida più forte, perché io ti ascolti bene. Se sei leggero ti prendo e se dolce ti ricevo. Andò quindi alla quarta casa, che aveva la porta socchiusa e disse: Amico, se pensassi a tutto il tempo da te vissuto, tu mi riceveresti. E se capissi e udissi quel che ho fatto per te, mi compatiresti. Se pensassi a quanto mi offendesti, gemeresti e chiederesti pietà.
Rispose: Noi fummo quasi morti nell'attesa e nel desiderio della tua venuta; compatisci perciò la nostra miseria. Molto volentieri noi ci diamo a te. Guarda alla nostra miseria e considera la fragilità nostra e saremo pronti a tutto quel che vuoi.
Andò allora alla quinta casa, ch'era spalancata e disse: Amico, qui voglio entrare liberamente, ma sappi che desidero un giaciglio più soffice delle piume, un caldo più accogliente della lana, un cibo più fresco che possa fornire una tenera selvaggina. Risposero quelli di dentro: Ci son qui mantelli coi quali con grande piacere ci scaldiamo i piedi e le ginocchia e perché tu abbia riposo te ne daremo il calore. Le nostre viscere e le nostre interiora offriremo di buon grado a te, perché tu vi entri. Come infatti niente è più molle del nostro midollo per esserti di riposo, così niente ti potrà riscaldare più delle nostre viscere. Il cuor nostro è il più fresco fra tutti i viventi e volentieri lo spezziamo per dartelo in cibo; entra dunque e tutto ti è dolce al palato e appetibile al gusto.
Gli abitatori delle cinque case sono i cinque stati degli uomini nel mondo. I Primi sono i cristiani infedeli, che dicono ingiusti i giudizi del Figlio mio e false le sue promesse e impossibili i suoi precetti. Costoro col pensiero nella mente e con la bestemmia sono contro i predicatori del Figlio mio. L'Onnipotente è lunghissimo e non può essere raggiunto. È larghissimo e altissimo e non può essere vestito. È insaziabile e non può essere nutrito. È impazientissimo, in modo da non poter coabitare con loro. Lo dicono lontanissimo, perché piccoli d'opere e di carità non si sforzano d'innalzarsi alla sua bontà. Lo dicono larghissimo perché la loro cupidigia non conosce misura. Cercano il pelo nell'uovo, sospettano il male prima che accada. Lo ritengono anche insaziabile, perché non gli bastano né il cielo né la terra; dagli uomini esige i doni migliori e di dare tutto per la salvezza dell'anima: un comando pazzesco per loro che stimano grave danno riservare poche cose al corpo. Impazientissimo lo dicono anche perché odia il vizio e va contro la loro volontà; infatti essi non stimano bello e utile se non quello che è suggerito loro dal piacere sensibile.
Ma il Figlio mio davvero è Onnipotente in cielo e in terra, Creatore di tutte le cose, da nessuno creato, a tutti anteriore e, dopo di Lui, non ci saranno altri in futuro. Egli è davvero lunghissimo, altissimo, larghissimo fra tutte le cose e fuori e sopra a tutte le cose. E tuttavia, sebbene tanto potente, vuol essere vestito dal servizio caritatevole dell'uomo, lui che di vestirsi non ha bisogno, ma tutti riveste, ed è eternamente e immutabilmente vestito di onore e di gloria. Desidera essere rifocillato dalla carità dell'uomo, lui che è il pane degli Angeli e degli uomini, che tutti rifocilla e non ha bisogno di nessuno. Chiede la pace all'uomo, colui che della pace è il costruttore e il fondamento. Chi dunque vorrà accoglierlo gioiosamente, potrà saziarlo anche con un briciolo di pane, se avrà buona volontà. Basterà un filo a vestirlo, se avrà ardente carità. Potrà dissetarlo con una goccia, se avrà buoni sentimenti. Sarà in grado di riceverlo in cuore e parlar con lui, se sarà fervente e stabile nella devozione. Dio infatti è Spirito e volle perciò mutare in spirituali le cose carnali ed in eterne le cose caduche. Reputa fatto e dato a se stesso, quel che è fatto e dato alle sue membra. Né guarda l'operato o il semplice sentimento ma la fervorosa volontà e l'intenzione con cui si compie l'opera.
Veramente costoro quanto più ricevono segrete inspirazioni dal Figlio mio e quanto più vengono ammoniti da lui per mezzo dei suoi predicatori, tanto più si ostinano contro di lui, né l'odono, né gli aprono la porta della volontà né l'introducono con le buone opere. Perciò quando sarà giunto il loro tempo, sarà annientata la menzogna su cui si fondano e sarà esaltata la verità e resa manifesta la gloria di Dio.
I secondi sono i Giudei ostinati. Questi credono d'essere del tutto ragionevoli e ritengono la loro ragione come giustizia legale. Esaltano le proprie azioni e le magnificano più di quelle degli altri. Se odono le cose fatte dal Figlio mio, le stimano degne di disprezzo. Se odono le parole e i comandi del Figlio mio, li disdegnano e, anzi, se le ascoltassero e le praticassero, si riterrebbero peccatori e impuri; e, per ciò che riguarda il Figlio mio, più infelici e miserabili se lo imitassero. Finché il mondo è loro favorevole, si sentono felicissimi; finché sono in buona salute, si sentono fortissimi. Perciò la loro speranza cadrà nel nulla e la loro gloria in confusione.
Terzi sono i Pagani, dei quali alcuni, irridendo, chiedono ogni giorno: Chi è questo Cristo? Se è dolce, con la sua presenza, l'accoglieremo. Se mite nel perdonare i peccati, l'onoreremo volentieri. Ma questi chiudono gli occhi della loro intelligenza per non capire la giustizia e la misericordia di Dio. Otturano le orecchie per non udire quel che il Figlio mio ha fatto per essi e per tutti. Si tappano la bocca e non indagano cos'accadrà loro e cos'è loro utile. Incrociano le braccia e rifiutano la fatica di cercar la via come evitare la menzogna e trovare la verità. Perciò, siccome non vogliono capire e guardarsi come possono e fin quando ne hanno il tempo, cadranno con la loro casa, travolti dalla tempesta.
I quarti sono quei Giudei e Pagani, che sarebbero volentieri cristiani, se ne conoscessero il modo e cosa è gradito al Figlio mio e se avessero un interlocutore. Essi arguiscono dalle circostanze e capiscono dalla voce interna dell'amore e dai segni, quanto il Figlio mio ha fatto e patito per tutti. Perciò in cuor loro si rivolgono al Figlio mio e dicono: « O Signore, abbiamo udito che hai promesso di darti a noi, perciò ti aspettiamo; vieni e mantieni la tua promessa. Comprendiamo infatti e vediamo che in quelli che vengono adorati come dei, non c'è alcuna virtù divina, né carità per le anime, né grande castità da esaltare. In essi troviamo l'amicizia dei corpi, l'amore della gloria di questo mondo. Abbiamo appreso della tua legge e udimmo delle tue gesta in ogni giustizia e misericordia. Udimmo dei Profeti tuoi che ti hanno predetto e atteso. Vieni perciò, piissimo Signore, volentieri ci daremo a te, perché comprendiamo che in te è la carità per le anime, l'uso discreto di tutte le cose, perfetta carità e vita eterna. Perciò vieni presto, perché moriamo dal desiderio della tua attesa e illuminaci ». Così dunque gridano al Figlio mio. E perciò la porta del loro cuore è quasi aperta per metà, perché hanno tutta la volontà di fare il bene, ma non l'hanno ancora compiuto. Sono questi, quelli che meritano d'ottenere la grazia e la consolazione del Figlio mio.
