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Ciascuno di noi è un messaggio che Dio manda al mondo (P. G. Vannucci OSM)

Una passo del Vangelo per te

UN PASSO DEL VANGELO PER TE

Santa Teresina di Lisieux: Storia di un'anima - Parte VII

STORIA DI UN’ANIMA: S. Teresina di Lisieux (S. Teresina del Bambin Gesù)

Dopo aver ammirato la potenza del Buon Dio, potei ancora ammirare quella che Egli ha dato alle sue creature. La prima città d'Italia che abbiamo visitato fu Milano. La sua cattedrale tutta in marmo bianco, con le sue statue tanto numerose da formare un popolo quasi innumerevole, fu visitata da noi nei dettagli più minuti.
Celina ed io eravamo intrepide, sempre le prime e immediatamente dietro Monsignore per vedere tutto quello che riguardava le reliquie dei Santi e sentire bene le spiegazioni; così mentre lui offriva il Santo Sacrificio sulla tomba di S. Carlo, noi eravamo con Papà dietro l’Altare, con la testa appoggiata sulla cassa che racchiude il corpo del santo, rivestito con i suoi abiti pontificali. Era così dappertutto... (Eccettuato quando si trattava di salire dove la dignità di un Vescovo non lo permetteva, perché allora noi sapevamo bene lasciare sua Eccellenza)... Lasciando le signore timide nascondersi la faccia nelle mani dopo che erano salite sulle prime guglie che sono in cima alla cattedrale, seguivamo i pellegrini più arditi ed arrivavamo fino alla cima dell’ultima guglia di marmo, da cui avevamo il piacere di vedere ai nostri piedi la città di Milano i cui numerosi abitanti somigliavano ad un piccolo formicaio...
Scese dal nostro piedistallo, cominciammo le nostre passeggiate in carrozza che dovevano durare un mese, e saziarmi per sempre dal mio desiderio di viaggiare senza fatica! il campo santo ci incantò ancora più della cattedrale, tutte le sue statue di marmo bianco che un cesellatore di genio pare aver animate, sono sistemate sul vasto campo dei morti con una specie di negligenza, ciò che per me ne aumenta la grazia... Si sarebbe tentati di consolare gli ideali personaggi che vi circondano. La loro espressione è così vera, il loro dolore così calmo, e così rassegnato che non ci si può impedire di riconoscere i pensieri d'immortalità che debbono riempire il cuore degli artisti che hanno realizzato questi capolavori. Qui c'è un bimbo che getta fiori sulla tomba dei genitori, il marmo pare aver perduto la sua pesantezza e i petali delicati paiono scivolare tra le dita del bimbo, il vento sembra già disperderli, sembra anche far fluttuare il velo leggero delle vedove e i nastri di cui sono ornati i capelli delle ragazze. Papà era incantato come noi; in Svizzera era stato stanco, ma allora, essendo ricomparso il suo buonumore, gioiva del bello spettacolo che contemplavamo; la sua anima d'artista si rivelava nelle espressioni di fede e di ammirazione che apparivano sul suo bel volto. Un vecchio signore (francese) che senza dubbio non aveva un'anima così poetica, ci guardava con la coda dell'occhio e diceva cose di cattivo umore, pur avendo l'aria di dispiacersi di non poter condividere la nostra ammirazione: “Ah! i Francesi come sono entusiasti!”. Io credo che questo povero signore avrebbe fatto meglio a starsene a casa, perché non mi è parso contento del suo viaggio, si trovava spesso accanto a noi e sempre i lamenti uscivano dalla sua bocca, era scontento delle carrozze, degli hotels, delle persone, delle città, alla fine di tutto... Papà con la sua grandezza d'animo abituale cercava di consolarlo, gli offriva il suo posto, ecc... alla fine lui si trovava sempre bene dovunque, essendo di un carattere direttamente contrario a quello del suo scortese vicino... Ah! quanti personaggi diversi abbiamo visto, che studio interessante è, quello del mondo quando si è sul punto di lasciarlo!...
A Venezia, la scena cambiò completamente; invece del frastuono delle grandi città non si sente altro, in mezzo al silenzio, che il grido dei gondolieri e il mormorio dell'onda agitata dai remi. Venezia non è priva di bellezze, ma io trovo triste questa città. Il palazzo dei dogi è splendido, tuttavia è anch'esso triste con i suoi vasti appartamenti dove si esibiscono l'oro, il legno, i marmi più preziosi e le pitture dei più grandi maestri. Da tanto tempo le sue volte sonore hanno cessato di sentire la voce dei governanti che pronunciano sentenze di vita e di morte nelle sale che abbiamo attraversato... Hanno cessato di soffrire, i disgraziati prigionieri chiusi dai dogi nelle segrete e nelle carceri sotterranee... Visitando queste spaventose prigioni mi credevo al tempo dei martiri e avrei voluto poterci restare per imitarli!... Ma fu necessario uscirne subito e passare sul ponte “dei sospiri”, così chiamato a causa dei sospiri di sollievo che mandavano i condannati vedendosi liberati dall'orrore dei sotterranei cui preferivano la morte...
Dopo Venezia, siamo andati a Padova, dove abbiamo venerato la lingua di S. Antonio, poi a Bologna, dove abbiamo visto Santa Caterina che conserva l'impronta del bacio di Gesù Bambino. Ci sono tanti particolari interessanti che potrei dare su ogni città e riguardo a mille circostanze minute del nostro viaggio, ma non finirei più, quindi scriverò solo i dettagli principali.
