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Una passo del Vangelo per te

UN PASSO DEL VANGELO PER TE

Contro le adozioni delle coppie omosessuali

Nel gennaio del 2008, per la prima volta in Europa, la Corte europea dei diritti dell’uomo accolse un ricorso da parte d’una donna omosessuale austriaca che lamentava l’impossibilità d’adottare nel suo paese d’origine il figlio della propria convivente: secondo la donna tale divieto era lesivo nei confronti dei diritti fondamentali e discriminatorio verso il proprio orientamento sessuale. La sentenza, la quale andava controcorrente rispetto ad una decisione presa nel 2002 riguardo un caso simile, fu salutata dall'organizzazione Human Rights Watch con un articolo festante nel quale si invitavano i Paesi membri dell’Unione Europea a modificare le leggi sull'adozione. La svolta della Corte fu senza dubbio influente sui governi di molte Nazioni: questo tipo d’adozione, generalmente chiamata stepchild adoption, fu il primo passo verso una graduale legalizzazione dell’affido alle coppie dello stesso sesso in paesi come Austria, Inghilterra, Scozia e Irlanda del Nord. Il sempre più ampio movimento richiedente l’estensione del matrimonio e delle adozioni, in genere supportato da finanziatissime campagne pubblicitarie e condizionamenti come accaduto in Irlanda, ha visto a più riprese la Chiesa Cattolica inerme, incapace di reagire, di sostenere un serio dibatto etico e filosofico, impossibilitata a confrontarsi. La sana dialettica infatti, in maniera decisamente immotivata, si è trasformata in uno scontro durissimo tra fazioni, in una confusionaria bolgia tra duellanti e partigianerie in cui fin troppe offese, diffamazioni e spettacolarizzazioni volte a scatenare dellinfatile sentimentalismo hanno trovato spazio.
È dunque fondamentale in quanto credenti, alla luce dei grandi cambiamenti della nostra epoca, analizzare e comprendere quale sia la gravità dell’errore sociale che pretende di piegare concetti morali assoluti come la legge naturale alle richieste del singolo individuo, creando delle situazioni di squilibrio e ambiguità.

Aristotele, la libertà e la famiglia.
“È un paese libero, caro signore: quest’uomo è mio, e ne faccio quello che mi pare“, dice il mercante di schiavi nel romanzo Uncle Tom’s Cabin (La capanna dello zio Tom, 1852) della scrittrice statunitense Harriet Elizabeth Beecher Stowe (1811 – 1896).
“È un paese libero“: questa è la formula, come spiega lo storico Eric Foner, con la quale i primi americani facilmente giustificavano la possessione degli schiavi, il loro maltrattamento e ogni altro genere d’azioni o comportamenti.
“È un paese libero, caro signore: quest’uomo è mio” è l’estrema espressione d’una contraddizione, d’uno scontro fra libertà ed uguaglianza. Questa libertà è solitaria ed assoluta e percepisce la libertà del vicino come un ostacolo alla propria, indi meritevole d’essere eliminata.
Sebbene sia passato più d’un secolo è possibile scorgere, al di là delle estremizzazioni, la somiglianza di pensiero della richiesta attuale delle adozioni con la rivendicazione dello schiavista americano. Il primo punto di riflessione sul quale è doveroso fermarsi è senza dubbio quello riguardante i diritti dei bambini e la loro libertà.
Non è del tutto fuori luogo parlare d’una mercificazione degli infanti – tra aborto e gravidanze surrogate varie spogliati lentamente d’ogni rispetto in quanto esseri umani – per contrastare una presunta (ed inesistente) discriminazione, ovvero per cercare di “migliorare” la libertà d’un certo gruppo sociale. Chiaramente, se un bambino diventa uno strumento di lotta sociale si finisce per ridurlo ad un mero mezzo, al pari d’un cartellone di protesta. Tutto ciò pone dei seri interrogativi: dove finisce la libertà delle coppie omosessuali ed inizia quella dei più piccoli? Può esistere libertà senza diritti fondamentali, ovvero naturali?
A queste domande gli stessi gruppi LGBT hanno mostrato una forte discordanza d’opinioni e, in alcuni casi, delle notevoli incoerenze: non è infatti realistico affermare di voler adottare un pargolo per il suo bene mentre si sostiene la causa in tribunale ricorrendo alla “discriminazione” e ai propri diritti.
Non è legittimo, così come non lo era per lo schiavista americano della Stowe, avere potestà su un altro essere umano non avendone la facoltà naturale e giustificando il tutto come rivendicazione d’una libertà personale.