Nella quinta casa ci sono gli Amici miei e i figli miei, e la porta della loro mente è tutt'aperta al Figlio mio. Essi ascoltano volentieri il Figlio mio che li chiama. E non solo aprono, quando bussa, ma gli vanno incontro con animo ilare, quando viene. Essi col martello dei comandamenti di Dio spezzano qualunque stortura in se stessi. E preparano il riposo al Figlio mio, non sulle piume d'uccelli, ma nell'armonia delle virtù e nella mortificazione di tutti i cattivi sentimenti, ch'è il midollo di tutte le virtù. Son essi che danno calore al Figlio mio, non il caldo della lana, ma il gran fervore della carità, con cui offrono non solo le cose loro, ma se stessi al Figlio mio. Infine gli preparano un nutrimento più fresco d'ogni carne nel cuore perfettissimo, col quale non desiderano né amano altri che il loro Dio. Nel cuore di costoro abita il Signore del cielo e soavemente si nutre della loro carità, Dio che tutti nutre. Costoro hanno sempre l'occhio alla porta, perché non v'entri l'avversario, e l'occhio a Dio e le mani alle armi da usare contro il nemico. Questi, figlia mia, imita per quanto puoi, perché il loro fondamento è sulla pietra fermissima. Le altre case si appoggiano sul fango e, perciò, quando verrà il vento, cadranno.
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Parole di Dio, presente la sposa, circa la propria magnificenza e, con figura meravigliosa, come Cristo sia indicato in David, mentre i Giudei, i cattivi cristiani e i Pagani lo sono nei tre figli di David e come la Chiesa sussista nei sette Sacramenti.

Capitolo Quinto
Io sono Dio, non di pietra o di legno, ma Creatore di tutti, essendo senza principio e senza fine. Son io che m'incarnai nella Vergine e rimasi con la Vergine senza lasciare la mia Divinità. Ma, io stesso che per l'umanità ero nella Vergine senza lasciare la Divinità, insieme col Padre e con lo Spirito Santo, regnavo per la Divinità in cielo e in terra. Io pure con il mio Spirito infiammavo la Vergine; non che questo mio Spirito si separasse da me, ma lo stesso Spirito, che l'infiammava, era nel Padre e in me, Figlio, ed in Lui era il Padre ed il Figlio, perché essi sono un solo Dio e non tre dei.
Io sono uguale al Re David, che ebbe tre figli. Uno di loro, Assalonne, cercava la vita del padre. Il secondo, cioè Adonia, cercava il regno del Padre. Il terzo, Salomone, ottenne il Regno. Il primo rappresenta i Giudei, che cercavano la mia vita e la mia morte e disprezzavano il mio consiglio. Perciò, ora che è nota la loro ricompensa, posso dire quel che disse David del figlio suo morto: Figlio mio Assalonne, e cioè, figli miei Giudei, dove sono ora finiti il vostro desiderio e la vostra attesa? O figli miei, qual è la vostra fine? Ebbi di voi compassione, perché desideraste la mia venuta e con tanti segni udiste che ero venuto. E desideraste cose caduche, ormai passate. Ma più vi compatisco ora, ripetendo come David le parole di prima, perché vi vedo finire in una misera morte. Perciò, ancora con grandissima carità vi dico, come David: Figlio mio, chi mi concederà ch'io muoia per te? David infatti ben sapeva di non poter risuscitare il figlio con la propria morte; ma per mostrare il profondissimo sentimento della paterna carità e della buona volontà, se fosse stato possibile, sarebbe volentieri morto per il figlio suo. Così dico io ora: O figli giudei, anche se siete stati malevoli verso di me e maldisposti contro di me, se fosse possibile e così piacesse al Padre, volentieri morirei ancora una volta per voi, perché compatisco alla miseria, che voi stessi vi attiraste per esigenza della giustizia. Dissi a voi le cose da fare con le parole e ve le mostrai con l'esempio. Vi precedetti come una gallina, scaldandovi con le ali della carità; ma tutto disprezzaste. La vostra fine è nella miseria e vana è ogni fatica.
Nel secondo figlio di David son rappresentati i cattivi cristiani. Egli abbandonò il padre. Ormai vecchio. Pensò infatti fra sé: Mio padre è vecchio e gli mancano le forze. Se gli dico qualcosa di male, non risponderà. Se qualcosa farò contro di lui, non si vendicherà. Se contro di lui porrò in atto qualche attentato, sopporterà con pazienza. Farò perciò quel che vorrò! Egli, con alcuni servi di David, suo padre, salì in un luogo ove non erano molti alberi, per regnarvi. Ma, in seguito, riflettendo e, ritornato il buon sentimento verso il padre, cambiò consiglio e quelli che erano con lui si vergognarono.
In questo modo si comportano con me tanti Cristiani. Essi pensano così: I segni e i giudizi di Dio ora non sono chiari come un tempo; possiamo dire quel che vogliamo, tanto egli è misericordioso e non ci bada. Facciamo quel che ci piace, perché è facile al perdono. Essi diffidano della mia potenza, come se non potessi fare quel che voglio ora come un tempo. Reputano la mia carità verso di loro minore di quella mostrata ai padri loro, perdonando. Reputano oggetto di scherno il mio giudizio e vana la mia giustizia. Come se salissero in un bosco con alcuni servi di David, per regnarvi con fiducia. Che è questo bosco, con pochi alberi, se non la santa Chiesa, che è fatta dei sette Sacramenti, come di pochi alberi? In questa Chiesa essi entrano, ma con alcuni servi di David, cioè con poche opere buone, presumendo d'avere il Regno di Dio. Infatti essi fanno poche opere buone e per esse pensano di poter avere diritto al Regno celeste, anche se fossero in peccato di qualsiasi genere. Ma come il figlio di David, che contro la volontà del padre volle ottenere il regno, ne fu respinto perché indegno, e l'aveva ingiustamente ambito ed era iniquo e il regno fu dato al più sapiente e al migliore, così essi saranno espulsi dal mio regno che sarà dato a quelli che fanno la volontà di Dio, perché nessuno potrà ottenerlo senza possedere la carità di Dio. E non potrà a me, purissimo, accostarsi, se non chi è puro e vive secondo il mio cuore.
Il terzo figlio di David era Salomone. Egli rappresenta i Pagani. Quando Bersabea seppe che un altro era stato eletto re da alcuni e non Salomone, come aveva promesso David, andò da lui e gli disse: Signor mio, tu mi giurasti che Salomone avrebbe regnato dopo di te. Ed ora è stato eletto un altro. Se accade questo e le cose vanno a questo modo, io sarò giudicata un'adultera, degna di fuoco e il figlio mio sarà illegittimo. Ciò udito, il re David s'alzò e disse: Giuro a Dio che Salomone sederà in trono, in fede mia, e regnerà dopo di me. E dette ordine ai suoi servi che eleggessero e nominassero re, colui che David aveva detto. Ed essi, obbedendo al loro signore, con gran pompa esaltarono Salomone e tutti quelli che avevano favorito suo fratello, furono sgominati e ridotti in schiavitù.
Chi rappresenta codesta Bersabea, che passa per adultera se viene eletto re un altro, se non la fede dei pagani? Nessun adulterio è peggiore infatti di quello di tradire Dio e la retta fede e credere in un altro dio, che non è il Creatore di tutto. Ma, come Bersabea, alcuni dei Pagani, con umile cuore contrito vengono a dire a Dio: Signore, tu promettesti che noi saremmo stati cristiani: mantieni la tua promessa. Se un altro re, cioè un'altra fede sorgesse sopra di noi, se tu ti separassi da noi, andremmo miseri e moriremmo, come un'adultera che al posto del figlio legittimo prese l'adulterino. E sebbene tu viva in eterno, saresti come morto per noi e noi per te, poiché t'allontani con la grazia tua dai nostri cuori e noi, con la nostra diffidenza, ci mettiamo contro di te. Adempi perciò la tua promessa e rafforza la nostra debolezza, illumina le nostre tenebre. Se infatti t'allontanerai, noi periremo.
Udito questo io – come un altro David – voglio alzarmi nella mia grazia e misericordia. Giuro dunque per la mia Divinità, che è nella mia Umanità e per lo Spirito mio, ch'è nella Divinità, e questi tre non sono tre dei ma un solo Dio, che manterrò la mia promessa. Manderò infatti gli amici miei che introducano Salomone mio figlio, cioè i Pagani, nel luogo, ossia nella Chiesa, ch'è fatta dai sette Sacramenti, come di sette alberi, cioè il Battesimo, la Penitenza, la Confermazione col Crisma, il Sacramento dell'Altare, il Sacerdozio, il Matrimonio e l'Unzione, e riposeranno nel mio seggio, cioè nella retta fede della S. Chiesa; i cattivi cristiani poi saranno i loro schiavi. Questi poi gemeranno nella miseria, che comincerà nel presente e durerà in eterno. Gli amici miei, dunque, giacché è ora tempo di vigilare, non dormano e non impigriscano, perché grande ricompensa avrà il loro lavoro.
