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Ciascuno di noi è un messaggio che Dio manda al mondo (P. G. Vannucci OSM)

Una passo del Vangelo per te

UN PASSO DEL VANGELO PER TE

Vangelo di domenica 1 marzo 2015 (Marco 9, 2-10) con meditazione del Card. Piovanelli

II Domenica di Quaresima - Anno B
"Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!"
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: “Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati.
Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!”. E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
Parola del Signore.
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L’episodio della trasfigurazione, che leggiamo nel testo di Marco, è strutturato sul modello delle teofanie veterotestamentarie (il monte, la voce, la nube, lo splendore del bianco delle vesti, i personaggi celesti simboli della legge e della profezia). Il racconto è significativamente collocato tra due annunci di passione (Mc.8, 31-33 e 9, 30-32). Dio Padre solleva il velo dell’umanità del Figlio facendo splendere, sul monte, un raggio della sua gloria divina dinanzi ai discepoli: apparizione pasquale anticipata, destinata come quelle post-pasquali ad illuminare e a svelare il mistero della morte e risurrezione di Gesù: destinata a Pietro, Giacomo e Giovanni , che avrebbero partecipato più da vicino degli altri all’agonia di Gesù nell’orto del Gethsemani, e poi agli altri apostoli, ai discepoli e a tutta la Chiesa. Dice Gesù risorto ai due discepoli di Emmaus: “bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria” (Lc.24,26).
Il cammino della Quaresima verso la Pasqua di morte e di risurrezione è il simbolo del cammino di ogni vita verso la ineliminabile esperienza della morte (a cominciare dalla morte a noi stessi nella vita di tutti giorni e di tutti i momenti) con la fede certa della vita piena oltre la morte.
La trasfigurazione è la risurrezione anticipata per un istante - a conforto dei tre apostoli e a segno rassicurante per tutti - mentre la risurrezione è la trasfigurazione resa eterna.
Ecco, dunque:
- “Li condusse su un monte alto, in disparte, loro soli”.
Il monte di Abramo è il monte Moria [il secondo libro della Cronache (3,1) identifica il monte Moria con l’altura si cui verrà poi edificato il tempio di Gerusalemme e la tradizione posteriore ha accettato questa localizzazione, anche se il testo dice soltanto “un monte che io ti indicherò” “nel territorio di Moria”].
Il monte della trasfigurazione è indicato dalla tradizione come il monte Tabor, anche se i vangeli dicono soltanto “un monte” o, come Marco, “un alto monte”.
Le parole sembrano indicarci lo sforzo del salire, il coraggio di staccarci un poco dalla pianura, la scelta di un luogo e un tempo di solitudine, di raccoglimento e di silenzio.
- Nota bene: non è esatto dire: “si trasfigurò”, ma “fu trasfigurato davanti a loro”: il passivo evidentemente indica l’intervento divino.
- “Le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche”: Marco [dalla bocca di Pietro?] dà un tocco di linguaggio popolare, quasi pubblicitario, del tipo: così bianco che più bianco non si può).
- Considera l’ingenuo intervento di Pietro: “Rabbì, è bello per noi essere qui, facciamo tre capanne…”:
Pietro ci rappresenta tutti: è così spontaneo desiderare la vetta senza la fatica dell’ascesa,
la vittoria senza la fatica del combattimento, la vita piena e gioiosa senza il tunnel della sofferenza.
- “Questi è il Figlio mio, l’amato; ascoltatelo! “: la voce di Dio Padre che definisce il Figlio come “l’amato” è allusione alla sua obbedienza fino alla morte (cfr. Fil.2,8), per cui, conseguentemente, l’amore del Padre domanda a tutti di ascoltarlo, cioè obbedirlo, seguirlo fino all’ultimo.
- Ma la visione pasquale anticipata dura un lampo: “improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro”. Nel grigiore o nel buio della vita di tutti i giorni occorre portarsi dentro il lampo della trasfigurazione e ancor più, ben accesa, la parola: “Questi è il Figlio mio, l’amato; ascoltatelo!”. Questa luce interiore non elimina la notte, ma ti consente di camminare. Tra la illuminazione interiore e la esperienza della fede c’è tutto il cammino della Pasqua, che non è solo un avvenimento della storia, ma una realtà interiore ad ognuno.
- “Essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi cosa volesse dire risorgere dai morti”: la fede non elimina le domande; è mantenendo aperte le domande nella luce della fede che l’uomo avanza nel mistero dell’intimità di Dio.

Card. Piovanelli
Meditazione tratta da: diocesitrivento.it

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