Fu con gioia che lasciai Bologna, questa città mi era diventata insopportabile a causa degli studenti di cui è piena e che formavano una siepe quando avevamo la disgrazia di uscire a piedi, e soprattutto a causa della piccola avventura che mi è capitata con uno di loro , io fui felice di prendere la via di Loreto. Non sono sorpresa del fatto che la Vergine abbia scelto questo posto per trasportarci la sua casa benedetta, la pace, la gioia, la povertà vi regnano sovrane; tutto è semplice e primitivo, le donne hanno conservato il loro grazioso costume italiano e non hanno, come quelle delle altre città, adottato la moda di Parigi; in una parola, Loreto mi ha incantata! Che dirò della santa casa?... Ah! la mia emozione è stata profonda trovandomi sotto lo stesso tetto della S.ta Famiglia, contemplando i muri su cui Gesù aveva posato i suoi occhi divini, calpestando la terra che S. Giuseppe aveva bagnato di sudore, dove Maria aveva portato Gesù tra le sue braccia, dopo averlo portato nel suo seno verginale... Ho visto la cameretta dove l'angelo discese dalla Sta Vergine... Ho deposto il mio rosario nella scodellina di Gesù Bambino... Quanto sono affascinanti questi ricordi!...
Ma la nostra più grande consolazione fu di ricevere Gesù stesso nella sua casa e di essere il suo tempio vivente nel luogo stesso che egli aveva onorato della sua presenza. Secondo un uso italiano, il S. ciborio si conserva in ogni chiesa su un altare solo, e soltanto là si può ricevere la Santa Comunione; questo altare era nella basilica stessa in cui si trova la Santa casa, custodita come un prezioso diamante dentro uno scrigno di marmo bianco. Ciò non fece la nostra felicità! Era nel diamante stesso, e non nello scrigno che volevamo fare la comunione... Papà con la sua dolcezza consueta fece come tutti, ma Celina ed io andammo a trovare un prete che ci accompagnava dovunque e che giustamente si preparava a celebrare la sua messa nella Santa-Casa, grazie ad un privilegio speciale. Egli chiese due piccole ostie che mise sulla sua patena con la sua grande ostia e tu capisci, Madre mia cara, quale fu il nostro incanto di fare tutte e due la Santa Comunione in questa casa benedetta!... Era una felicità tutta celeste che le parole sono impotenti a tradurre. Che sarà dunque quando noi riceveremo la comunione nell'eterna casa del Re dei Cieli?... Allora noi non vedremo più finire la nostra gioia, non ci sarà più la tristezza della partenza, e per portare via un ricordo non ci sarà necessario grattare furtivamente i muri santificati dalla presenza Divina, poiché la sua casa sarà la nostra per l'eternità... Egli non ci vuole dare quella della terra, si contenta di mostrarcela per farci amare la povertà e la vita nascosta; quella che ci riserva è il suo Palazzo di gloria ove noi non lo vedremo più nascosto sotto l’apparenza di un bambino o di una bianca ostia ma tale quale è Lui, nell'esplosione del suo splendore infinito!!!...
E ora mi resta di parlare di Roma, di Roma scopo del nostro viaggio, là ove credevo di incontrare la consolazione ma dove ho trovato la croce!... Al nostro arrivo, era notte e noi essendo addormentate, fummo svegliate dagli inservienti della stazione che gridavano:
“Roma, Roma”. Non era un sogno, ero a Roma!...
La prima giornata si passò fuori delle mura e fu forse la più deliziosa, perché tutti i monumenti hanno conservato il loro carattere di antichità mentre al centro di Roma ci si potrebbe credere a Parigi vedendo la magnificenza degli hotels e dei negozi. Quella passeggiata nelle campagne romane mi ha lasciato un dolcissimo ricordo. Non parlerò per niente dei luoghi che abbiamo visitati, ci sono libri a sufficienza che li descrivono in tutta la loro estensione, ma soltanto delle principali impressioni che ne ho riportato. Una delle più dolci fu quella che mi fece trasalire alla vista del Colosseo. La vedevo dunque, questa arena dove tanti martiri avevano versato il loro sangue per Gesù; già mi apprestavo a baciare la terra che essi avevano santificato, ma che delusione! il centro non è che un ammasso di ruderi che i pellegrini debbono accontentarsi di guardare perché una barriera ne vieta l'ingresso. Del resto nessuno è tentato di cercare di penetrare fino al centro di quei ruderi... Dovevo dunque essere venuta a Roma senza scendere nel Colosseo?... La cosa mi pareva impossibile, io non sentivo più le spiegazioni della guida, un solo pensiero mi occupava: scendere nell'arena... Vedendo un operaio che passava con una scala fui sul punto di chiedergliela, fortunatamente non misi in pratica la mia idea, altrimenti mi avrebbe preso per una pazza... Nel Vangelo si dice che Maddalena rimanendo sempre accanto al sepolcro, e abbassandosi a più riprese per guardare dentro fini per vedere due angeli. Come lei, pur avendo riconosciuto l'impossibilità di vedere realizzati i miei desideri, io continuavo ad abbassarmi verso i ruderi dove volevo scendere; alla fine, non ho visto gli angeli, ma quello che cercavo, lanciai un grido di gioia e dissi a Celina: “Vieni presto, possiamo passare!...”. Subito scavalcammo la transenna che in quel punto era proprio vicina ai ruderi ed eccoci a scalare le rovine che smottavano sotto i nostri passi.