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Parole del Figlio, presente la sposa, circa un re che è in campo, con gli amici alla destra e i nemici alla sinistra e come Cristo rappresentato in tal re, abbia i Cristiani a destra e i Pagani a sinistra e come, reietti i Cristiani, mandi i suoi predicatori ai Pagani.

Capitolo Sesto
Il Figlio diceva: Io sono come un re, che stava in campo e aveva alla destra gli amici e alla sinistra i nemici. Così stando le cose, la voce d'un tale gridò a destra, dove tutti erano bene armati e con gli elmi legati e le facce verso il Signore. La voce gridò così: Voltatevi verso di me e, credetemi, ho dell'oro da darvi. Ed essi, udendolo, si voltarono verso di lui e a loro così voltati disse ancora la voce: Se volete veder l'oro, sciogliete i vostri elmi e, se vorrete averlo, io legherò di nuovo i vostri elmi alla mia volontà. Acconsentendo essi, legò gli elmi in modo che i fori anteriori, coi quali avrebbero dovuto vedere, erano sulla nuca e le parti posteriori dell'elmo impedivano loro di vedere e così, mentre continuava a gridare, se li condusse appresso.
Riferirono alcuni al Signore loro Re quel ch'era accaduto, che cioè i suoi uomini erano stati sgominati dai loro nemici. Ed egli disse ai suoi amici: Uscite fra di loro e chiamateli in questo modo: Sciogliete i vostri elmi e guardate che siete stati ingannati. Volgetevi a me ed io vi accoglierò nella pace. Ma quelli non vollero ascoltare, e li derisero.
Questo fu riferito dai servi al loro Signore, che disse: Ebbene, giacché essi mi hanno disprezzato, presto, rivolgetevi a sinistra e dite loro che per la sinistra ci sono tre cose: la via che conduce alla vita è davanti a voi, la porta è aperta e il Signore stesso vuole personalmente venirvi incontro. Credete dunque fermamente che la via è pronta, sperate stabilmente che la porta è aperta e che Egli dice il vero. Andate incontro al Signore con la carità ed Egli con carità e pace vi accoglierà e vi condurrà nell'eterna pace. Quelli, udendo le parole dei messaggeri, credettero e furono accolti nella pace.
Io sono quel Re, che avevo i Cristiani a destra e avevo loro preparato beni eterni. I loro elmi erano legati ed erano rivolte a me le loro facce, quando avevano la perfetta volontà di fare la volontà mia, obbedire ai miei comandamenti e il loro desiderio era tutto teso al cielo. Ma la voce del Diavolo, cioè la superbia, risuonò nel mondo; e il Diavolo mostrò loro la ricchezza del mondo, i piaceri della carne, cui essi si volsero con gli affetti e acconsentirono con la superbia. Per essa, deposero allora gli elmi, quando eseguirono a fatti gli interni sentimenti e preferirono le cose temporali alle spirituali. Deposti perciò gli elmi della divina volontà e le armi della virtù, prevalse in essi soltanto la superbia, che li asservì in modo tale da voler di buon grado peccare sino alla fine e volentieri vivere sempre, per sempre peccare. E ciò li ottenebrò anche in tal modo che i fori degli elmi, attraverso i quali avrebbero dovuto vedere, erano di dietro, mentre davanti c'erano solo le tenebre.
Che cosa sono infatti i fori degli elmi, se non la considerazione delle cose future e la prudenza e la circospezione in quelle presenti? Dal primo foro c'è la considerazione del premio eterno, tanto appetibile e dell'eterno castigo, tanto temibile, e del giudizio terribile di Dio. Dal secondo foro c'è la dovuta considerazione su quali sono i comandi e quali i divieti e su come abbandonano i comandi e come emendarsi. Ma questi fori sono dalla parte posteriore nell'occipite, ove non si vede nulla, condannata com'è alla dimenticanza la considerazione delle cose celesti. Si raffredda l'amore di Dio e così, leggermente, si apprezza e s'abbraccia l'amore del mondo, che li conduce, come una ruota bene unta, a qualunque cosa vogliano.
Ma gli amici miei, vedendo l'offesa a me recata, la perdita delle anime e la tirannia del Diavolo, ogni giorno innalzano a me preghiere per loro e tali preghiere sono arrivate in cielo e sono giunte al mio orecchio e, piegato alle loro richieste, ho mandato loro ogni giorno i miei predicatori, ho mostrato segni e moltiplicato la mia grazia in loro. Ma essi, disprezzando tutto, hanno aggiunto peccato a peccato.
Perciò dirò ora ai miei servi e veramente lo farò: Andate, servi miei, a sinistra, cioè verso i Pagani, i quali stando a sinistra furono disprezzati finora. Andate dunque e dite così: Il Signore del cielo e Creatore di tutti vuole che noi vi diciamo: la via del cielo vi è aperta; vogliate entrarvi con libera fede! La porta del cielo è spalancata, sperate fermamente e vi entrerete! Il Re del Cielo e Signore degli Angeli vuol venirvi personalmente incontro per darvi la pace e l'eterna benedizione. Andategli incontro voi e ricevetelo con la fede, con la quale vi ha mostrato che la via del cielo è pronta: ricevetelo, con la speranza, con la quale sperate ch'Egli, così già volendo, dia a voi il cielo. Amatelo con tutto il cuore e mettete in opera quest'Amore ed entrerete per le porte di Dio, dalle quali sono espulsi i Cristiani che non vogliono entrarvi e se ne rendono indegni con le opere. In verità, vi dico, io adempirò le mie parole e non le dimenticherò. Riceverò voi come figli e sarò per voi quel Padre, che i Cristiani stoltamente disprezzarono.
Voi dunque, amici miei, che siete nel mondo, andate sicuri e chiamate, proclamate ad essi la mia volontà e gridate loro, perché aderiscano. Io sarò nel vostro cuore e sulla vostra bocca: sarò il vostro condottiero in vita e vi conserverò in punto di morte. Non vi abbandonerò, andate con coraggio, perché con la fatica s'accresce la gloria. Potrei fare tutto, infatti, d'un tratto e con una sola parola; ma voglio che dalla lotta cresca la vostra ricompensa e, per il vostro coraggio, la gloria mia. Né vi meravigli ch'io parli. Se infatti uno nel mondo, con vera sapienza, riflettesse a quante sono le anime che ogni giorno possono andare all'inferno, vedrebbe che sono più dell'arena del mare e della sabbia delle spiagge. Questa è infatti la giustizia. Essi si separano dal loro Dio e Signore. Perché diminuisca la moltitudine del Diavolo e cresca l'esercito mio, io parlo, affinché, per loro fortuna, mi ascoltino e rinsaviscano.
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Parole di Cristo alla sposa, circa l'immutabilità ed eternità della sua giustizia e come, nella sua umanità, tale giustizia sia stata illuminata dalla carità. E come eserciti piamente la sua misericordia nei dannati e con dolcezza ammonisca alla misericordia i soldati prescelti.

Capitolo Dodicesimo
Io sono il vero Re. Nessuno è degno d'essere detto Re se non io, perché mio è ogni onore e potere. Son io che ho giudicato il primo Angelo, caduto per superbia, cupidità e invidia. Io, che ho giudicato Adamo, Caino e tutto il mondo, mandando il diluvio per il peccato. Io stesso sono, che permisi che il popolo d'Israele fosse condotto in schiavitù e con segni prodigiosi mirabilmente lo liberai da essa. In me era ed è ogni giustizia, senza principio né fine, né mai essa s'offusca in me, ma rimane sempre vera e immutabile, sebbene essa sembri in questo tempo più attenuata, quasi Dio fosse più paziente nel giudicare.