Non è altrettanto legittimo sostenere la sostanziale parità di condizione di fronte alla natura tra una coppia eterosessuale sterile e una omogenitoriale, indi meritevoli entrambi di partecipare al processo adottivo.
Così come in molti altri dilemmi del mondo moderno, gli antichi sapienti ci aiutano a sviscerare più a fondo la questione. L’illustre Aristotele (384 – 322 a.C.), nell'analizzare le dottrine di Parmenide e Platone, introdusse due concetti fondamentali noti come potenza ed atto : mentre il primo esprime la possibilità di realizzazione insita in un soggetto o un oggetto, la seconda ne rappresenta l’esistenza in quanto forma realizzata.
Sappiamo, ad esempio, che un seme in potenza può divenire un albero o un fiore, pur non essendolo ancora. Non possiede d’altro canto la possibilità di divenire un automobile.
Allo stesso modo, sappiamo che una coppia eterosessuale possiede la potenzialità di generare un figlio. Tuttavia, così come una forte pioggia può annullare l’evoluzione del seme in pianta, la sterilità rende impossibile il processo generativo. Ma la pioggia – al pari della sterilità – non può modificare la potenza contenuta nel seme stesso: in esso rimane, sebbene incompiuta.
Nelle coppie dello stesso sesso la possibilità di generare altra vita non esiste, indi non si può in nessun modo equiparare la sua condizione a quella d’una coppia sterile.
Dato che ogni mutamento nelle leggi che regolano la natura prevede una potenzialità, non è possibile dichiarare naturale l’adozione delle coppie omosessuali.

Nell'acceso dibattito dei nostri giorni si è naturalmente anche tentato di ridefinire il concetto stesso di “famiglia” argomentando la necessità di fornire ai bambini un nucleo genitoriale adottivo indipendentemente dalla tipologia di quest’ultimo, purché coniugato. In vero l’etimologia dei termini che siamo soliti utilizzare è di per sé self-explanatory, pertanto esente da corruzioni o manipolazioni, e costringe la nostra società ad più attento ragionamento.
Il “Dizionario etimologico della lingua italiana” (1907, Ottorino Pianigiani) ci ricorda difatti che la parola “famiglia” indica il complesso dei famuli, ovvero delle persone legate da parentele di sangue e sottoposte ad un paterfamilias. Riguardo la parola “matrimonio” lo stesso dizionario specifica che proviene dal latino mater (madre) e monium (azione del soggetto; dovere), e “Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee” (1981, Emile Benveniste) aggiunge: Preso alla lettera, ‘matrimonium’ significa «condizione legale di ‘mater’» […] ‘Matrimonium’ definisce cioè la condizione alla quale accede la fanciulla: quella di ‘mater’ (familias).
In ultimo, sempre facendo riferimento al sopracitato dizionario, la parola “genitore” (dal latino genitor) designa un soggetto capace di procreare, indi unito con un altro di sesso opposto.

Risulta chiara, alla luce di questa analisi, l’impossibilità d’avvicinare termini quali “famiglia”, “matrimonio” e “genitore” alle coppie omogenitoriali in quanto mancanti dei requisiti fondamentali, ovvero mancanti d’un paterfamilias, una materfamilias e la potenzialità generativa. Non può dunque esser ritenuto un nucleo familiare o genitoriale adatto all'adozione. È doveroso infatti ricordare che il diritto d’ogni bambino ad avere una famiglia pedagogicamente completa delle figure di riferimento, ovvero quella maschile e femminile, è riconosciuto dalla maggioranza dei dati raccolti dalla più validata letteratura psico-sociale, ossia si estende ben oltre la mera discussione etimologica e filosofica. Ed è un diritto sul quale non può esistere compromesso.

Autore: veniteadme.org
Tratto da: www.veniteadme.org, sez. Attualità e Storia.
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