Papà ci guardava tutto sbalordito dalla nostra audacia, subito ci disse di tornare indietro, ma le due fuggitive non sentivano più nulla; come i guerrieri sentono il loro coraggio crescere in mezzo al pericolo, così la nostra gioia cresceva in proporzione alla fatica che facevamo per raggiungere l’oggetto dei nostri desideri. Celina, più preveggente di me, aveva sentito la guida e ricordandosi che quella aveva indicato un piccolo selciato segnato da una croce come quello dove combattevano i martiri, si mise a cercarlo; avendolo trovato, presto, ed essendoci inginocchiate su questa terra sacra, le nostre anime si unirono in una stessa preghiera... il mio cuore batteva fortissimo quando le mie labbra si accostarono alla polvere imporporata dal sangue dei primi cristiani, io chiesi la grazia di essere anche io martire per Gesù e sentii in fondo al cuore che la mia preghiera era esaudita!... Tutto questo si realizzò in pochissimo tempo; dopo aver preso qualche sasso, ritornammo ver­so le mura in rovina per ricominciare la nostra pericolosa impresa. Papà vedendoci così felici non ce la fece a sgridarci e io vidi che egli era proprio fiero del nostro coraggio... il Buon Dio ci protesse visibilmente, perché i pellegrini non si accorsero della nostra assenza perché erano andati avanti, occupati come erano senza dubbio a guardare le magnifiche arcate, dove la guida faceva notare “i piccoli CORNISCIONI e le CUPIDI appoggiate sopra”, e così nè lui, nè “i signori abati” conobbero la gioia che riempiva i nostri cuori...
Anche le catacombe mi hanno lasciato una dolcissima impressione: sono proprio come me le immaginavo leggendo la loro descrizione nella vita dei martiri. Dopo averci passato una parte del pomeriggio, mi pareva di esserci solo da qualche istante, tanto l'atmosfera che ci si respira mi pareva profumata... Bisognava proprio portare con noi qualche ricordo delle catacombe, e così avendo lasciato che la processione si allontanasse un po', Celina e Teresa si ficcarono insieme fino in fondo all'antico sepolcro di Sta Cecilia e presero della terra santificata dalla sua presenza. Prima del mio viaggio a Roma non avevo alcuna devozione particolare per questa santa, ma visitando la sua casa diventata chiesa, il luogo del suo martirio, e venendo a sapere che lei era stata dichiarata regina dell'armonia, non per la sua bella voce o per il suo talento musicale, ma in ricordo del canto verginale che fece ascoltare al suo Sposo Celeste nascosto in fondo al suo cuore, io sentii per lei più che devozione: una vera tenerezza di amica... Lei divenne la mia santa prediletta, la mia confidente intima... Tutto in lei mi rapisce, soprattutto il suo abbandono, la sua confidenza illimitata che l'hanno resa capace di verginizzare anime che non avevano mai desiderato altre gioie che quelle della vita presente...
S.ta Cecilia somiglia alla sposa dei cantici, in lei io vedo “Un coro in un campo di eserciti!...”. La sua vita non è stata altro che un canto melodioso proprio in mezzo alle più grandi prove e la cosa non mi meraviglia, poiché “il Vangelo santo riposava sul suo cuore! ” e nel suo cuore riposava lo Sposo delle Vergini!...
Anche la visita alla chiesa di Sta Agnese fu per me. dolcissima, era un 'amica di infanzia che in lei andavo a trovare, le parlai a lungo di quella che porta così bene il suo nome e feci tutti i miei sforzi per ottenere una delle reliquie della patrona Angelica della mia Madre cara per potergliela portare, ma ci fu impossibile averne altre che una piccola pietra rossa che si staccò da un ricco mosaico la cui origine risale al tempo di Sta Agnese e che lei ha dovuto guardare spesso. Non era incantevole che l’amabile Santa ci desse lei stessa quello che cercavamo e che ci era impedito prendere?... Ho visto sempre quel fatto come una delicatezza ed una prova dell'amore con cui la dolce Sta Agnese custodisce e protegge la mia Madre cara!...
Sei giorni passarono a visitare le principali meraviglie di Roma e fu al settimo che vidi la più grande di tutte: “Leone XIII”... Quel giorno, io lo desideravo e lo temevo allo stesso tempo, era da esso che dipendeva la mia vocazione, perché la risposta che dovevo ricevere da Monsignore non era arrivata e io avevo saputo da una lettera tua, Madre mia, che non era più ben disposto verso di me, e così la mia unica tavola di salvezza era il permesso del S. Padre... ma per ottenerlo, bisognava chiederlo, bisognava osare parlare davanti a tutti: “al Papa”, questo pensiero mi faceva tremare; quello che ho sofferto prima dell'udienza, il Buon Dio solo lo sa, con la mia cara Celina. Mai dimenticherò la partecipazione sua a tutte le mie prove, pareva che la mia vocazione fosse la sua. (Il nostro amore reciproco era notato dai preti del pellegrinaggio: una sera, essendo in compagnia così numerosa che mancavano le sedie, Celina mi prese sulle sue ginocchia e noi ci guardavamo così amabilmente che un prete esclamò: “Ma come si vogliono bene! Ah! mai queste due sorelle si potranno separare!”. Sì, noi ci volevamo bene, ma il nostro affetto era così puro e così forte che il pensiero della separazione non ci turbava, perché sentivamo che nulla, neppure l'oceano, avrebbe potuto allontanarci l'una dall'altra... Celina guardava con calma la mia piccola navicella prendere terra sulla riva del Carmelo, lei si rassegnava a restare per tutto il tempo che il Buon Dio avrebbe voluto sul mare tempestoso del mondo, sicura di prendere terra a sua volta sulla riva, oggetto dei nostri desideri...).