Ma questo non è cambiamento della mia giustizia, che mai muta, ma prova maggiore della mia carità. Con la stessa giustizia e verità di giudizio giudico ora il mondo, come quando permettevo che il popolo mio fosse schiavo in Egitto e lo afflissi nel deserto. Ma prima ch'io m'incarnassi, era nascosto l'amore, ch'era unito alla giustizia come luce nascosta o schermata da una nuvola. Assunta poi l'umanità, sebbene mutasse la legge data, non per questo mutava la giustizia, ma apparve più chiaro ed evidente l'amore, per mezzo del Figlio di Dio; e questo per tre ragioni.
La prima, perché era mitigata la Legge, già dura per i ribelli e gli ostinati e difficile per le richieste superbe. La seconda, perché il Figlio di Dio patì e morì. La terza, perché il giudizio ora ispirato più di prima dalla misericordia, sembri più longanime e più mite verso i peccatori.
Difatti appare molto rigorosa ed esigente la giustizia verso i progenitori e nelle acque del diluvio. Ma la stessa giustizia è con me e lo fu sempre, anche nella morte di quelli che perirono nel deserto. Ma ora si vedono di più la bontà e la carità, che allora ragionevolmente e misericordiosamente si nascondevano nella giustizia. Sebbene in modo più segreto, mai feci giustizia senza misericordia, né la faccio, né faccio misericordia senza giustizia.
Ora mi potrai domandare: qual è mai la misericordia che uso verso i dannati, se mai uso giustizia senza misericordia? Ti rispondo con un esempio. Poni che un giudice segga in giudizio e venga a lui il suo fratello per essere giudicato; a lui dice il giudice: Tu sei mio fratello ed io sono tuo giudice. Sebbene intimamente ti ami, non posso né conviene andare contro giustizia. Tu stesso vedi nella tua coscienza, secondo i tuoi meriti, ogni giustizia e secondo questo dunque bisogna giudicarti. Se fosse possibile evaderne, ben volentieri emetterei un giudizio favorevole.
Ebbene, io sono come quel giudice. L'uomo è mio fratello per l'umanità. Venendo a me, in giudizio, la sua coscienza lo accusa della sua colpa e capisce quale sentenza l'aspetta. Io poi (lo so) perché sono giusto. Come nel paragone rispondo all'anima, che accusa se stessa. Tu vedi ogni ingiustizia nella tua coscienza, dì dunque: che cosa meriti? L'anima allora mi risponde: La mia coscienza emette il suo verdetto ed è che io merito il castigo, perché non ti ho obbedito.
Ed io soggiungo: Io, tuo giudice, ho preso su di me ogni castigo e ti ho fatto conoscere il tuo rischio e la via da seguire per non arrivare al castigo. Giustizia infatti vuole che, prima di soddisfare la colpa, tu non entri in cielo; e io l'ho sopportata al tuo posto, perché tu ne eri incapace. Io ti ho mostrato attraverso i profeti tutto ciò che doveva accadermi e nulla di quanto essi predissero io omisi. Io ti ho mostrato tutto l'amore possibile, perché ti volgessi a me. Ma, poiché te ne sei allontanato, sei ora oggetto di giustizia, perché hai disprezzato la misericordia. E tuttavia sono tanto misericordioso, che morirei ancora una volta, se fosse possibile; più ancora patirei per te una pena maggiore di quella patita una sola volta sulla croce, piuttosto che giudicarti con quella giustizia. Ma per la giustizia non è possibile che io muoia di nuovo. La misericordia però dice che, se fosse possibile, volentieri lo farei per te. Ecco come io sono misericordioso e caritatevole anche coi dannati. Qualunque cosa faccio, la faccio in segno della mia carità. Fin dalle origini ho amato l'uomo, anche mentre apparivo adirato; ma nessuno bada ed è sensibile all'amor mio.
Adunque, perché sono giusto e misericordioso, avverto quelli che son detti soldati che invochino la mia misericordia, affinché non li raggiunga la mia giustizia, la quale è stabile come un monte, ardente come il fuoco, terribile come il tuono, improvvisa come un arco teso (con la freccia pronta).
Io li avverto in tre modi. Prima, come Padre ai figli, affinché tornino a me, perché sono il loro Padre e Creatore e darò loro l'eredità che è loro dovuta. Secondo, li prego come fratello, che si ricordino delle piaghe e delle opere mie e ritornino e li accoglierò come fratello. Terzo, come Signore li prego che tornino al loro Signore, cui giurarono fede, cui devono ossequio e cui si obbligarono con giuramento. Perciò, soldati, tornate a me vostro Padre, che con amore vi educai. Consideratemi vostro fratello per voi e fattosi con voi vostro simile. Tornate a me, mansueto Signore.
È una grande scorrettezza infatti dar fede ed ossequio ad un altro Signore. Voi infatti prometteste a me di difendere la mia Chiesa, e di aiutare i miseri; ed ecco prestate ossequio al mio nemico. Abbassate il mio vessillo e innalzate quello del mio nemico. Perciò tornate a me, o soldati, con vera umiltà, perché vi allontanaste per superbia; se vi par duro soffrire qualcosa per me, pensate a quel che io feci per voi. Per voi andai alla croce, con piedi sanguinanti; per voi ebbi inchiodati le mani e i piedi; per voi non ho avuto compassione di nessuna delle mie membra e tutto questo voi trascurate ritirandovi da me. Tornate dunque e vi darò tre aiuti. Primo, la forza contro i nemici corporali e spirituali. Secondo, la magnanimità, per la quale non temerete che me, per cui vi parrà dolce lavorare. Terzo, vi darò la sapienza, con la quale comprenderete la vera fede e la volontà di Dio. Tornate dunque e state virilmente.
Io che vi ammonisco sono Colui a cui servono gli Angeli; io liberai i vostri padri, li giudicai perché disobbedienti e li umiliai perché superbi. Io fui il primo in guerra e il primo nella passione; seguitemi perciò, per non dissolvervi come cera al fuoco. Perché mancaste alle vostre promesse? Perché disprezzaste il giuramento? Son forse io da meno e più indegno del vostro amico temporale, al quale mantenete fede? Con me invece, che vi ho dato la vita e l'onore e vi conservo la salute, non mantenete le promesse. Perciò, miei buoni soldati, mantenetele e se non riuscite a farlo, sforzatevi almeno con la volontà; io difatti, commiserando la schiavitù nella quale vi opprime il Diavolo, accoglierò la volontà al posto delle opere. Se a me tornate con amore, lavorate per la fede della mia Chiesa; io vi verrò incontro come Padre, assieme a tutto il mio esercito.
E vi darò in premio cinque beni. Primo, l'eterno onore mai cesserà di risuonare alle vostre orecchie. Secondo, mai cesserà la vostra visione della faccia e della gloria di Dio. Terzo, mai cesserà la lode a Dio sulla vostra bocca. Quarto, l'anima vostra avrà tutto ciò che desidera e altro non desidererà di più di quel che ha. Quinto, mai più vi separerete dal vostro Dio, e il gaudio sarà interminabile e la vostra vita sarà nella gioia eterna.
Ecco, o soldati, sarà questa la ricompensa se difenderete la vostra fede in me e lavorerete per il mio onore, più che per il vostro. Ricordatevi, se avete intelletto in voi, ch'io sono paziente verso di voi, anche se mi offendete come voi stessi tra di voi non fate. Ma, pur essendo onnipotente e la mia giustizia reclami vendetta contro di voi, tuttavia la mia misericordia, ch'è frutto di sapienza e bontà, ancora vi perdona. Perciò chiedetemi misericordia, perché per amore vi do quello di cui dovrei essere umilmente pregato.
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Parole di Cristo alla sposa sulla via del Paradiso, aperta dalla sua nascita e dell'ardente amore a noi mostrato, soffrendo tanti patimenti dalla nascita alla morte per noi, e come ora la via dell'inferno è larga, stretta quella del paradiso.

Capitolo Quindicesimo
Ti meravigli perché io ti dica e mostri queste cose. Forse per te sola? No, bensì anche per ammaestramento e salvezza degli altri; il mondo difatti era come un deserto, nel quale non c'era che una sola via, che conduceva al massimo abisso. In quest'abisso v'erano due luoghi, uno così cupo da non aver fondo, nel quale chi era caduto non ne era mai più risalito. Il secondo non era così profondo come il primo, né così orribile, e chi vi era caduto aveva speranza e desiderio, aveva una certa dilazione, non la miseria; vi soffriva oscurità, ma non pene.
Quelli che abitavano questo secondo luogo gridavano ogni giorno a una certa Città bellissima e vicina, piena di ogni bene e di ogni diletto. Gridavano forte perché conoscevano la strada per arrivare alla Città. Ma la solitudine e un bosco tanto fitto e denso impedivano di andare ed entrarvi, né essi avevano forza di farsi strada. Ma che dicevano? Veramente dicevano così: O Dio, vieni e aiutaci; mostraci la via, illuminaci, noi ti aspettiamo. Noi infatti non abbiamo salvezza che in te. Questo grido saliva in cielo alle mie orecchie; fu questo a indurmi a misericordia.
Io commosso a tal grido, venni in quel deserto come un pellegrino. Ma prima che cominciassi ad andare a lavorare, risuonò una voce innanzi a me, che disse: La scure è già a piè dell'albero. Era la voce di Giovanni Battista, che mandato innanzi a me in quel deserto, gridava: la scure sta a piè dell'albero; come a dire: Stia preparato l'uomo, perché la scure è pronta ed è venuto Uno per preparare la strada che porta alla Città ed estirpare tutti gli ostacoli. Venuto poi io, lavorai dal sorgere al tramonto del Sole, cioè dall'Incarnazione fino alla morte di Croce; ho operato la salvezza dell'uomo, evitando, all'inizio della mia venuta in questo deserto le insidie dei miei nemici, e cioè Erode persecutore, il diavolo tentatore e le persecuzioni degli uomini.
Poi feci molteplici lavori, mi nutrivo, mi dissetavo e sperimentai altre necessità di natura, senza peccato, per istruire nella fede e mostrare la mia vera natura assunta. Poi, preparando la via alla Città celeste ed estirpando gli ostacoli, rovi e pungenti spine mi ferirono i fianchi e chiodi crudeli mi forarono le mani e i piedi. I miei denti e le mie ginocchia furono maltrattati. Ma io, pazientemente sopportando, non mi ritrassi, ma più fervorosamente avanzai come una fiera affamata che, vedendo un cacciatore che gli punta contro la lancia, per attaccarlo si getta sulla lancia e più questi gli caccia dentro la lancia, più la fiera si spinge contro, per desiderio di afferrare l'uomo, finché le viscere e tutto il corpo ne sono trafitti.
Arsi dunque di tanto amore nell'anima, che, vedendo e sperimentando tutti gli acerbissimi tormenti, che l'uomo volontariamente metteva in opera per uccidermi, ero ancora più disposto a patire per la salvezza delle anime.
Così dunque avanzai nel deserto di questo mondo, nel lavoro, nella povertà e preparai la via nel mio sangue e nel mio sudore. E ben poteva dirsi un deserto il mondo, così privo com'era d'ogni virtù: non v'era che il deserto dei vizi, in cui c'era una sola via, per la quale tutti scendevano all'inferno, i dannati alle pene, i buoni alle sole tenebre.
Sentendo dunque misericordiosamente il pressante desiderio della futura salvezza, venni come un pellegrino a lavorare, e in incognito, quanto alla mia potenza e divinità, preparai la via che conduce al cielo. Gli amici miei vedendo questa via e le difficoltà del mio lavoro e considerando l'alacrità del mio animo, mi hanno seguito con gioia e per molto tempo. Ma ora s'è spenta la voce che gridava: Siate pronti. La mia via è stata cambiata e sono cresciuti di nuovo triboli e spine e non c'è più alcuno a percorrerla.
La via dell'inferno invece è aperta e larga e molti entrano per essa. Ma perché non sia del tutto dimenticata e abbandonata la mia via, alcuni amici miei per il desiderio della patria celeste passano ancora per essa, come uccelli svolazzanti di pruno in pruno, e quasi di nascosto e servendo per timore, perché passare per la via del mondo sembra a tutti felicità e gioia. Perciò la mia via s'è fatta stretta e quella del mondo larga; ora grido nel deserto, cioè nel mondo, agli amici miei, che estirpino le spine e i triboli dalla via del Cielo e la propongano agli altri. Sta scritto infatti: Beati son quelli che non mi videro e mi credettero. Così son felici quelli che ora credono alle mie parole ed eseguono le mie opere. Io infatti son come una madre che va incontro al figlio errante, gli porge la lucerna sul sentiero, perché veda il cammino e gli va incontro per amore, accorciandogli il tratto, e s'avvicina e l'abbraccia e si congratula con lui. Così son io con tutti quelli che a me tornano, e andrò incontro con amore ai miei amici e illuminerò il cuore e l'anima loro di sapienza divina. Voglio abbracciarli con ogni gloria e con l'adunanza celeste, dove non c'è il Cielo di sotto e di sopra o la terra di sotto, ma la visione di Dio, in cui non c'è cibo né bevanda, ma il celeste diletto.
Ai cattivi invece s'apre la via dell'inferno, ove caduti non ne usciranno mai più: privati della gloria e della grazia, saranno pieni di miseria e di obbrobrio sempiterno. Perciò dico queste cose e metto in mostra la mia carità, affinché tornino a me, quelli che mi abbandonarono e riconoscano che sono io il Creatore, quello che hanno dimenticato.
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Tre cose ammirabili che fece Cristo con la sposa e come non si può sopportare la vista degli Angeli, a causa della loro bellezza, e la vista dei Demoni, a causa della loro bruttezza e perché Cristo accolga una tale vedova.
 
Capitolo Diciottesimo
Tre cose ammirabili ti ho fatte. Guarda dunque spiritualmente. E ascolta anche spiritualmente. Tu senti, corporalmente, il mio spirito nel tuo petto vivente. La visione che tu vedi, non appare così com'è.
Se vedessi infatti la spirituale bellezza degli Angeli e delle Anime sante, il tuo corpo non ne sarebbe capace, ma si spezzerebbe come un vaso rotto e sporco, per il gaudio dell'anima a tale visione. Se poi vedessi i Demoni come sono, vivresti con somma pena o moriresti immediatamente alla loro terribile vista. Perciò tu vedi le cose spirituali, come se fossero corporali. Vedi gli Angeli e le Anime come se fossero uomini, che hanno la vita e l'anima, mentre gli Angeli vivono col loro spirito. E i Demoni ti sembrano forme destinate alla morte e mortali come forme d'animali e di altre creature. Questi però hanno uno spirito mortale, cosicché, morendo la carne, muore anche lo spirito. Ma i Demoni non muoiono nello spirito; muoiono senza fine e senza fine vivono.
Le parole spirituali ti sono dette in similitudini, altrimenti non potrebbe capirle il tuo spirito. Ma la cosa più mirabile è che il mio Spirito è sentito nel cuor tuo. Allora ella domandò: « O Signor mio e Figlio della Vergine, perché ti sei degnato di abitare in questa abietta vedova, povera come sono d'ogni opera buona e corta di intelligenza cosciente e per tanto tempo consumata in ogni peccato? ». Ed egli rispose: Io ho tre cose. Per prima posso arricchire i poveri e far capace e intelligente lo stolto e il corto di ingegno.
Io sono anche capace di far ringiovanire il vecchio. Come infatti la Fenice accumula nel nido le foglie secche, fra le quali ce n'è una dello stesso albero, che al di fuori è naturalmente secca e dentro fresca, e ad essa arrivano per primi i raggi del sole, per cui si accende e, di poi, da quella tutte le foglie s'illuminano, così è necessario che tu accumuli le virtù, con le quali possa essere rigenerata dai peccati e fra quelle devi avere un legno, che dentro è fresco e di fuori secco. Così sia pure il cuore: di fuori secco da ogni piacere del mondo, di dentro pieno d'ogni carità, sicché nulla voglia o desideri, se non me. Allora in esso vien subito il fuoco della mia carità e così ti accendi di tutte le virtù, dalle quali arsa e purificata dai peccati, tu risorga, come nuovo uccello, lasciato l'involucro del piacere.