La Domenica 20 novembre dopo esserci vestite secondo il cerimoniale del Vaticano (e cioè in nero, con un velo di merletto sulla testa) ed esserci decorate con una grande medaglia di Leone XIII, attaccata ad un nastro blu e bianco, abbiamo fatto il nostro ingresso in Vaticano nella cappella del Sovrano Pontefice. Alle 8 la nostra emozione fu profonda vedendolo entrare per celebrare la Sta Messa... Dopo aver benedetto i numerosi pellegrini riuniti attorno a lui, salì i gradini del S. Altare e ci mostrò, con la sua pietà degna del Vicario di Gesù, che era veramente “il Santo Padre”. il mio cuore batteva fortissimo e le mie preghiere erano ardentissime mentre Gesù scendeva tra le mani del suo Pontefice; tuttavia ero piena di fiducia, il Vangelo di quel giorno racchiudeva queste bellissime parole: “Non aver paura, piccolo gregge, perché è piaciuto al Padre mio di darti il suo regno” No io non avevo paura, io speravo che il regno del Carmelo sarebbe stato mio presto, non pensavo allora a quelle altre parole di Gesù: “Io vi preparo il mio regno come il Padre mio l'ha preparato a me” Cioè io vi riservo croci e prove, è così che voi sarete degni di possedere questo regno dietro cui sospirate; poiché è stato necessario che il Cristo soffrisse e che egli entrasse così nella sua gloria, se voi desiderate aver posto al suo fianco, bevete il calice che Lui stesso ha bevuto! '.. Quel calice, mi fu presentato dal Santo Padre, e le mie lacrime si mescolarono all'amara bevanda che mi era offerta. Dopo la messa di ringraziamento che segui quella di Sua Santità, cominciò l'udienza. Leone XIII era seduto su una grande poltrona, era vestito semplicemente con una veste bianca, una mantellina dello stesso colore e sulla testa non aveva che uno zucchetto. Attorno a lui stavano cardinali, arcivescovi e vescovi ma io non li ho visti che in complesso, essendo presa dal Santo Padre; noi passavamo davanti a lui in processione, ogni pellegrino s'inginocchiava a turno, baciava il piede e la mano di Leone XIII, riceveva la sua benedizione e due guardie nobili lo toccavano secondo l'uso, indicando così a lui che si doveva alzare (al pellegrino, perché mi spiego così male che si potrebbe credere che era al Papa). Prima di entrare nell'appartamento pontificio ero ben decisa a parlare, ma sentivo il mio coraggio affievolirsi vedendo alla destra del S. Padre “Mr Révérony!...”. Quasi nello stesso momento ci venne detto da parte sua che egli proibiva di parlare a Leone XIII, perché l’udienza si prolungava troppo... Io mi girai verso la mia cara Celina, per sapere il suo parere: “Parla! mi disse.” Un istante dopo ero ai piedi del Santo Padre; baciata la sua pantofola, lui mi presentò la mano, ma invece di baciarla io congiunsi le mie e alzando verso il suo viso i miei occhi bagnati di lacrime, esclamai: “Santissimo Padre, ho una grande grazia da chiederle!...”
Allora il Sovrano Pontefice abbassò la testa verso di me, in modo che il mio viso toccava quasi il suo, e io vidi i suoi occhi neri e profondi fissati su di me e sembrare penetrarmi fino al fondo dell'anima, - “Santissimo Padre, gli dissi, in onore del vostro giubileo, permettetemi di entrare al Carmelo a 15 anni!”