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Lamentele di Dio, per tre cose che sono ora nel mondo e come Egli scelse fin da principio tre stati, cioè dei Chierici, dei Militi e dei Lavoratori; delle pene riservate agli ingrati e della gloria data ai grati e concessa agli umili.
 
Capitolo Ventesimo
M'apparve il grande esercito celeste, al quale il Signore parlò dicendo: Anche se tutto conoscete e vedete in me, tuttavia, perché a me così piace, mi lamenterò con voi di tre cose.
Per prima, gli alveari dolcissimi, costruiti da sempre in cielo, dai quali sono uscite le api inutili, sono vuoti. Secondo, l'abisso profondo, cui non bastano né pietre né alberi, è spalancato e le anime vi cadono, come la neve cade dal cielo sulla terra. E come la neve si squaglia al sole, così le anime in quel grande tormento son private d'ogni bene e rinnovate a ogni pena. Terzo, mi lamento che son pochi quelli che riflettono ai vuoti lasciati dagli angeli cattivi e alla caduta delle Anime: perciò giustamente mi lamento.
Difatti fin da principio io scelsi tre uomini, vale a dire, tre stati nel mondo. Dapprima elessi il Chierico, che proclamasse alta la mia volontà e la mostrasse con le opere. Poi elessi il Milite, che difendesse nella sua vita i miei amici e fosse pronto ad ogni fatica. Infine elessi il Lavoratore, che lavorasse con le sue mani per sostenere il suo corpo col lavoro.
Il primo, cioè il Chierico, è diventato ora lebbroso e muto, perché chiunque cerca di vedere nel Chierico la bellezza dei costumi e della virtù inorridisce, si turba e teme di accostarglisi per la lebbra della superbia e dell'avarizia. Se poi vuole udirlo, egli è diventato muto alla lode per me e garrulo alla lode di sé. Come aprir dunque la via per raggiungere tanta dolcezza, se è fragile chi dovrebbe andare avanti, se è muto chi dovrebbe gridare, come sarà udita la celeste armonia?
Il secondo, cioè il Difensore, è tremebondo in cuore e a mani vuote, perché ha paura del rumore del mondo e della perdita del suo onore. È a mani vuote, perché non fa nessuna opera buona, ma tutto quel che fa lo fa per il mondo. Chi dunque difenderà ora li popolo mio, se chi dovrebbe porsene a capo, ha paura?
Il terzo è come l'asino, che china il capo a terra e sta a quattro zampe unite. Veramente come un asino è il mio popolo, che non vuole altro se non cose terrene, trascura quelle celesti e cerca quelle caduche. È come avesse quattro zampe, per la poca fede, la vuota speranza, nessun'opera buona e la volontà piena di peccato. E perciò la bocca della gola e della cupidigia è sempre spalancata.
Ecco, amici miei, com'è possibile così svuotare l'abisso insaziabile e riempire gli alveari vuoti? Allora rispose la Madre di Dio: Benedetto sei tu, Figlio mio, e giusto è il tuo lamento. Io e i tuoi amici non abbiamo nessuna giustificazione presso di te per il genere umano, se non una parola sola, con la quale salvarlo. E cioè: Pietà, o Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo. Questo io grido e questo gridano gli Amici tuoi.
Rispose il Figlio: Le tue parole sono dolci al mio orecchio, soavi sulla bocca, fiamma al cuore. Io ho un Chierico, un Milite, un Lavoratore. Il primo è piacevole come una sposa, che lo sposo degnissimo desidera con ardentissima carità; la sua voce è come quella di chi parla e chiama dentro una selva. Il secondo è pronto a dare la sua vita per me e non temerà i vituperi del mondo: costui io armerò con le armi dello Spirito Santo. Il terzo avrà una fede talmente forte da dire: Credo così fermamente, che quasi vedo le cose che credo e spero anche in tutto ciò che Dio ha promesso. E avrà volontà di fare il bene e progredire in esso ed evitare il male. Sulla bocca del primo di questi tre porrò tre cose da dire. La prima: dirà che chi crede traduca in opere la sua fede. La seconda, che chi spera fermamente sia costante in ogni bene. La terza, che chi ama perfettamente e caritatevolmente, fervidamente desideri quel che ama.
Il secondo di questi tre sarà, nel lavoro, forte come un leone, sollecito nel prevenire le insidie, fermo nella perseveranza.
Il terzo sarà sapiente come il serpente, che s'appoggia alla coda, e alzerà il capo al cielo. Questi faranno la mia volontà e dietro a loro andranno gli altri. E anche se ne nomino tre, con essi intendo dire molti. Poi diceva alla sposa: Sta ferma, non preoccuparti del mondo, né delle contumelie, perché io il tuo Dio e il tuo Signore ho sopportato ogni obbrobrio.
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Parole della gloriosa Vergine alla figlia circa il modo come fu deposto Cristo dalla croce e circa l'amarezza e dolcezza nella passione del Figlio. Come vengono indicati l'anima nella Vergine e, in due giovani, l'amore di Dio e del mondo e le condizioni che l'anima deve avere come la vergine.
 
Capitolo Ventunesimo
Diceva Maria: Cinque cose devi pensare, figlia mia. La prima, che tutte le membra del Figlio mio alla morte si irrigidirono e raffreddarono e che il sangue, durante la sua passione, coagulandosi s'attaccò a tutte le membra. La seconda, egli fu così acutamente e crudelmente ferito nel cuore, che il feritore non si fermò finché la lancia raggiunse la costola e il cuore fu trapassato. La terza, pensa a come fu deposto dalla croce: quei due che lo deponevano, usavano tre scale, una arrivava ai piedi, la seconda sotto le ascelle, la terza a metà del corpo. Il primo salì e lo teneva a metà corpo. Il secondo, salendo per l'altra scala, tolse prima un chiodo da un braccio, poi – appoggiata la scala – tolse il chiodo della mano dell'altro braccio. E questi chiodi erano penetrati ben fuori dello stipite. Scendendo allora quello, l'altro ne sopportava un poco il peso del corpo, come poteva. Il terzo salì sula scala che arrivava ai piedi e tolse i chiodi da essi. Deponendo il corpo a terra, uno di essi lo trattenne dalla parte della testa, l'altro dalla parte dei piedi; io poi, ch'ero la Madre, lo tenni nel mezzo.
E così noi tre lo portammo su una pietra, che io avevo ricoperto d'un lenzuolo pulito, in esso ravvolgemmo il corpo; ma non cucii il lenzuolo. Sapevo infatti che certamente non si sarebbe putrefatto nel sepolcro. Poi vennero Maria Maddalena e le altre sante Donne e molti santi Angeli, accorrendo come atomi di sole, a ossequiare il loro Creatore.
Non si può dire, allora, la mia tristezza. Ero come una partoriente, ch'è tutta tremante nelle membra, dopo il parto. Essa, sebbene a malapena possa respirare, pur tuttavia gioisce interiormente quanto può, perché sa che le è nato il figlio, venuto fuori di là dove non tornerà più. Così io, sebbene triste per la morte del Figlio mio, poiché ero consapevole che non sarebbe più morto, essendo vittorioso per sempre, godevo nell'anima mia e così s'univano in me gioia e tristezza. Posso ben dire che, sepolto il Figlio mio, quasi furono nel sepolcro due cuori in uno. Non si dice che dov'è il tuo tesoro, ivi è anche il tuo cuore? Così il mio pensiero e il mio cuore erano sempre nel sepolcro del Figlio mio.
Poi la Madre di Dio soggiunse: Ti dirò, a mo' d'esempio, di una certa vergine sposata ad un uomo e come davanti a lei si presentarono due giovani. Uno di essi interrogato dalla vergine, le disse: Io ti consiglio di non credere a colui che hai sposato; egli infatti è rigido nelle cose sue, poco generoso, avaro nei regali. Credi invece più a me, alle parole che ti rivolgo e ti mostrerò un altro, che non è duro, ma gentile in tutto, che ti dà subito quel che desideri, e generosamente, quel che ti piace e ti diletta.