L'emozione aveva senza dubbio fatto tremare la mia voce, e così girandosi verso Mr Révérony che mi guardava con sorpresa e scontento, il S. Padre disse: “Non capisco molto bene”. - Se il Buon Dio l'avesse permesso sarebbe stato facile che Mr Révérony mi ottenesse ciò che desideravo, ma era la croce e non la consolazione che Lui voleva darmi. - “Santissimo Padre, rispose il Grande Vicario, è una bambina che desidera entrare al Carmelo a 15 anni, ma i superiori esaminano la doman­da in questo momento”. - “Ebbene, figlia mia, riprese il S. Padre guardandomi con bontà, fate quello che i superiori vi diranno”. Appoggiando allora le mie mani sulle sue ginocchia, io tentai un ultimo sforzo e dissi con voce implorante: “Oh! Santissimo Padre, se voi diceste sì, tutti lo vorrebbero!...”. Egli mi guardò fisso e pronunciò queste parole sottolineando con il tono ogni sillaba: “Via... Via... Voi entrerete se il Buon Dio lo vuole!...” (il Suo accento aveva qualcosa di così penetrante e di così convinto che mi pare ancora di sentirlo). La bontà del S. Padre incoraggiandomi, io volevo ancora parlare, ma le due guardie nobili mi toccarono educatamente per farmi alzare; vedendo che la cosa non bastava, mi presero per le braccia e Mr Révérony li aiutò a sollevarmi di peso, perché io rimanevo ancora con le mani giunte, appoggiate sulle ginocchia di Leone XIII e fu a forza che quelli mi portarono via dai suoi piedi... Al momento in cui ero così portata via, il S. Padre posò la sua mano sulle mie labbra, poi la alzò per benedirmi allora i miei occhi si riempirono di lacrime e Mr Révérony poté contemplare almeno tanti diamanti quanti ne aveva visti a Bayeux... Le due guardie nobili mi portarono per così dire fino alla porta e là una terza mi dette una medaglia di Leone XIII. Celina che veniva dietro, era stata testimone della scena appena passata; quasi commossa quanto me, ebbe tuttavia il coraggio di chiedere una benedizione per il Carmelo. Mr Révérony con voce scontenta rispose: “È già benedetto il Carmelo”. il buon S. Padre rispose con dolcezza: “Oh sì! è già benedetto”. Prima di noi Papà era arrivato ai piedi di Leone XIII (con i signori). Mr Révérony era stato splendido con lui, presentandolo come il Padre di due Carmelitane. Il Sovrano Pontefice, in segno di particolare benevolenza, posò la sua mano sul capo venerabile del mio amato Re, sembrando così segnarlo come un sigillo misterioso, in nome di Colui di cui è il vero rappresentante... Ah! Ora che è in Cielo, questo Padre di quattro Carmelitane, non è più la mano del Pontefice che riposa sulla sua fronte, profetizzandogli il martirio... È la mano dello Sposo delle Vergini, del Re della Gloria, che fa risplendere il capo del suo Fedele Servitore, e mai più questa mano adorata cesserà di riposarsi sulla fronte che ha glorificato!...

Il mio caro Papà ebbe molta pena nel trovarmi tutta in lacrime all'uscita dall'udienza, fece tutto quello che poté per consolarmi, ma invano... In fondo al cuore sentivo una grande pace, poiché avevo fatto proprio tutto quello che era in mio potere per rispondere a ciò che il Buon Dio chiedeva da me, ma quella pace era in fondo, e l’amarezza riempiva l'anima mia, perché Gesù taceva. Egli sembrava assente, nulla mi rivelava la sua presenza... Quel giorno anche il sole non osò brillare e il bel cielo blu d'Italia, carico di nuvole cupe, non cessò di piangere con me... Ah! era finita, il mio viaggio non aveva più alcuna attrattiva ai miei occhi dal momento in cui lo scopo ne era fallito. Tuttavia le ultime parole del Santo Padre avrebbero dovuto consolarmi: non erano forse esse in realtà una vera profezia? Malgrado tutti gli ostacoli, ciò che il Buon Dio ha voluto si è compiuto. Egli non ha permesso alle creature di fare quello che loro volevano, ma la sua propria volontà...
Da qualche tempo io mi ero offerta a Gesù Bambino per essere il suo giocattolino, Gli avevo detto di non servirsi di me come di un giocattolo prezioso che i bambini si accontentano di guardare senza osare toccano, ma come una pallina di nessun valore che lui poteva gettare a terra, spingere con calci, bucare, lasciare in un angolo oppure stringere al cuore se questo gli faceva piacere; in una parola, volevo divertire il piccolo Gesù, fargli piacere, volevo offrirmi ai suoi capricci infantili... Egli aveva esaudito la mia preghiera...

A Roma Gesù bucò il suo giocattolino, Egli voleva vedere quello che c'era dentro e poi avendolo visto, contento della sua scoperta, Egli lasciò cadere la sua pallina e si addormentò... Che ha fatto durante il suo dolce sonno e che ne è stato della pallina abbandonata?... Gesù sognò che si divertiva ancora con il suo giocattolo, lasciandolo e prendendolo di volta in volta, e poi che dopo averlo fatto rotolare molto lontano Lui lo stringeva sul suo cuore, non permettendo più che si allontani mai dalla sua piccola mano...
Tu capisci, Madre mia cara, quanto la pallina era tri­ste di vedersi per terra... Tuttavia non cessavo di sperare contro ogni speranza. Qualche giorno dopo l'udienza del S. Padre, Papà essendo andato a vedere il buon fratel Simeone trovò da lui il Sig. Révérony che fu molto amabile. Papà gli rimproverò scherzosamente di non avermi aiutata nella mia difficile impresa, poi raccontò la storia della sua Regina a fratel Simeone. il venerabile vecchio ascoltò il suo racconto con tanto interesse, ne prese persino appunti e disse con emozione: “Non si vedono queste cose, in Italia!”. Io credo che questo incontro fece una buonissima impressione al Sig. Révérony; in seguito non smise di provarmi che alla fine era convinto della mia vocazione.
All'indomani della memorabile giornata, ci toccò par­tire al mattino per Napoli e Pompei. In onore nostro il Vesuvio brontolò tutta la giornata, buttando fuori con i suoi colpi di cannone una fitta colonna di fumo. Le tracce che ha lasciato sulle rovine di Pompei sono spaventose, mostrano la potenza di Dio: “Che guarda la terra e la fa tremare, che tocca le montagne e le riduce in fumo...”.