Udito ciò, la sposa, riflettendo fra sé, rispose: Le parole tue son dolci a sentirsi. Tu sei persona gentile ed è bello sentirti. Tutto considerato, credo di seguire il tuo consiglio. E, mentre si toglieva l'anello dal dito e lo dava al giovane, vide sopra di lui uno scritto, composto di tre parole. La prima era questa: Giunta che sarai alla cima dell'albero, guardati dall'aggrapparti al ramo secco, altrimenti cadi. La seconda parola era: Non prendere consiglio dal nemico. La terza: Non mettere il tuo cuore nella bocca del leone. Vedendo ciò, la Vergine ritrasse la mano e trattenne l'anello, pensando così fra sé: Queste tre parole che vedo, mi avvertono che forse chi mi vuole in isposa, non sarà poi fedele. Mi sembra che le sue parole siano futili e che poi, pieno di odio, egli mi ucciderà. E pensando così, guardò di nuovo e vide un altro scritto, con ancora tre parole. La prima diceva: Dagli quel che ha dato a te. La seconda: Dagli sangue per sangue. La terza: Non togliere al proprietario quel che gli appartiene. Visto e udito ciò, pensò ancora la vergine fra sé: Le prime tre parole mi hanno detto come evitare la morte; queste altre tre come ottenere la vita. È giusto perciò ch'io segua le parole di vita. La vergine allora, usando del sapiente consiglio, chiamò a sé il servo di colui, che l'aveva chiesta per primo in isposa e, poiché si avvicinava l'altro che voleva ingannarla, lo scacciò via da sé.
Così è l'anima di chi si è sposata al suo Dio. I due giovani che a lei si presentano sono l'amicizia di Dio e l'amicizia del mondo. Gli amici del mondo le s'avvicinano sempre di più, parlando di ricchezze e degli onori di questo mondo; ed essa quasi stende loro la mano con l'anello del suo amore, e quasi in tutto acconsente. Ma le viene in aiuto la grazia del Figlio mio. Essa vede quella scrittura, e cioè ode le parole della sua misericordia, dalle quali capisce tre cose. Primo, che deve essere prudente, per non cadere poi rovinosamente, volendo salir troppo in alto e aggrappandosi a cose caduche. Secondo, deve capire che niente c'è nel mondo, se non dolori e ansietà. Terzo, ch'è cattiva la ricompensa del diavolo. Poi vede l'altra scrittura, cioè le parole di conforto. La prima, esorta a dare tutto a Dio, che tutto le ha dato; la seconda, a servirlo nel suo corpo, per il quale Egli versò il sangue; la terza, a non dare ad altri l'anima sua, da Dio creata e redenta. Udito e ben considerato ciò, s'accostano a lei i servi di Dio e le piacciono e s'allontanano i servi del mondo. Ed ora l'anima di quel tale è come la vergine, che s'alzò di nuovo al braccio del suo sposo e che deve avere tre cose.
Dapprima, belle vesti, per non essere derisa dai servi del Re, se nelle vesti si scorge qualcosa di indegno. Poi, dev'essere modesta, come lo sposo vuole e, se nelle sue azioni c'è alcunché di indecoroso, sarà lo sposo a liberarnela. Infine, dev'essere mondissima, affinché lo sposo non trovi in lei nessuna macchia che lo induca a non amarla e ad allontanarla. Deve avere coloro che la guidano alla camera dello sposo, affinché non si perda nei locali e nei piccoli ingressi. Chi poi deve guidarla, sia visto spesso e sia ascoltato e seguito. Chi poi segue uno che lo precede, deve avere tre cose. La prima, non sia pigro e restio nel seguirlo. La seconda, non si nasconda alla vista della guida. La terza, ne guardi e consideri bene le orme e lo segua con sollecitudine.
Affinché dunque l'anima di quel tale giunga alla camera dello sposo, è necessario sia condotto da una guida, che la conduca felicemente allo sposo, suo Dio.
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Insegnamenti della Vergine alla figlia sulla sapienza spirituale e temporale e su chi debba imitare e come la sapienza spirituale, dopo poca fatica, conduca l'uomo all'eterna felicità, mentre la sapienza temporale alla dannazione.
 
Capitolo Ventiduesimo
Diceva Maria: Scrivono che chi vuol essere sapiente, apprenderà la sapienza da chi è sapiente. Ti dirò con un esempio: uno, volendo imparare la sapienza, vide due maestri innanzi a sé e disse loro: Molto volentieri imparerei la sapienza, se sapessi dove mi porta, che utilità ha, a quale meta conduce. Rispose uno dei maestri: Se vuoi seguire la mia sapienza, essa ti condurrà a un altissimo monte; ma per via sentirai la durezza delle pietre sotto i piedi, e troverai difficoltà e precipizi durante la salita. Se imparerai questa sapienza, avrai tenebra al di fuori e luce di dentro. Se ti atterrai ad essa fermamente, avrai quel che vuoi. E come un cerchio ti circonderà e attrarrà a sé sempre di più e più dolcemente fino a che sarai pervaso di gioia da ogni parte.
Il secondo maestro disse: Se seguirai la mia sapienza, ti condurrà in una valle fiorita e amena, ricca d'ogni specie di frutta. Soffice è la via sotto i piedi, poco faticosa e in discesa. Se ti manterrai in questa sapienza, avrai quel che fuori risplende; ma a volerlo provare, svanirà da te e t'accorgerai che non dura, che tutto finisce e che, appena il libro sarà letto, tutto sarà finito, libro e lettura, e tu rimarrai vuoto.
Ciò udito, egli pensava: Odo due cose meravigliose. Se salgo verso il monte, si stancano i piedi e m'affatico la schiena. E se otterrò ciò che fuori è scuro, a che mi giova? E se lavorerò, senza sosta, quando verrà la consolazione? L'altro maestro mi promette pure quel ch'è splendido di fuori, ma per poco e una sapienza che finisce con la lettura. E che giovano a me queste cose, se non sono stabili?
E mentre pensava così, apparve un uomo in mezzo ai due maestri e disse: Anche se il monte è alto ed è difficoltosa l'ascesa, tuttavia la nuvola sul monte è luminosa e da quella avrai ristoro. Se poi ti si promettono tenebre al di fuori, esse si possono vincere e si può ottenere così l'oro che contengono e possederlo con gioia eterna. Questi due maestri sono la duplice sapienza: quella spirituale e quella carnale. Alla spirituale appartiene il lasciare in mano a Dio la propria volontà e con tutto il desiderio appassionatamente sospirare le cose celesti. Infatti non si può dire vera sapienza, se i fatti non concordano con le parole.
Questa è la sapienza che conduce alla vita felice. Ora questa sapienza si deve raggiungere su via pietrosa e dirupata, in salita. Infatti è duro e doloroso resistere ai propri affetti. Precipizi sono il disprezzare i soliti piaceri e non amare l'onore del mondo, sebbene ciò sia tanto difficile. Però chi riflette che il tempo è breve e il mondo finisce e confermerà l'anima in Dio, a lui sul monte apparirà la nube, cioè la consolazione dello Spirito Santo. Alla fine sarà degno d'essere consolato, colui che non cercò altro consolatore che Dio. Come infatti avrebbero potuto metter mano a cose così ardue e amare tutti gli eletti di Dio, se alla buona volontà dell'uomo, come docile strumento, fosse mancato l'aiuto dello Spirito Santo? Questo Spirito portò loro la buona volontà e li sostenne la divina carità, che avevano verso Dio, perché lavoravano con fermezza e sentimento e si rafforzavano con le opere. Avuta poi la consolazione dello Spirito, ottenevano anche l'oro del divino diletto e della carità; con cui non sopportavano solo molte contrarietà, ma soffrivano e gioivano pensando alla ricompensa.
Questa gioia sembra tenebrosa per quelli che amano il mondo, perché amano le tenebre. Per coloro che amano Dio invece è più splendente del sole, più fulgida dell'oro, perché vincono le tenebre dei vizi e salgono il monte della sapienza, contemplando la nube della consolazione, che non finisce, ma comincia nel presente e, come un cerchio, torna su di sé fino a raggiungere la perfezione.
La sapienza del mondo, invece, conduce alla valle di questa miseria, che sembra florida per l'abbondanza di tutto, amena per gli onori, molle per la voluttà. Questa sapienza finirà al più presto, e di utile apporta solo l'apparenza e il suono. Perciò, figlia mia, cerca la sapienza del sapiente, dal quale proviene ogni sapienza, e cioè del Figlio mio. Egli infatti è la Sapienza; egli è quel cerchio, che non finisce mai. Io grido a te, come una madre al figlio: Ama la sapienza interiore, che è spregevole a vedersi di fuori, ed invece dentro è fervente di carità; fuori è faticosa, dentro fruttuosa d'opere e se ti turba per la fatica, ti consolerà lo Spirito di Dio.
Accostati e sforzati, come un uomo che avanza finché si abitua (al passo), non retrocedere, fino a che non raggiunga la cima del monte. Niente è tanto difficile, che perseverare, e ciò non è facile a capirsi. Niente è tanto onorevole all'inizio che non si offuschi verso la fine. Accostati dunque alla sapienza spirituale. Essa ti condurrà agli strapazzi fisici, a disprezzare il mondo, a tribolare un poco; ma anche alla perpetua consolazione.
La sapienza del mondo, invece, fallace e insinuante, ti condurrà ad accumulare cose temporali, onori caduchi, ed infine alla suprema infelicità, se non è stata premurosamente prevista ed evitata.
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Parole della gloriosa Vergine, che spiega alla figlia l'umiltà sua e come l'umiltà sia designata come un mantello, e quali siano le condizioni e il frutto mirabile della vera umiltà.
 
Capitolo Ventitreesimo
Molti si meravigliano ch'io ti parli. Certamente è per mostrarti la mia umiltà. Come infatti il cuore non gode per un membro malato, se prima non guarisce, e gioisce poi per la guarigione, così io sono pronta ad accogliere subito chiunque sinceramente e con buona volontà di pentimento ricorra a me, qualunque sia il suo peccato. Né bado a quanto abbia peccato, ma con quale intenzione e volontà ritorni. Io sono chiamata da tutti Madre della Misericordia; davvero, figlia mia, mi fece misericordiosa la Misericordia del Figlio mio e con lui compaziente. Perciò misero è colui, che potendolo non ricorre alla misericordia. Tu perciò vieni, figlia mia, e nasconditi sotto il mio mantello, esteriormente di poco valore, ma interiormente utile per tre motivi.
Primo, ti preserva dall'aria tempestosa. Secondo, ti salva dal freddo che intirizzisce. E terzo, ti difende dalla pioggia. Questo mantello è la mia umiltà. Essa a quelli che amano il mondo sembra da disprezzarsi e da non seguirsi. Che c'è infatti di più spregevole che essere chiamata stupida e non adirarsi né reagire? Che c'è di più stupido che lasciar tutto e aver bisogno di tutto? Cosa è più penoso, per i mondani, che dissimulare le offese, fidarsi di tutti, ritenersi il più indegno e basso di tutti? Così, figlia mia, era la mia umiltà; questa era la mia gioia, questa tutta la mia volontà, non intesa a piacere che al Figlio mio.
Ebbene questa umiltà, in verità, mi giova per tre ragioni. Mi preserva dall'aria corrotta e tempestosa, cioè dal disprezzo e dagli insulti degli uomini. Come infatti l'aria tempestosa e mossa scuote l'uomo d'ogni parte e lo condiziona, così l'uomo che non ha pazienza e non considera le cose future, reagisce facilmente agli insulti e si raffredda nella carità.
Ma chiunque guarda attentamente alla mia umiltà, pensi a quel che ho sentito io, Signora di tutti, cerchi la mia e non la sua lode. Consideri che le parole non sono che vento e subito ne trarrà beneficio. Perché infatti i mondani sono così impazienti per le parole e per gli insulti, se non perché cercano la propria lode, non quella di Dio e non c'è umiltà in loro, perché il loro occhio è ottenebrato dai peccati? Pertanto anche se la giustizia scritta dica che non si devono udire le parole offensive senza motivo, è tuttavia virtuoso e utile aver tutto udito e poi sopportato pazientemente per il Signore. Di poi la mia umiltà mi salva dal freddo che brucia, cioè dall'amicizia carnale. C'è infatti un'amicizia per la quale si ama l'uomo nelle cose temporali. È l'amicizia di coloro che dicono così: Tu dai a me il cibo adesso e io ne do a te, perché non mi importa chi ti ciberà dopo morto. Tu mi dai onore, ora ed io ne do a te, anche se è poco, senza darsi pensiero di quale onore seguirà poi. Questa è un'amicizia fredda, senza il calore di Dio, rigida come la neve congelata quanto ad amore e compassione del prossimo bisognoso. E vuota di ricompensa. Sciolta infatti la compagnia e tolte le mense, è sciolta anche ogni utilità dell'amicizia, senza alcun frutto. Chi invece imita l'umiltà mia, fa del bene a tutti per amore di Dio, sia amici che nemici. Agli amici, perché perseverano stabilmente nell'onore di Dio; ai nemici, perché creature di Dio e, forse, buoni in seguito.
Infine l'imitazione della mia umiltà difende dalle piogge e dall'acqua sporca che viene dalle nuvole. Donde infatti vengono le nubi, se non dall'umore e dai vapori provenienti dalla terra, che salendo al cielo assieme al calore, s'addensano in alto e così nascono tre cose, cioè la grandine, la pioggia e la neve? Questa nube significa il corpo dell'uomo, che nasce dall'immondizia. Anche il corpo, come la nube, ha tre cose con sé: l'udito, la vista, il tatto. Poiché ha la vista, desidera quel che vede, le cose buone, un bel viso, vasti possedimenti. E che sono tutte queste cose, se non pioggia proveniente dalle nubi, che macchiano l'anima con la sete del guadagno, con l'ansia delle preoccupazioni, con l'agitazione dei vani pensieri, con la pena per la perdita delle cose già possedute? Poiché poi il corpo ha l'udito, volentieri ode le proprie lodi, l'amicizia mondana. Sente tutto quel che piace al corpo e nuoce all'anima. E tutto questo cos'altro è se non neve, che subito si scioglie? che raffredda l'anima, per Iddio, e l'indurisce all'umiltà? Poiché, infine il corpo ha il tatto, sente volentieri i piaceri esteriori e il riposo corporale; e questo cos'altro è se non come grandine, congelata da acque sporche, che rende l'anima sterile per le cose spirituali, tenace in quelle mondane e facile alle delizie sensibili?
Perciò chiunque vuol difendersi ricorra alla mia umiltà e la imiti. Con essa è difeso dalla cupidigia della vista, perché non desideri cose illecite. È difeso dai diletti dell'udito, perché non indulga alla menzogna. È difeso dai piaceri della carne, perché non soccomba ai cattivi movimenti.
Ti dico veramente che la mia umiltà è come un mantello che riscalda quelli che lo portano non solo teoricamente, ma realmente. Infatti, se non è portato, il mantello non riscalda. Né giova l'umiltà mia a chi la pensa, ma non si studia di imitarla come un modello. Perciò, figlia mia, sforzati di indossare quest'umiltà, perché le donne del mondo portano mantelli, che di fuori son belli, ma dentro sono di poca o nessuna utilità.
Deponi assolutamente questo tipo di vesti, perché fin quando non ti sarà spregevole l'amore del mondo, e non penserai continuamente alla misericordia di Dio verso di te, e alla tua ingratitudine verso di lui; fin quando non ricorderai sempre le cose fatte e che fai e qual sentenza e giudizio potrai meritare per esse, non potrai in nessun modo ricevere il mantello della mia umiltà. Perché mi sono tanto umiliata io e donde mai ho meritato tanta grazia, se non per il motivo che pensavo e sapevo di non essere e di non aver niente da me, ma solo dal Benefattore e Creatore? Perciò, figlia mia, accorri al mantello della mia umiltà e pensa che sei peccatrice più degli altri. Perché, anche se vedi che alcuni sono cattivi, non sai cosa saranno domani e con quale intenzione e conoscenza agiscano, se per debolezza o deliberatamente. Perciò tu non preferirti a nessuno e nessuno devi giudicare in cuor tuo.
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