Mi sarebbe piaciuto passeggiare sola in mezzo alle rovine, sognare sulla fragilità delle cose umane, ma il numero dei viaggiatori si portò via una gran parte dell'incanto malinconico della città distrutta... A Napoli fu tutto il contrario, il gran numero di carrozze a due cavalli rese magnifica la nostra passeggiata al monastero di San Martino posto su un'alta collina che domina tutta la città, disgraziatamente i cavalli che ci portavano mordevano il freno ogni momento e io ho creduto più di una volta di essere arrivata alla mia ultima ora. Il cocchiere ripeteva sempre la parola magica dei conducenti italiani: “Appippo, appippo...” i poveri cavalli volevano rovesciare la carrozza, alla fine grazie all'aiuto dei nostri angeli custodi arrivammo al nostro magnifico hotel. Durante tutto il nostro viaggio, siamo stati alloggiati in hotel principeschi, mai ero stata circondata di un tale lusso, è proprio il caso di dire che la ricchezza non fa la felicità, perché sarei stata più felice sotto un tetto di paglia con la speranza del Carmelo, che vicino a stucchi dorati, scaloni di marmo bianco, tappeti di seta con l'amarezza nel cuore... Ah! l’ho sentito davvero, la gioia non si trova negli oggetti che ci circondano, si trova nel più intimo dell'anima, si può possederla allo stesso modo in una prigione o in un palazzo, la prova è che io sono più felice al Carmelo, anche in mezzo alle prove interne ed esterne che nel mondo, circondata dalle comodità della vita e soprattutto dalle dolcezze del focolare paterno!...
Avevo l'anima immersa nella tristezza, tuttavia all’esterno, ero la stessa, perché credevo un segreto la domanda che avevo fatto al S. Padre; presto potei convincermi del contrario, essendo rimasta sola nel vagone con Celina (gli altri pellegrini erano scesi al buffet durante i pochi minuti di sosta) vidi il Sig. Legoux, vicario generale di Coutances, aprire la porta e guardandomi sorridente, mi disse: “E allora, come va la nostra piccola carmelitana?...”. Compresi allora che tutto il pellegrinaggio conosceva il mio segreto; fortunatamente nessuno me ne parlò, ma vidi dal modo simpatico con cui mi guardavano che la mia domanda non aveva fatto un effetto cattivo, al contrario... Nella cittadina di Assisi, ebbi l'occasione di salire sulla carrozza di Mons. Révérony, favore che durante tutto il viaggio non fu accordato a nessuna donna. Ecco come ottenni questo privilegio. Dopo aver visitato i luoghi profumati dalle virtù di S. Francesco e S. Chiara, avevamo concluso la visita con il monastero di S. Agnese, sorella di S. Chiara; avevo contemplato come volevo il capo della Santa, quando uscendo quasi per ultima mi resi conto di aver perso la cintura; la cercai in mezzo alla folla, un prete ebbe pietà di me e mi aiutò, ma dopo avermela trovata lo vidi allontanarsi e restai sola a cercare, perché avevo la cintura, sì, ma era impossibile indossarla, mancava la fibbia... Finalmente la vidi luccicare in un angolo, prenderla e sistemarla sul nastro non fu lungo, ma il lavoro di prima lo era stato di più, e così il mio sbalordimento fu grande nel trovarmi da sola vicino alla chiesa, tutte le numerose carrozze erano sparite, salvo quella di Mons. Révérony Che fare? Occorreva rincorrere le carrozze che non vedevo più, rischiare di non prendere il treno e gettare il mio caro Papà nell'inquietudine, oppure chiedere un posto nel calesse di Mons.Révérony?... Mi decisi per quest'ultima scelta. Con la mia aria più graziosa e meno imbarazzata possibile malgrado il mio estremo imbarazzo, gli spiegai la mia situazione critica e misi lui stesso nell'imbarazzo, perché la sua carrozza era piena dei più distinti signori del pellegrinaggio, non c'era proprio un posto in più, ma un signore molto galante si affrettò a scendere, mi fece salire al suo posto e si piazzò con modestia accanto al cocchiere. Io somigliavo ad uno scoiattolo preso in trappola ed ero ben lungi dall'essere a mio agio, circondata da tutti questi grandi personaggi e soprattutto dal più temibile di fronte a cui ero sistemata... Egli tuttavia fu con me amabilissimo, interrompendo ogni tanto la sua conversazione con i signori per parlarmi del Carmelo. Prima di arrivare alla stazione tutti i grandi signori tirarono fuori i loro grandi portamonete per dare soldi al cocchiere (già pagato), io feci come loro e presi il mio piccolissimo portamonete, ma Mons. Révérony non consentì che ne facessi uscire le belle monetine, preferì darne una grande per noi due.
Un'altra volta mi trovai accanto a lui in autobus, fu ancora più amabile e mi promise di fare tutto ciò che avrebbe potuto perché io entrassi al Carmelo... Pur mettendo un po' di balsamo sulle mie piaghe, questi piccoli incontri non impedirono al ritorno di essere molto meno gradevole dell'andata, perché non avevo più la speranza “del S. Padre”; non trovavo alcun aiuto sulla terra che mi appariva un deserto arido e senz'acqua; tutta la mia speranza era nel Buon Dio solo... avevo fatto l'esperienza che è meglio ricorrere a Lui che ai suoi santi...
La tristezza dell'anima mia non m'impedì di interessarmi molto ai luoghi santi che visitavamo. A Firenze fui felice di contemplare S. Maddalena de' Pazzi in mezzo al coro delle carmelitane che ci aprirono la grande grata; siccome non sapevamo rallegrarci di questo privilegio e molte persone desideravano far toccare i loro rosari alla tomba della santa, non ci fui che io che io che potevo passare la mano nella grata che ce ne separava, e così tutti mi portavano i rosari ed io ero veramente orgogliosa del mio incarico... Bisognava sempre che io trovassi il mezzo di toccare tutto, così nella Chiesa di S. Croce in Gerusalemme (di Roma) potemmo venerare parecchi pezzi della vera Croce, due spine ed uno dei chiodi sacri chiuso in un magnifico reliquiario d'oro lavorato, ma senza vetro, e così trovai modo, venerando la preziosa reliquia, di infilare il mio ditino in uno dei vuoti del reliquiario e potei toccare il chiodo che fu bagnato dal sangue di Gesù... Ero davvero troppo audace!... Fortunatamente, il buon Dio che vede in fondo ai cuori sa che la mia intenzione era pura e che per nulla al mondo avrei voluto dispiacergli, agivo con Lui come un bambino che si crede tutto permesso e guarda i tesori di suo Padre come suoi. - Non posso ancora capire perché le donne sono così facilmente scomunicate in Italia, ad ogni momento ci dicevano: “Non entrate qua... Non entrate là, sareste scomunicate!...”. Ah! povere le donne, come sono disprezzate!... Tuttavia amano il Buon Dio in numero molto più grande degli uomini, e durante la Passione di Nostro Signore, le donne ebbero più coraggio degli apostoli, perché affrontarono gli insulti dei soldati ed osarono asciugare il Volto adorabile di Gesù... È senza dubbio per questo che Egli permette che il disprezzo sia la loro parte sulla terra, perché Lui lo ha scelto per Se stesso... In Cielo, Egli saprà mostrare bene che i suoi pensieri non sono quelli degli uomini, perché allora le ultime saranno le prime. Più d'una volta durante il viaggio, non ho avuto la pazienza di aspettare il Cielo per essere la prima... Un giorno che visitavamo un monastero di Carmelitani, non accontentandomi di seguire i pellegrini nelle gallerie esterne, andai avanti sotto i chiostri interni... di colpo vidi un buon vecchio carmelitano che da lontano mi faceva segno di allontanarmi, ma invece di andarmene, io mi avvicinai a lui e mostrando le cartoline del chiostro, gli feci se­gno che erano belle. Capì senza dubbio dai miei capelli sulla schiena e dalla mia aria giovane che ero una bambina, mi sorrise con bontà e si allontanò vedendo che non aveva una nemica davanti a lui: se avessi potuto parlargli in italiano, gli avrei detto di essere una futura carmelitana, ma per colpa dei costruttori della torre di Babele, la cosa mi fu impossibile.
Dopo aver visitato anche Pisa e Genova, ritornammo in Francia. Sul percorso il paesaggio era magnifico, ora costeggiavamo il mare e la ferrovia era così vicina che mi pareva che le onde sarebbero arrivate fino a noi (questo spettacolo fu dovuto ad una tempesta, era sera, e la cosa rendeva la scena ancora più grandiosa), ora pianure coperte di aranceti con i flutti maturi, verdi olivi dal fogliame leggero, palmeti graziosi... al calar del giorno, noi vedevamo i numerosi porticcioli sul mare illuminarsi con una miriade di luci, mentre in Cielo scintillavano le prime stelle... Ah! che poesia riempiva l'anima mia alla vista di tutte quelle cose che vedevo per la prima e l'ultima volta della mia vita!... Era senza dispiacere che le vedevo svanire, il mio cuore aspirava ad altre meraviglie, aveva contemplato abbastanza le bellezze della terra, quelle del Cielo erano l'oggetto dei suoi desideri e per darle alle anime, io volevo diventare prigioniera!... Prima di veder aprirsi davanti a me le porte della prigione benedetta che sospiravo, mi toccò ancora lottare e soffrire; lo sentivo tornando in Francia, tuttavia la mia fiducia era così grande che non cessai di sperare che mi sarebbe stato concesso di entrare il 25 Dicembre... Appena arrivati a Lisieux, la nostra prima visita fu per il Carmelo. Che incontro fu quello!... Noi avevamo tante cose da dirci, dopo un mese di separazione, mese che mi è parso più lungo e durante il quale ho imparato di più che durante parecchi anni...
O Madre mia cara! quanto mi è stato dolce rivederti, aprirti la mia povera piccola anima ferita. A te che sapevi capirmi così bene, e cui bastava una parola, uno sguardo per indovinare tutto! Io mi abbandonai completamente, avevo fatto tutto quello che dipendeva da me, tutto, fino a parlare al S. Padre, e così non sapevo quello che ancora dovevo fare. Tu mi dicesti di scrivere a Monsignore e di ricordargli la sua promessa; io lo feci subito, nel modo migliore che mi fu possibile, ma con termini che lo Zio trovò un po' troppo semplici. Riscrisse la mia lettera; al momento in cui stavo per spedirla, ne ricevetti una da te, che mi diceva di non scrivere, di aspettare qualche giorno; ho obbedito subito, perché ero sicura che era il mezzo migliore di non sbagliarmi. Finalmente 10 giorni prima di Natale, la mia lettera parti! Convintissima che la risposta non si sarebbe fatta attendere, andavo tutte le mattine alla posta con Papà, credendo di trovare li il permesso di volare via, ma ogni mattina portava una nuova delusione che tuttavia, non scuoteva la mia fede... Io chiesi a Gesù di rompere i miei legami, Egli li ruppe, ma in un modo del tutto diverso da quello che mi aspettavo... La bella festa di Natale arrivò e Gesù non si svegliò... Lasciò per terra la sua pallina, senza neppure far cadere un regalo su di lei...
Il mio cuore era ferito mentre andavo alla messa di mezzanotte, contavo davvero di assistervi dietro le grate del Carmelo!... Questa prova fu grandissima per la mia fede, ma Colui il cui cuore veglia durante il suo sonno, mi fece capire che a coloro la cui fede eguaglia un granello di senape, egli concede dei miracoli e fa cambiare di posto le montagne, per rafforzare quella fede così piccola; ma per i suoi intimi, per sua Madre, non fa miracoli prima di aver provato la loro fede. Non lasciò forse egli morire Lazzaro, benché Marta e Maria gli avessero fatto dire che era ammalato?... Alle nozze di Cana, la S. Vergine avendo chiesto a Gesù di soccorrere il Padrone di casa, non Le rispose forse che la sua ora non era ancora venuta?... Ma dopo la prova, che ricompensa! L'acqua si cambia in vino... Lazzaro resuscita!... Così Gesù agi verso la sua piccola Teresa: dopo averla a lungo provata, Egli compì tutti i desideri del suo cuore...
Al pomeriggio della festa radiosa passata per me in mezzo alle lacrime, andai a trovare le carmelitane; la mia sorpresa fu grandissima nel vedere quando ci aprirono la grata uno stupendo Gesù bambino, che teneva in mano una palla sulla quale era scritto il mio nome. Le carmelitane, al posto di Gesù, troppo piccolo per par­lare, mi cantarono un canto composto dalla mia cara Madre; ogni parola spandeva nell'anima mia una dolcissima consolazione, mai dimenticherò questa delicatezza del cuore materno che mi colmò sempre delle tenerezze più squisite... Dopo aver ringraziato spargendo dolci lacrime, raccontai la sorpresa che la mia cara Celina mi aveva fatta tornando dalla messa di mezzanotte. Avevo trovato nella mia camera, proprio in mezzo ad una graziosa bacinella, una piccola barca che portava il piccolo Gesù addormentato con una pallina accanto a Lui, sulla vela bianca Celina aveva scritto queste parole: “Io dormo ma il mio cuore veglia” e sul vassoio questa sola parola: “Abbandono!”. Ah! se Gesù non parlava ancora alla sua piccola fidanzata, se i suoi occhi divini restavano sempre chiusi, almeno, Egli si rivelava ad essa attraverso anime che capivano tutte le delicatezze e l'amore del suo cuore...
Il primo giorno dell'anno 1888 Gesù mi fece ancora dono della sua croce ma questa volta fui sola a portarla, perché essa fu tanto più dolorosa quanto era incompresa... Una lettera di Madre Maria di Gonzaga mi annunciò che la risposta di Monsignore era arrivata il 28, festa dei Ss. Innocenti, ma che lei non me l'aveva fatto sapere, avendo deciso che il mio ingresso non avrebbe avuto luogo che dopo la quaresima. Io non potei trattenere le lacrime al pensiero di un rinvio così lungo. Questa prova ebbe per me un carattere tutto particolare, vedevo i miei legami spezzati dalla parte del mondo e questa volta era l'arca santa che rifiutava il suo ingresso alla povera piccola colomba... Io voglio davvèro credere che dovetti apparire irragionevole non accettando con gioia i miei tre mesi di esilio, ma credo anche che, senza sembrarlo, questa prova fu grandissima e mi fece crescere molto nell'abbandono e nelle altre virtù.
Come passarono questi tre mesi così ricchi di grazie per la mia anima?... In un primo momento mi venne in mente di non starmi a dar pensiero di condurre una vita così ben regolata qual era quella cui ero abituata, ma subito compresi il valore del tempo che mi veniva offerto e risolsi di dedicarmi più che mai ad una vita seria e mortificata. Quando dico mortificata, non è per fare credere che facevo penitenze, ahimè! io non ne ho mai fatta nessuna, ben lungi dal somigliare alle anime belle che dalla loro infanzia praticavano ogni specie di mortificazioni, io non sentivo per esse alcuna attrattiva; senza dubbio la cosa veniva dalla mia tiepidezza, perché avrei potuto, come Celina, trovare mille piccole invenzioni per farmi soffrire, e invece io mi sono sempre lasciata coccolare nella bambagia e imbeccare come un uccellino che non ha bisogno di far penitenza... Le mie mortificazioni consistevano nello spezzare la mia volontà, sempre pronta ad imporsi, nel trattenere una parola di risposta, nel rendere piccoli servizi senza farlo notare, nel non appoggiare la schiena quando ero seduta, ecc., ecc... Fu con la pratica di questi nulla che io mi preparai a diventare la fidanzata di Gesù, e non posso dire quanto questa attesa mi ha lasciato di dolci ricordi...
Tre mesi passano prestissimo, finalmente il momento così ardentemente desiderato arrivò.
(Continua...)